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Unità-Proteste e proposte per salvare la scuola

29.11.2003 Proteste e proposte per salvare la scuola di Dario Missaglia * Il dibattito sul futuro della scuola deve ripartire il prima possibile. Anche la più radicale opposizione alla legge Mo...

30/11/2003
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l'Unità

29.11.2003
Proteste e proposte per salvare la scuola
di Dario Missaglia *

Il dibattito sul futuro della scuola deve ripartire il prima possibile. Anche la più radicale opposizione alla legge Moratti, infatti, non può esimere più nessuno dal cominciare a dire di quale scuola abbia bisogno il Paese.
L'operazione non è semplice. Non si può iniziare dal "dove eravamo rimasti" perché i processi di trasformazione del Paese sono andati avanti e non consentono nostalgie del passato; perché l'avvio, parziale e contorto del nuovo Titolo V ha modificato profondamente lo scenario istituzionale ma non altrettanto significativamente la cultura politica dei nuovi e dei vecchi soggetti; perché il periodo Berlinguer-De Mauro è una categoria inesistente che non riesce a nascondere una discontinuità tragica sulla quale si è preferito calare una coltre di silenzio. Si sono forse risparmiate delle amarezze ma certamente sono state eluse tante questioni nodali che oggi sarebbero tornate utili.
Non si può neppure ripartire dal "punto e a capo" perché l'Ulivo non può consentirsi neppure un'ombra di quella vena anti-istituzionale che caratterizza il governo del Polo. Ma andrà pure rilevato che proprio questo è stato l'approccio praticato con ostinazione ed insipienza dal Polo al punto che, dopo aver abolito l'obbligo scolastico a 15 anni, il Miur è stato costretto, d'intesa con le Regioni, a istituire corsi per i quattordicenni che non partiranno prima di novembre-dicembre. Qui davvero è mancato persino il buonsenso.
La legge 53 è sostanzialmente ferma; la decretazione conseguente ancora non si vede se non per la parte che riguarderà dal prossimo anno la scuola elementare e media. Degli otto miliardi di euro previsti per attuare la legge, il 2004 prevede 90 milioni: una inezia.
Tutto ciò è gravissimo, non è consolatorio. Ma giova riflettere sul contenuto di fondo del decreto sul ciclo primario in cui si prevede una sensibile riduzione del tempo scuola per tutti. In un Paese in cui il corso di studi è ancora determinato dalla condizione sociale e dalle culture familiari di provenienza, questa scelta avrà un solo effetto: quello di riprodurre una nuova stratificazione sociale, di riconsegnare all'individuo le sorti della propria vita.
E questo accade in un contesto che non è più quello della metà degli anni 70 in cui gli Enti locali hanno integrato le debolezze della scuola. Gli Enti locali sono a corto di risorse ma soprattutto è ridotta alla testimonianza quella cultura che nel sociale e nel territorio vedeva il segno di una politica di cambiamento. L'individualismo insomma è penetrato profondamente nella società e la sinistra non ha ancora fatto i conti con questo aspetto della modernità mentre i governi regionali di centrodestra elargiscono buoni scuola alle famiglie.
La riduzione del tempo scuola, contestuale a una scelta precoce sul ciclo secondario, è il segno di un mutamento sociale profondo del sistema pubblico, è l'inizio del declino del valore pubblico della scuola. Un processo non meno devastante del declino economico ma meno percepito e pertanto assai più insidioso. Bisognerà contrastarlo con grande determinazione.
Farlo "da dentro" non è facile: non solo perché la scuola si aggrappa alla difesa della propria conservazione che è un filo rosso della sua storia, ma anche perché il dissenso e persino la ricerca di altri modelli è osteggiata e impedita nella scuola stessa. Sbaglia chi, nella sinistra e nell'Ulivo, non coglie il clima pesante che si vive in molte scuole in cui, sotto la pressione di direttori regionali esposti al rinnovo del proprio contratto, i dirigenti scolastici sono chiamati a dar prova di fedeltà (anche loro hanno un contratto da rinnovare) orientando i collegi docenti verso le direttive ministeriali. Danno loro una buona mano una schiera di nuovi dirigenti eletti sul campo tra i quali, in nome dell'interesse "generale", non manca chi senza troppe difficoltà è transitato da uno schieramento all'altro. Non parlo di "regime" ma di tentativi di "fidelizzare" la scuola di cui non ricordo precedenti nella storia della Repubblica.
Sono certo che con l'iniziativa promossa da Cgil-Cisl-Uil di una grande manifestazione, oggi, per la scuola pubblica, questo malessere esploderà nelle piazze. Intanto noi abbiamo il dovere di non tacere anche per sostenere i nuovi pensieri che pure iniziano a vivere in tante esperienze che nei contesti locali ricercano un nuovo significato della funzione sociale della scuola. È a questo livello che va costruita la risposta possibile: non lasciando sole le scuole materne ed elementari che già hanno espresso con forza il loro dissenso e costruendo solide alleanze con i Comuni e le Regioni per evitare un "tempo vuoto" carico di esclusione e costruire una stagione di nuove esperienze sociali e pedagogiche.
La legge 53 non riuscirà, prevedibilmente, neppure ad avviare un qualche processo nel ciclo secondario che è la vera grande questione irrisolta di questi anni. Irrisolta anche per la sinistra e l'Ulivo.
Occorrerà allora riportare a 16 anni l'obbligo scolastico, tenendo insieme l'obiettivo di innalzare le competenze di base per tutti con una conseguente forte flessibilità interna del percorso, per poi definire un triennio superiore differenziato e integrato, di istruzione-formazione professionale-apprendistato, che consenta a ciascuno di poter approdare alla formazione superiore e all'università.
Senza una decisa cultura della differenziazione, non ci saranno obiettivi di eguaglianza sociale praticabili e la sinistra dovrà scegliere tra chimere irraggiungibili e la dura prova delle esperienze su cui scommettere. Il terreno sul campo è già disponibile nell'azione che le confederazioni intendono avviare per riqualificare un apprendistato devastato dalla legge 30 e dai suoi decreti attuativi. E c'è soprattutto il territorio vasto degli istituti tecnici e professionali in cui già da oggi Regioni, Province e Comuni possono investire con progetti per l'integrazione con la formazione professionale e il mondo del lavoro. Una opportunità straordinaria per non confinare l'area tecnico-professionale in un debole canale di "serie B" da cui tutti vogliono fuggire e fornire soprattutto a migliaia di studenti una alternativa forte e qualificata al canale liceale.
E infine, ma non certo per minore importanza, due ultimi problemi molto complessi. Insistiamo fortemente tutti per una inversione di politica economica sulla scuola e la formazione. Ed è una richiesta giusta che contrasta con la sistematica pratica dei tagli di questo governo. Dobbiamo dirci con molta chiarezza che se permane questa voragine non ci sarà investimento che sarà in grado di invertire la tendenza, anzi costituirà la ragione fondata per procedere con prudenza.
Da ultimo la grande questione degli insegnanti. Su questo fronte il governo giocherà prevedibilmente un attacco molto forte consapevole di poter contare su un vantaggio: l'immobilismo decennale che segna la condizione degli insegnanti. Anche su questo versante il tempo del no a tutti i costi mostra la corda ed esige il coraggio di qualche proposta innovativa cui tutti possono concorrere.

* Segretario generale Ffr (Federazione formazione e ricerca) - Cgil


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