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Unità-Prodi, D'Alema, Cofferati e i due riformismi

Prodi, D'Alema, Cofferati e i due riformismi di Piero Sansonetti "Vedi, noi per anni abbiamo gridato alla crisi imminente del capitalismo, e la crisi non arrivava mai. Poi a un certo punto ce ne ...

13/07/2002
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l'Unità

Prodi, D'Alema, Cofferati e i due riformismi
di Piero Sansonetti

"Vedi, noi per anni abbiamo gridato alla crisi imminente del capitalismo, e la crisi non arrivava mai. Poi a un certo punto ce ne siamo fatti una ragione e abbiamo deciso di adeguarci, di convivere con questo dannato capitalismo. Noi siamo gente sfortunata: proprio quando abbiamo preso questa decisione la crisi è arrivata davvero, e noi non ce ne siamo accorti. Ci crollerà addosso, vedrai, e noi continueremo a dire: non è niente, tranquilli, solo un assestamento, si sta modernizzando, ora ci pensiamo noi a governarlo nel modo migliore...". Fabio Mussi ride, ride perché trova molto paradossale la situazione della sinistra, e poi perché ridere è sempre stato il suo modo di sdrammatizzare le situazioni.

Però la gag sul capitalismo che muore di nascosto, e beffa un'altra volta la sinistra, effettivamente è molto bella e fotografa il malessere quasi rabbioso, un po' disperato, del correntone dei Ds. Non è un malessere destinato a passare: ogni giorno diventa più forte. E' nato su dissensi minori, qualche volta persino incomprensibili. Un anno fa nessuno sapeva spiegare bene quali differenze politiche dividessero Mussi, o Folena, o Giovanna Melandri, da Fassino o da D'Alema o da Violante.

Oggi tra le posizioni politiche degli uni e degli altri c'è un baratro. Che tende ad allargarsi. Perché il correntone dei Ds (che si è unito alla vecchia corrente di sinistra di Fumagalli, Bandoli e Buffo e si è avvicinato molto alle loro posizioni) ha vissuto come "epocale" la sconfitta elettorale del 2001 (preceduta e seguita dalle sconfitte in America, Portogallo, Israele, Belgio, Francia, Olanda eccetera eccetera...) e ha iniziato, lentamente, a rimettere in discussione tutti i presupposti, persino teorici, del proprio impegno politico e della prospettiva. Invece la componente di Fassino e D'Alema è sempre più convinta della propria analisi, opposta a quella della sinistra del partito: crede che non siamo alla crisi del capitalismo ma ad un punto di svolta decisivo, a un bivio: il capitalismo può correre verso un'ipotesi reazionaria, militarizzata, feroce quella che vuole la destra che costerebbe al mondo intero (anche all'occidente) un prezzo enorme di sangue, di povertà e di dolore; oppure può subire una sterzata, subire una riforma profonda, e modernizzarsi: acquistando, insieme, più efficienza e più equità. E' questa la scommessa del riformismo.

Le posizioni massimaliste allontanano la sinistra dal governo e quindi favoriscono l'ipotesi reazionaria. Si può arrivare a un compromesso tra le due posizioni (diciamo tra i due riformismi)? Si può pensare che col tempo i dissensi si riducano? No, direi di no. È possibile creare alleanze tra queste due posizioni, non una ricomposizione. Il partito dei Ds, nonostante tante analisi politiche di questi anni e nonostante il riequilibrio elettorale del 2001 (tra Ds e Margherita) resta per un milione di motivi il partito principe della sinistra e del centrosinistra. Non è solo una questione di forza elettorale, è anche una questione di idee, di gruppi dirigenti, di storia, di tradizione, di attitudini.

Alla fine, per capire cosa può succedere nel centrosinistra, si deve capire cosa succede nei ds: gli altri si muovono di conseguenza. La bussola della sinistra, per quanto scassatissima, resta lì, a via Nazionale. E la battaglia vera è lì che si svolge, è lì che si perde o si vince. Come può concludersi questa battaglia? Intanto ci sono due scenari. Uno disastroso, l'altro positivo. Quello disastroso è che resti la grande confusione tra uomini e idee che in questi anni ha regnato sovrana. E cioè che la battaglia tra le idee diverse ( fondamentalmente tra riformismo classico e riformismo radicale) proceda come una variabile indipendente rispetto alla battaglia tra gli uomini: Fassino, D'Alema, Prodi, Rutelli, Cofferati, Bertinotti, Amato...Questo scenario prevede una dissoluzione rapida, la sconfitta di tutti. L'altro scenario, quello positivo, è che invece il quadro si chiarisca, le incompatibilità personali svaniscano o si sfumino, e i due riformismi possano raggiungere entrambi il massimo della propria forza, disponendo in pieno, senza tatticismi, sia delle proprie energie ed idee che dei propri uomini.

Per capirci: è ipotizzabile davvero un'asse ProdiCofferati, sostenuta da Bertinotti, contro D'Alema, Fassino e Amato? Non lo è, perché Prodi, e una parte molto grande della Margherita (esclusi cioè solo una piccolo pezzetto ex verde e alcuni leader della ex estrema sinistra dc, come la Bindi) è del tutto organica al riformismo classico, ed è molto attenta anche ai rapporti internazionali con l'establishment del riformismo classico. Come può costruire un'alleanza con Rifondazione? Una ricollocazione delle forze (e una loro disposizione coerente con le idee che sostengono), dal punto di vista tattico, apparentemente, favorirebbe i riformisti classici, e in particolare D'Alema.

E infatti il disegno di D'Alema è proprio questo. Rendere sempre più nette, argomentate, organiche, le sue posizioni e le sue analisi utilizzando anche i vari strumenti di ricerca teorica, di studio, di elaborazione politica, dei quali si è sapientemente dotato in anticipo sugli altri convinto che alla fine è attorno ad esse che dovranno riaggregarsi tutte le forze di sinistra non radicali. Da Prodi, a Rutelli, ad Amato, allo Sdi, alle varie componenti laicorepubblicane, forse persino a qualche pezzo del correntone Ds. Gli uomini vicini a D'Alema dicono che lui ha una grande carta da giocare, in questo suo progetto: non ha più niente da chiedere in termini di poltrone, in termini di potere per se stesso. Non pensa più, neppure da lontano, a dover essere lui in un prossimo futuro il candidato premier da contrapporre a Berlusconi, e questo gli permette di attenuare molto, moltissimo, quella diffidenza personale nei suoi confronti che è stato uno degli elementi di avvelenamento della battaglia politica dal '96'97 ad oggi.

È possibile un'asse ProdiD'Alema? Non è più pura fantasia, come lo era sei mesi fa, e sicuramente è l'unica possibilità vincente per la sinistra riformista. Anche perché le vecchie polemiche su adesione o no all'internazionale, su partito unico o no, sono così invecchiate, in mezzo anno, da sembrare roba della preistoria. Naturalmente quando si arriva a questo punto del ragionamento si arriva alla domanda cruciale: con quali strumenti organizzativi, cioè all'osso con quale partito? E quindi si pone la domanda successiva, antica, roboante: scissione? Non c'è risposta perché probabilmente la domanda non sta più in piedi, è scaduta.

Può darsi che un giorno in Italia tornino i partiti politici e forse non sarà un male, perché, fino ad oggi, la politica guidata dai partiti, a fare un bilancio dall'unità d'Italia ad oggi, è stata quella di miglior qualità ma in ogni caso oggi in Italia i partiti non ci sono più. Sono praticamente disgregati, ma non è questo il punto: hanno perso la loro funzione nazionale e la loro capacità di connettere scelte politiche e organizzazione del consenso. Quindi sono in mora. Sospesi. Forse esiste un solo partito ancora in vita, e cioè An, il partito postfascista, ma non sembra francamente avere un ruolo di devastante importanza nel futuro dell'Italia (almeno, speriamo). Per questo, tutti i ragionamenti che partono dalla domanda "quale partito, quali partiti", non funzionano, creano solo confusione.

Da qualche anno i partiti sono stati sostituiti dai leader; ora, forse, si potrà entrare in una fase nella quale saranno sostituiti da "gruppi di idee", da schieramenti. Quindi la questione non è: con quale partito? È: con quali strumenti politici? I riformisti legati a D'Alema hanno molti strumenti. La maggioranza dei gruppi parlamentari, alcuni robusti uffici studi, i gruppi dirigenti maggioritari in molte federazioni, in molti consigli comunali, in molte regioni, e cominciano a conquistare degli spazi nella stampa, che fino a pochi mesi fa era abbastanza compattamente nemica (a partire dalla sala stampa di Montecitorio).

Le voci dicono che 'Repubblica' che in passato ha appoggiato fortemente Cofferati si stia spostando verso posizioni sempre più nettamente filoriformiste. Probabilmente anche immaginando, e sponsorizzando, una riappacificazione tra D'Alema e Prodi (e Rutelli). È probabile che sia così, e anche abbastanza normale che lo sia. E naturalmente l'entrata in campo di 'Repubblica' sposterebbe abbastanza i rapporti di forza. Giorni fa un articolo molto bello di Federico Rampini, sugli scandali finanziari in America, spiegava in modo esemplare il problema che si trovano di fronte i riformisti occidentali: un capitalismo che sta scivolando rapidamente verso la illegalità e il personalismo e l'oligarchia chiusa. Si tratta di ridargli delle regole, di riportarlo dentro la legalità e di fornirlo di un'etica della quale, al momento nella sua versione bushistaberlusconiana è del tutto sfornito.

Non è in sostanza questo il nucleo del pensiero dei riformisti italiani? Gli uomini di D'Alema dicono di non essere molto preoccupati per il futuro. Se alla battaglia condotta con gli incontri, i compromessi, le cene in salotto, si sostituisce la battaglia sul terreno della politicapolitica è impossibile che alla fine le cose non si chiariscano. Naturalmente dopo il chiarimento si dovrà fare la conta. Nel senso che nell'ipotesi di una definizione di due "zone" diverse nella sinistra italiana (e di una loro alleanza), si tratterà poi di vedere quale sarà quella più grande. Ma anche su questo i dalemiani (che un anno fa stravinsero il congresso dei Ds) sono sicuri che le cose si mettono bene per loro.

La sinistra dei Ds sembra quella destinata ad indebolirsi in uno scenario di questo genere. Perché? Perché le verrebbe a mancare tutto lo spazio tattico del quale sin qui ha goduto grazie alla divisione tra Margherita e maggioranza Ds. Ma è così importante? O invece il problema più grande della sinistra ds e dell'area del riformismo radicale (dai verdi, al pdci, ai girotondi, a varia intellettualità, a Cofferati e all'area Cgil) è quello della costruzione di un impianto politicoteorico forte e unificante? Che ridefinisca le strategie politiche che finora son state sempre subalterne ai due imperativi, quello dalemiano o quello bertinottiano: "l'importante è stare al potere", o (viceversa) "l'importante è stare all'opposizione".

È probabile che la sinistra ds e i suoi alleati abbiano molto da guadagnare da una chiarificazione. E infatti è a questo che stanno lavorando. "Aprile", l'associazione dell'area, è destinato a crescere molto in fretta. Si è deciso di dargli una sede, forti e stabili gruppi dirigenti, leader ufficiali, forse un presidente (probabilmente un presidente non dei Ds) e di fare affluire ampie forze esterne al partito. Senza per questo pensare alla formazione di nuovi partiti, o come si diceva a vecchie ipotesi scissioniste. Ma puntando alla definizione di un'area, di una politica e di una teoria nuove per la sinistra riformista e radicale. Anche con grandi collegamenti internazionali, e soprattutto attingendo ad ampie mani alla grande politologia moderna, di sinistra, molto avanzata, che sta sviluppandosi in tutto il mondo (specie in America) e che invece qui da noi sembra del tutto addormentata. Non è questo il punto di debolezza della sinistra ds (mentre il punto di forza è il non avere scontri interni, odii, né problemi di leadership, visto anche il ruolo indubbio e il carisma di Cofferati)?

Fuori da questo schema, almeno per ora, sembra collocarsi solo Piero Fassino. Il segretario dei Ds è l'unico tra i leader riformisti che vuole ancora tentare la carta dell'unità e della mediazione. Non vuole due sinistre, vorrebbe una forza unica. Il suo, storicamente, è un vecchio sogno 'amendoliano', che però nessuno finora è amcora riuscito a realizzare. Naturalmente se succederanno queste cose nel giro di qualche mese, o forse di molti mesi si porrà un problema del tutto nuovo per l'unica sinistra radicale che da diverso tempo calca la scena italiana. E cioè Rifondazione. La quale ha la grande occasione per vincere la sua scommessa politica e anche la possibilità di perdere tutto, paradossalmente, proprio quando i fenomeni che aveva previsto si stanno realizzando uno ad uno: il ritorno del conflitto, i nuovi movimenti, la rottura nei Ds, il riproporsi di temi e valori (uguaglianza, fame, povertà, internazionalismo) dei quali per un decennio è stata gelosa e isolatissima custode.

Bertinotti saprà guidare il partito a "confondersi", a rinascere, a reinventarsi, e cioè a cogliere la possibilità di uscire dal piccolo ghetto del 5 per cento e volare su tutta la città? Chissà se nel prossimo futuro molte cose non finiranno per dipendere dalla sua capacità di fare politica vera . E che non dipenda da ciò anche la cosa più importante: e cioè che le due sinistre, una volta rafforzatesi, possano allearsi e andare insieme non sulla base di un pasticcio ma di un serio e chiaro compromesso politico alla battaglia contro la destra.

Che non vuol dire solo vincere o perdere le prossime elezioni: significa ricostruire in Italia un senso comune democratico e progressista in grado come fu per un trentennio tra gli anni sessanta e i novanta di guidare qualunque politica nazionale, influenzarla, condizionarla, modificarla


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