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Unità-Premier complice del delitto

Premier complice del delitto di Nicola Tranfaglia L'unificazione nazionale in Italia è avvenuta centoquarantuno anni fa. Se si esclude la Germania che è diventata uno Stato unitario nel 1870, il...

25/11/2002
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l'Unità

Premier complice del delitto
di Nicola Tranfaglia

L'unificazione nazionale in Italia è avvenuta centoquarantuno anni fa. Se si esclude la Germania che è diventata uno Stato unitario nel 1870, il nostro è il Paese che si è unificato più tardi di tutte le democrazie liberali in Europa. La Francia e l'Ingihiterra, per parlare soltanto degli Stati più grandi, avevano raggiunto l'unificazione molti secoli prima. Se non si tiene conto di questo elemento storico fondamentale è difficile capire l'allarme per quanto sta accadendo.
Allarme e preoccupazione, non solo della coalizione di centro sinistra, ma della Confindustria, dei sindacati, delle autonomie locali di fronte al disegno di legge 1187 presentato in Senato dal leader della Lega, Umberto Bossi, che ricopre nell'attuale governo anche l'incarico e la responsabilità di ministro per le Rifome. Eppure proprio ieri é arrivata la conferma del presidente del Consiglio Berlusconi che ha detto di esser disposto a chiedere il voto di fiducia, pur di riuscire ad approvare nei primi giorni di dicembre la proposta della Lega. A nulla, dunque, è valso il monito del presidente della Corte Costituzionale, Ruperto, che ha ricordato come la riforma del titolo quinto della Costituzione sul federalismo, approvata nell'ultima legislatura e confermata il 7 ottobre scorso da un referendum popolare, debba essere completata e attuata prima di introdurre una legge come quella voluta da Bossi che rischia di mettere in crisi e stravolgere il progetto che ha già ricevuto l'approvazione delle Camere e la sanzione popolare.
Anzi il ministro della Giustizia Castelli, che alterna i suoi interventi a sostegno del presidente del Consiglio a quelli di appoggio al leader del suo partito (Bossi, appunto) ha ritenuto di dover subito attaccare il presidente della Corte accusandolo persino di non poter parlare in quanto dimissionario.
Siamo ancora una volta a ben più dello sgarbo istituzionale: questo governo dimostra nuovamente di voler esercitare a ogni costo una tirannide della maggioranza che guarda con fastidio e con disprezzo all'azione di quegli organi di equilibrio e di controllo previsti dalla Costituzione proprio per evitare che un singolo organo costituzionale agisca da solo e non di concerto con gli altri organi chiamati a regolare il funzionamento dei poteri dello Stato.
Quanto sta accadendo è anche la conferma dei problemi che nascono dall'aver introdotto il sistema maggioritario senza averlo prima completato. Ce ne accorgiamo solo ora, con il potere nelle mani di una classe politica di governo come quella attuale che intende modificare la nostra Costituzione e che, ancor prima di attivare le procedure idonee, dà per scontato di poter agire come se la Costituzione repubblicana non esistesse. Purtroppo - dobbiamo dirlo - senza che altri organi costituzionali, a cominciare da chi ha il compito di difendere la costituzione, intervengano per fermare un modo di agire che si configura sempre più come contrario allo spirito e alla lettera del dettato costituzionale.
È tuttavia nel merito che arrivano le riserve e i problemi di ancor maggiore rilievo. Il disegno di legge presentato da Bossi prevede che, contrariamente a quanto stabilito dall'articolo 117 così come è stato modificato dalla riforma del titolo quinto, le Regioni avranno concorrenza esclusiva, non soltanto nei settori già stabiliti dalla riforma precedente (come l'edilizia, i trasporti e le comunicazioni, l'agricoltura e gli alimentari, l'industria, l'artigianato e il commercio, la finanza regionale e locale) che sono una parte assai rilevante dei settori già affidati allo Stato, ma anche dell'istruzione e della cultura, dell'università e della ricerca, della igiene e della sanità e della sicurezza pubblica, inclusa la polizia locale.
In altri termini con la proposta di Bossi, presentata e sostenuta da tutta la Casa delle libertà eccetto la contrarietà di una parte dei centristi (si veda la polemica recente tra Tabacci contrario e D'Onofrio favorevole) le Regioni diventano responsibili e domini esclusivi di tutto quello che attiene a servizi fondamentali dello Stato sociale come l'istruzione a tutti i livelli, la sanità e la polizia locale.
In una situazione nella quale le Regioni che hanno maggioranze di centro-destra si sentono impegnate ad attuare il programma di Governo in ogni suo aspetto e Regioni che hanno maggioranza di centro-sinistra si oppongono con forza a quel programma che punta allo smantellamento dello Stato sociale e di quello di diritto, dovremmo assistere al fatto che, ad esempio in Lombardia, in Piemonte o nel Veneto, si farà una politica scolastica e sanitaria intonata alla legge Moratti e alla privatizzazione della medicina e, invece, in Emilia, in Toscana o in Umbria, la politica in questi settori adotterà criteri e regole differenti o addirittura opposti.
Di qui la disgregazione civile del Paese, la condizione profondamente difforme sul piano economico, sociale e culturale di Regioni a seconda della maggioranza politica contingente.
Se uomini politici assai prudenti e moderati come Giuliano Amato o come Nicola Mancino hanno parlato del pericolo di recidere il filo che unisce il nostro Paese nei costumi e nelle idee, oltre che nella necessaria collaborazione tra gli organi centrali e quelli regionali e locali, è perché di fronte al tentativo chiaramente secessionista di Bossi la partita in gioco è assai alta e può diventare decisiva per l'avvenire del nostro Paese.
Ma dal governo finora non è venuto nessun segno di resipiscenza e di riflessione. Al contrario, Berlusconi ha dichiarato di voler pagare senza esitazioni la cambiale in bianco di una Lega che appare nervosa e insoddisfatta.
Di fronte al calo sempre più sensibile nei sondaggi della percentuale di italiani che non si sentono più di sostenere la maggioranza di centro-destra, Berlusconi rischia di perdere un pezzo come quello della Lega che non è in grado di rovesciare i rapporti di forza in Parlamento ma che sul piano politico darebbe un segnale forte delle difficoltà attuali della maggioranza.
Di qui la scelta del Cavaliere che appare tuttavia trascinato anche in questa occasione da pulsioni estremistiche che avranno conseguenze negative sul suo elettorato e su quella parte della maggioranza che fa riferimento a una parte dell'Udc e della stessa Alleanza Nazionale.
Si tratta di un pendolo pericoloso soprattutto di fronte ad altre scadenze politiche che si annunciano: accantonato ormai il disegno centrista, Berlusconi diventerà il disgregatore dell'unità nazionale?
È un interrogativo da girare a tutti i "terzisti" e a quelli che continuano a vedere in lui e nel suo governo i punti di riferimento delle riforme. A un anno e mezzo dalla vittoria del 13 maggio, il bilancio appare ricco di ombre e di contraddizioni.


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