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Unità-Possiamo danzare sull'orlo del burrone?

Possiamo danzare sull'orlo del burrone? di Pietro Folena Ci sono due piani separati della discussione politica, in questo finale di estate. Il primo è quello della realtà: black-out in tutto l'...

03/09/2003
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l'Unità

Possiamo danzare sull'orlo del burrone?
di Pietro Folena

Ci sono due piani separati della discussione politica, in questo finale di estate. Il primo è quello della realtà: black-out in tutto l'occidente effetto delle privatizzazioni selvagge, tragica guerra civile in Iraq, 13.000 morti per il caldo in Francia (quanti in Italia?), anziani lasciati a se stessi, aumento dei prezzi galoppante e salari miseri, decisa controffensiva della destra italiana - dopo il recente rovescio elettorale - su pensioni, scuola privata, presidenzialismo populistico, giustizia, minacce all'opposizione. Tanta gente non arriva a fine mese, non ce la fa più, e avrebbe bisogno di una sinistra popolare, combattiva, semplice.
Tutto questo richiederebbe alle nostre leadership - da Rutelli a Bertinotti - di definire subito, dialogando coi sindacati, col movimento no-global, coi girotondi, e con le tante espressioni civili nate nell'ultimo biennio, un'agenda delle opposizioni, con l'obiettivo prima di tutto di stare dalla parte dei lavoratori e di battere Berlusconi. Ma questo non succede. La leadership è impegnata a discutere della sua vera passione polemica da quasi dieci anni a questa parte - la ricerca della sua Araba fenice -: liste uniche, ulivi piccoli, nuovi partiti, un bel patto di vertice con Rifondazione senza disturbarsi troppo reciprocamente' "che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa".
Il secondo piano della discussione è quindi quello fuori dalla realtà. Interessa gli addetti ai lavori e il ceto politico, appassiona le lobbies editoriali e finanziarie che intendono guidare il centrosinistra, e sono probabilmente destinate a finire in una bolla di sapone. Sento dire: ma la Margherita fa la proposta perché teme il successo dei Ds'.interessante. E i Ds accolgono la proposta sapendo che non si farà per non avere il cerino in mano' molto interessante. Anzi: rilanciano, altro che lista, un partito'
Mi dissocio da questo metodo politico. C'è dietro questo tatticismo, infatti, una convinzione sbagliata che speravamo superata dopo il successo elettorale che aveva incoraggiato un'altra politica. Primo, l'Italia è strutturalmente di destra e il centrosinistra per vincere deve fare una politica liberale e moderata. Secondo, i movimenti sono stati fuochi passeggeri, portatori di pericolose spinte di Antipolitica ed ora invece finalmente la parola torna alla Politica. Terzo, la sinistra e i moderati si giocano sullo stesso terreno, senza esclusione di colpi, una gigantesca partita a scacchi per decidere chi comanda, senza rendersi conto che finiscono così col parlare di meno tanto ai moderati quanto alla sinistra, e soprattutto a tanta gente semplice, e di logorare una classe dirigente, a partire da Romano Prodi.
Domando con amicizia a Fassino: ma perché invertire la rotta rispetto a quella finora seguita e che anche per merito tuo - apertura ai movimenti, idea larga della coalizione, qualche contenuto nuovo - ha fatto vincere qualche settimana fa la coalizione e i Ds?
Volete un partito riformista europeo del 35%? Perché non del 40%, come dice qualcuno? L'esperienza, dall'89 in poi, ci insegna che queste cose non si fanno a tavolino, e i voti si contano poi' Tuttavia, proprio perché sono convinto, come dice Reichlin, che occorre avere coraggio, dico che non ho prevenzioni nominalistiche. Sostenni la svolta, convintamente, nell'89. Sostenni, un po' più obtorto collo per il loro carattere giacobino e verticistico, gli stati generali del 98. Sono stato partecipe in prima fila del tentativo di "fusione calda", di Epinay italiana di cui parlò Veltroni a Torino nel 2000' Ma tutti questi processi non hanno realizzato il loro obiettivo e, in parte, sono falliti, perché sono stati processi dall'alto, di una leadership ristretta, sempre gli stessi - nei Ds e fuori dai Ds- e sempre un po' più sospettosi reciprocamente.
Non ripetere quegli errori vuol dire che la sfida è molto più ardua, e ha bisogno di fondarsi su basi nuove. Ne vedo chiaramente alcune, se si vuole dar vita a un nuovo soggetto politico che funzioni e che vinca:
1) Il primo soggetto politico partecipativo del nuovo secolo. Diamo voce e forma alle ragioni che hanno mosso milioni di persone nell'ultimo biennio, e che le muoveranno ancora, perché sono fatti strutturali. Un partito che fonda un'"altra politica", quella che in Francia viene chiamata in questi giorni, un'"alterpolitica". I movimenti non sono antipolitica, ma mettono in discussione la Politica degli stati maggiori, e i riti del '#8216;900, una gerarchizzazione della delega, una fortissima personalizzazione della leadership.
2) Il soggetto che si occupa di combattere la deriva a cui il liberismo ci ha condotto, fino ai blackout e alla morte delle periferie. Che si contrappone alla deriva reazionaria e militarista di Bush che oggi è la principale minaccia alla sicurezza mondiale. Che fa dell'Europa, e quindi di un proprio carattere transnazionale e globale, l'identità costitutiva. Che non pensa che il socialismo è un ferrovecchio e che siamo destinati a morire liberali. Il pensiero liberale è in crisi, e si propone in forme inedite il bisogno di un nuovo grande compromesso socialdemocratico, di una nuova idea di pubblico e di beni comuni (acqua, salute, ambiente, cultura) da sottrarre al mercato, di una modernizzazione ecologica dell'economia, di un altro modello di sviluppo e di consumi che nasce dalla realtà, e dalla crisi del mondo.
3) Il primo nuovo soggetto politico del secolo deve quindi avere un progetto di società. Un'idea di libertà e di realizzazione che si fonda sul valore sociale del lavoro, sui suoi nuovi contenuti culturali, sulla sua dignità, su retribuzioni che lo riconoscano, su diritti universali. O è forza del lavoro e dei lavori o non sarà capace di indicare una strada alternativa a quella della destra. O si propone di abrogare la legge 30, di sostenere una nuova stagione di aumenti salariali, di estendere le protezioni e le tutele, o sarà una forza residuale.
4) E quindi la collocazione nel socialismo europeo non è un optional. Quanto provincialismo c'è in chi pensa che, nell'epoca della globalizzazione, l'Ulivo italiano possa portare alla fine delle grandi famiglie politiche continentali. Il socialismo europeo è inadeguato perché è stato ad un tempo burocratizzato e poco aperto alla società, e slavato nel suo profilo ideale. La nuova identità socialista è quella di un riformismo radicale, capace di dire qui ed ora come affrontare radicalmente i grandi problemi del mondo e di offrire un punto di vista alternativo rispetto a quello liberista, militarista e reazionario. Anch'io voglio allargare e aprire il socialismo europeo: non per portarlo nell'internazionale liberale, ma per connetterlo al nuovo che sta nascendo in questi ultimi anni.
Mi si dirà: ma la Margherita non ci può stare. Capisco. Non sappiamo fra dieci anni, ma oggi la coalizione ha bisogno di essere più grande e più plurale, non un partito unico con un pensiero unico. E capisco che i popolari, e non solo loro non vogliano diventare socialisti.
Ma allora non è meglio - per evitare che questa storia sia come quella del Ponte sullo Stretto (se ne parla da quarant'anni, e non si farà mai) - raccogliere le intuizioni di Prodi e il bisogno di aprire le culture facendo qualcosa davvero di più coraggioso, e cioè costruendo una soggettività forte della coalizione, del grande Ulivo, aprendo fin d'ora i cantieri del programma e dei valori comuni, e pensando che una nuova sinistra, riformista e radicale, può essere un motore vero di questo progetto?
Non possiamo danzare sull'orlo del burrone discutendo di cose astratte e lontane proprio quando la destra italiana si appresta a scatenare una controffensiva sociale e istituzionale senza precedenti. La storia non ce lo perdonerebbe.

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