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Unità-Opposizione davanti a un bivio-di S.Cofferati

Opposizione davanti a un bivio di Sergio Cofferati La possibile e sciagurata guerra contro l'Iraq, la legge finanziaria, le lesioni al sistema dei diritti e più in generale all'autonomia dei pot...

23/10/2002
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l'Unità

Opposizione davanti a un bivio
di Sergio Cofferati

La possibile e sciagurata guerra contro l'Iraq, la legge finanziaria, le lesioni al sistema dei diritti e più in generale all'autonomia dei poteri istituzionali, quali giustizia ed enti locali, la libertà d'informazione, sono i temi che il Paese dovrà affrontare nel prossimo futuro.
Lo dovrà fare in condizioni assai complesse, con venti di guerra sempre più forti, in una situazione economica internazionale ed interna difficile se non disastrosa e in presenza di tensioni sociali che, in futuro, non potranno che aumentare. Il governo e la maggioranza che lo sostiene sono in grande difficoltà. Già ora, dopo solo un anno di vita, sono evidenti i danni provocati da scelte sbagliate, improntate ad un misto di populismo e liberismo.
Le condizioni di competitività della nostra economia si sono aggravate. In agosto il fatturato è calato del 5,5 per cento, del 2,5 gli ordinativi.
L'inflazione è tornata a crescere senza che l'esecutivo, in questi mesi di allarme, abbia messo in campo una sola misura. Con questi dati raggiungere lo 0,6 per cento di aumento del Pil, come è previsto nella Finanziaria, può essere un'illusione.
Il governo ha assecondato le pulsioni peggiori di Confindustria. Ha scelto una via bassa alla competizione, fatta di abbassamento dei costi attraverso la riduzione del welfare e dei diritti. Il suo fallimento sta nel Patto per l'Italia, definito epocale ed oggi inesistente per la parte di stimolo, ma vivo esclusivamente nelle sue misure discrezionali di lesione dei diritti. È l'idea stessa alla base di quel patto che si è dimostrata sbagliata e su cui si sono condotte le imprese allo scontro sociale. La politica industriale oggi si fa mettendo a disposizione le risorse immateriali, sostenendo i processi di cambiamento e d'innovazione, ma di tutto ciò non c'è traccia nelle politiche messe in campo da questo governo.
Le attese, sempre più forti, per un intervento militare in Iraq, non fanno che aggravare la situazione. La pace si conserva con politica e diplomazia agendo per tempo con una azione preventiva che serva a superare le disuguaglianze esistenti, a creare con la cooperazione e la collaborazione tra gli stati le condizioni di sviluppo culturale, sociale e di crescita economica. Solo così si può evitare che si creino condizioni di rottura che danno copertura al terrorismo. Ma oggi si parla di guerra preventiva: un discorso inaccettabile che potrebbe avere effetti devastanti con il rischio di destabilizzazione di un'intera area geopolitica. Non sono in discussione i nostri rapporti con gli Stati Uniti. E neppure la lotta e il contrasto al terrorismo internazionale che deve essere condotto con azioni decise e determinate. C'è qui un problema delicato di funzioni degli organismi internazionali che vivono oramai in una vera e propria afasia. Un tema dimenticato che si ripercuote oggi sulla drammatica situazione del mondo arabo. Di fronte ai pericoli di una nuova guerra, il governo ha scelto la strada del "neo-atlantismo", di un appoggio incondizionato e unilaterale agli Stati Uniti. Una scelta sbagliata ed antieuropea, carica di incognite e di gravi rischi.
Il governo e la sua maggioranza ormai non si limitano più ad attaccare solo i diritti nella sfera del lavoro, ma stanno agendo contro ogni autonomia. Sotto il diretto controllo dell'esecutivo dovrebbero essere la magistratura, l'informazione, le autonomie locali. Siamo ormai ad una nuova stagione di centralizzazione. Quello che si consuma con la legge finanziaria contro Comuni, Provincie e Regioni, ne è un esempio lampante. I teorici del federalismo sono silenti di fronte a provvedimenti che danno al ministro dell'Economia la possibilità di intervenire su qualsiasi fonte di spesa. Si è arrivati addirittura a ipotizzare la nazionalizzazione di importanti aziende private nel silenzio e nell'accondiscendenza dei liberisti della prima ora.
Quelle del governo Berlusconi sono un insieme di politiche dannose, che impoveriscono i cittadini, aprono contraddizioni sempre maggiori nel Paese e risultano inefficaci a contrastare una crisi industriale e occupazionale che ha il suo epicentro nella più grande azienda privata: la Fiat. Sono politiche che la Cgil, opportunamente e coerentemente, ha contrastato con uno sciopero generale che ha visto una grande partecipazione. È da tutti gli obiettivi indicati dallo sciopero che la Cgil può rilanciare la sua iniziativa e verificare la disponibilità unitaria delle altre confederazioni.
Di fronte alle difficoltà crescenti della maggioranza che cosa fa l'opposizione? Invece di costruire un suo progetto e di condurre una battaglia coerente e rigorosa sul piano parlamentare, invece di rendere visibile l'alternativa, opera un rovesciamento logico. Decide di decidere a maggioranza su temi importanti e tali da caratterizzare la collocazione politica e ideale dello schieramento. Anzichè lavorare per la costruzione di un grande Ulivo che vada da Di Pietro ai Comunisti italiani ed in grado di individuare punti di azione programmatica comuni anche con il partito della Rifondazione comunista, è tentata da un rimpicciolimento della coalizione. Questo è un grave errore. Se così faranno, troveranno il plauso di molti che diranno "bravi, scelta coraggiosa". In verità si tratta di una scelta distruttiva.
L'operazione da fare è esattamente rovesciata. Elaborare un progetto, preparare un programma alternativo a quello disastroso di questo esecutivo, allargare ed aprire la discussione alle altre forze del centrosinistra e ai movimenti. Bisogna cioè cominciare dal merito e non dal metodo, solo così, se si condivide il programma, alle minoranze si possono dare gli strumenti per esistere e verificare la loro effettiva dimensione. Altrimenti si stabilisce un principio di maggioranza che mette nella riserva indiana chi non è d'accordo. L'opposizione è di fronte a un bivio: o si dà un progetto visibile con un merito condiviso o, se si incammina sulla strada che sembra decisa, si condanna a separarsi dal sentire di milioni di persone. È nella costruzione del progetto che si definisce il tasso di riformismo.
In seguito ci sarà spazio per elaborare le regole e scegliere la leadership


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