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Le ultime avventure del governo Bossi-Berlusconi di Furio Colombo Come in una prova di laboratorio, il comportamento arbitrario e offensivo del ministro della Giustizia che con una mano nega la r...

27/07/2003
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l'Unità

Le ultime avventure del governo Bossi-Berlusconi
di Furio Colombo

Come in una prova di laboratorio, il comportamento arbitrario e offensivo del ministro della Giustizia che con una mano nega la richiesta di grazia per Adriano Sofri e con l'altra blocca il percorso legittimo di una rogatoria internazionale, contiene tutti gli elementi che connotano questo governo: incompetenza, incostituzionalità, offesa alle istituzioni. In particolare una offesa ripetuta e clamorosamente pubblicizzata al Presidente della Repubblica.

Nel caso della grazia a Sofri viene negato un atto dovuto. Come hanno spiegato illustri giuristi, il Guardasigilli ha il dovere di istruire la pratica di grazia anche quando non intende aggiungere un suo parere favorevole. Gli resta la libertà di non controfirmare l'eventuale concessione di grazia, ma non la libertà di interrompere la procedura dovuta, anzi obbligatoria, del suo ufficio.

Nel caso del blocco della rogatoria internazionale c'è invece l'altro tratto caratteristico del governo Bossi-Berlusconi: l'abuso di potere. Nella breve e infelice storia di questo ministro della Giustizia occorre aggiungere un altro tratto infrequente persino tra i ministri del governo Berlusconi: una profonda incompetenza che è resa dannosa da una vanteria imbarazzante, dalla pretesa di essere tanto più bravo in quanto più incompetente.

Castelli è orgoglioso di non sapere, e compie ogni volta, con arroganza infantile, il gesto che i libri di scuola attribuiscono a Brenno: mette la spada sulla bilancia, e - tutto contento di non capire le implicazioni e, a volte, il senso di quello che fa - proclama: comunque comando io.

Gli piace offendere e lo fa subito, prontamente, dando il segnale che il suo è un mondo di poche stanze, occupate da pregiudizi, idee modeste mai rivisitate, malizie da studente invecchiato male (io almeno ho la laurea, lui no), nessuna curiosità, e anzi orgoglioso rigetto delle cose che non sa e che, perché non sa, disprezza. Castelli disprezza moltissimo. Le sue finestre sono chiuse e si capisce che, da una vita, non filtra aria nel suo piccolo mondo. Non è così piccolo perché leghista ma il contrario: aveva bisogno di un ambiente angusto, rancoroso, negativo, propenso all'offesa come forma di comunicazione, e l'ha trovato nella Lega Nord. Esemplare il suo modo di rispondere al sottosegretario del suo ministero. Vietti si è permesso di osservare che, certo, Castelli ha interferito per sbaglio con la rogatoria internazionale dei Pm di Milano (falso in bilancio) che riguarda Berlusconi e che sta provocando l'offesa, lo scandalo, la richiesta di dimissioni del ministro della Giustizia da parte del partito dei Democratici di sinistra e di tutto l'Ulivo.

Vietti è un giurista e ha invocato, per il suo capo, la ragionevole attenuante di non sapere. Ha detto: sarà stato mal guidato da qualche funzionario zelante. Vietti mostra di non conoscere il nervo scoperto di Castelli, che è, come si è detto, il vanto della incompetenza. "Penso sempre con la mia testa", ha detto al suo vice, a cui non può perdonare di essere avvocato e dunque di avere un minimo di orientamento sulla questione. È una frase che - detta da Castelli - sembra fatta per provocare un "purtroppo".

Ma il nostro Guardasigilli provvede subito ad aggiungere alla sua esibizione di contentezza per quel che non sa (in altri Paesi si chiama arroganza del potere) una offesa che sia in linea con il suo modo naturale di esprimersi. Dice di non temere le dimissioni del suo sottosegretario, in caso di disaccordo, e spiega: "non ho mai visto un democristiano dimettersi". Vietti appartiene all'Udc e il suo intero partito reagisce con forza. Intorno a questa vicenda si accumulano molte domande: perché il governo Bossi-Berlusconi ha scelto proprio adesso di aggravare le tensioni interne alla maggioranza? Perché questa campagna per imbarazzare e antagonizzare il presidente della Repubblica? Perché Berlusconi, dopo la collezione di brutte figure e di spettacoli umilianti nel viaggio del suo circo da Strasburgo al Texas, sceglie di mostrare con sempre maggiore evidenza che nella sua ormai lacerata maggioranza solo Bossi, che pure è a capo di un partito in rotta, conta e comanda? Se non è il voto - e non lo è, vedi il Friuli - che cosa dà a Bossi e Castelli un simile potere di vandalismo dentro la loro coalizione?

Occorre però ricordare l'intera vicenda nella quale si situa quest'ultimo episodio di volgarità, di protervia, di incompetenza, di abuso. Ciascuna delle due storie - blocco della grazia ad Adriano Sofri e blocco di una rogatoria internazionale - ha un suo antefatto che è necessario ricordare. In tutti e due i casi, il protagonista dell'antefatto è Berlusconi, che, poco dopo, viene regolarmente sbugiardato, in modo smaccato, e impunemente, da quelli della Lega. Dal team Bossi-Castelli.

Dunque Sofri. Un anno fa Berlusconi scrive al 'Foglio' che non vede l'ora che quella grazia venga concessa. Indica la possibile motivazione su come istruire la richiesta di grazia. Soprattutto mostra una persuasione profonda. Tanto che quando qualcuno, conoscendo Berlusconi, dice a Sofri di non fidarsi, viene redarguito perché sembra impossibile dubitare di toni tanto convinti e sinceri. Ma, come accade spesso con Berlusconi, quello che dice non significa niente e non porta ad alcuna conseguenza. Infatti Castelli fa tranquillamente sapere al Presidente della Repubblica che di chiedere la grazia per Adriano Sofri non ci pensa proprio. Berlusconi non si muove, non ha niente da dire, non riunisce neppure il suo governo. Eppure Filippo Mancuso ha osservato, a Radio Radicale (23 luglio ore 23.50), che è il governo nel suo insieme da un lato, e il presidente della Repubblica dall'altro a formare un procedimento di grazia. E che, in simili condizioni (parere del Capo dello Stato, del capo del Governo e di gran parte del Parlamento), il Guardasigilli, non può rifiutarsi di istruire la pratica senza commettere omissione di atti di ufficio.

Poi c'è la storia dell'ultima legge vergogna, quella che conferisce a Berlusconi l'immunità a vita per qualunque reato, compresi quelli commessi prima della politica e da privato cittadino. Anche qui Berlusconi ci dà la sua parola: "Io non sono interessato, la legge non è per me, se mai ne beneficeranno altri. L'ha voluta il presidente della Repubblica e l'ha votata il Parlamento". Con questa frase Berlusconi, fin dal mese scorso (quando l'ha pronunciata) attribuisce valore incontrovertibile a un chiarimento che, a quanto si apprende dai legislatori della Casa delle Libertà - e secondo quanto confermano giuristi ed esperti di tutte le tendenze - il Capo dello Stato ha preteso che fosse espresso con chiarezza nella legge: l'immunità ferma i processi ma non impedisce e non ferma le indagini. Dunque sicuramente non le rogatorie internazionali (vuol dire chiedere chiarimenti e documenti alle autorità giudiziarie di altri Paesi). Anche questa volta, dunque, quando Castelli ha messo le mani nella giustizia, esercizio che non gli compete perché è interferenza in un potere autonomo, e ha fermato atti che lui doveva soltanto inoltrare senza alcuna valutazione, il ministro della Giustizia ha sbugiardato il suo primo ministro. Vero, il più delle volte Berlusconi si sbugiarda da solo. E se lui non ha riguardo per la sua parola, come potrebbero averla i suoi più scomposti alleati?

Ma adesso siamo a questo punto. In due mosse il ministro della Giustizia del più strano Paese del mondo ha negato (fino a renderlo ridicolo) ciò che aveva appena detto il suo presidente del Consiglio. Ha sbattuto la porta in faccia con malagrazia al Capo dello Stato. E, per buona misura, ha insultato il suo sottosegretario, reo di competenza giuridica, un fatto che al ministro deve sembrare sospetto, forse un tradimento. E ha insultato tutto il partito del suo sottosegretario, al punto da far dire al Presidente della Camera, che un partito non può smentire una legge.

A questo punto tutto l'Ulivo chiede le dimissioni del ministro o il procedimento parlamentare di "sfiducia personale", una forma di giudizio che certo calza perfettamente alla figura, alla vita e alle opere di Roberto Castelli. Noi all'Unità, non ci vanteremo di avere scritto subito "CASTELLI DEVE DIMETTERSI". Troppo grande e troppo ovvio era l'abuso di potere che ha commesso bloccando una rogatoria che riguarda Berlusconi. Fermare una indagine mettendo le mani su documenti giudiziari è un atto da golpe. Castelli potrà reclamare il titolo a cui tiene di più, l'incompetenza, ma la gravissima violazione rimane, e in tanti, anche dalla sua parte, glielo fanno pesare. Resta la domanda: come mai nel governo Bossi-Berlusconi tutto il potere sembra passato a Bossi, politicamente l'alleato più irrilevante e elettoralmente il più piccolo, caratterialmente il più pericoloso (anche dal punto di vista di chi se lo tiene vicino)? Fini sembra ridotto a uno di quegli inservienti che puliscono la pista del circo dopo il passaggio degli elefanti. Follini dovrà dare adesso la sua prova, e non potrà dire ancora, nonostante la sua innata ragionevolezza, "abbiamo chiarito tutto". Questa storia è irragionevole, oltre che illegale e immorale. E se si collega questa storia con le affermazioni fatte da Bossi, negli stessi giorni a Treviolo ("in settembre la Lega si scatenerà, con le baionette innestate") con le fotografie inviate da un circolo di destra all'Unità, in cui si vedono leghisti di Viadana (Mantova) in parata con striscioni che dicono: "Devoluzione - secessione", con la frase con cui un rilevante leader della Lega, Borghezio, maledice, via Ansa, il sindaco di Torino per avere parlato di voto agli immigrati, si ha il quadro di un violento sbando nel vuoto della politica italiana, nel mezzo di un rischioso e incontrollato disordine costituzionale. I cittadini ormai lo sanno: Berlusconi non sa governare. Finito un comizio ne comincia un altro, e basta. Ma è talmente incapace o è anche soggetto a un ricatto?

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