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Unità-La vecchia Europa e il futurista Bush-di Antonio Tabucchi

La vecchia Europa e il futurista Bush di Antonio Tabucchi La prima volta che l'Europa viene chiamata con disprezzo "Vecchia" (quel disprezzo volgare che certi ragazzotti maleducati manifestano con...

22/02/2003
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l'Unità

La vecchia Europa e il futurista Bush
di Antonio Tabucchi

La prima volta che l'Europa viene chiamata con disprezzo "Vecchia" (quel disprezzo volgare che certi ragazzotti maleducati manifestano con le persone anziane) è nell'aprile del 1909. Succede a Milano ma viene fatto in francese, in parte per ragioni di diffusione, in parte perché l'autore dell'invettiva è un italiano nato ad Alessandria d'Egitto e cresciuto a Parigi, perciò tendenzialmente francofono: Filippo Tommaso Marinetti. Il luogo dell'invettiva è la rivista letteraria Poesia, organo del gruppo che Marinetti sta raccogliendo intorno a sé, i Futuristi, e precede il Secondo Manifesto di quel movimento intitolato Uccidiamo il chiardiluna!
Questo secondo proclama, specifica Marinetti, nasce dall'esigenza di rispondere per le rime agli insulti con i quali il "Futurismo trionfante" è stato ricevuto dalla "Vecchia Europa". Per "Futurismo trionfante" Marinetti intende quel Manifesto del Futurismo da lui stesso pubblicato pochi mesi prima sul quotidiano pariginoLe Figaro dove, con un solenne plurale di maestà, egli dichiarava: "Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbricitante, il passo ginnico, il salto pericoloso, gli schiaffi e i pugni". E qui Marinetti, in opposizione alla "Vecchia Europa" e alla sua cultura stantia, esprimeva il proprio concetto di modernità: "Noi dichiariamo che lo splendore del mondo si è arricchito di una nuova bellezza: la bellezza della velocità. Un'automobile ruggente che sembra correre sulle ali della mitraglia è più bella della Vittoria di Samotracia. (...)Noi vogliamo demolire le biblioteche, combattere il moralismo, il femminismo e tutti i vigliacchi. (...)Noi vogliamo glorificare la guerra, unica igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo". Di lì a non molto, a mettere in pratica questi principî ci avrebbe pensato Mussolini (fra le cui braccia Marinetti si rifugiò) aggredendo la Libia e l'Abissinia, e poi il medesimo in coppia con Hitler, aggredendo la "Vecchia Europa" e scatenando la seconda guerra mondiale.
La "Vecchia Europa" segnata da una "pensosa immobilità" contro cui il futuro Cavalier Marinetti (un altro dei Cavalieri di cui può fregiarsi l'Italia) si scagliava, era l'Europa di scrittori e intellettuali che si chiamavano André Gide (che nel 1908 aveva fondato la Nouvelle Revue Française), Julien Benda, il futuro premio Nobel Romain Rolland (che allo scoppio della prima guerra mondiale avrebbe fatto scalpore con il pamphlet pacifista Al di sopra della mischia, e poi con la Dichiarazione di indipendenza dello spirito cui aderirono fra gli altri Einstein, Bertrand Russel e Benedetto Croce), Henri Barbusse, Heinrich Mann (che per la sua opposizione ai nazisti finì prima in Francia e poi negli Stati Uniti), Robert Musil (che con I turbamenti del giovane Törless nel 1906 aveva dimostrato di non prediligere l'educazione militare come Marinetti), Edward H. Foster (la cui Camera con vista del 1908 doveva risultare al gesticolante Marinetti di un'insopportabile raffinatezza "passatista"), Gaetano Salvemini (la cui Rivoluzione Francese del 1905 esaltava dei valori quali Liberté-égalité-fraternité, davvero troppo "vecchi" per Marinetti). Questa "Vecchia Europa" contro la quale Marinetti si scagliava era in sostanza quell'Europa di scrittori, pensatori, filosofi e intellettuali che nel 1935, arricchita da una generazione più giovane (Brecht, Babel', Pasternak, Malraux eccetera) si sarebbe riunita a Parigi in un incontro che segnò un evento di grande portata simbolica, il Congresso Internazionale degli Scrittori per la difesa della Cultura (su questo argomento si legga il bellissimo saggio di Sandra Teroni edito due anni fa da Carocci, Per la difesa della cultura. Scrittori a Parigi nel 1935. Ed era contro questa cultura, contro questo "vecchiume" che già tuonava il "moderno" Marinetti strillando in quel suo proclama: "La guerra, nostra sola speranza, nostra ragion di vita e nostra unica volontà! Sì, la guerra! Contro di voi che morite troppo lentamente!". A meno di un secolo di distanza, le parole di Marinetti sembrano ritornare sulle labbra dell'attuale presidente degli Stati Uniti, George W. Bush. Colpa della Storia? Forse. Ma, come diceva Josif Brodskij sui corsi e ricorsi della Storia, anche la Storia, al pari degli uomini, non ha poi tante scelte. E tante scelte non pare averle neanche George W. Bush, incalzato dalle compagnie petrolifere e dalle poderose fabbriche di armi che l'hanno sostenuto in campagna elettorale e che in questi ultimi anni hanno fabbricato tonnellate e tonnellate di ordigni. I magazzini vanno svuotati, altrimenti il ciclo di produzione si inceppa. Le bombe, al pari dello yogurt, hanno una data di scadenza, e la società dei consumi esige che vengano consumate, e come consumatori gli americani hanno scelto il popolo iracheno. Per ora, perché forse consumeremo tutti lo stesso prodotto, dato che anche il dittatore comunista della Corea del Nord ha dei prodotti che desidera far consumare, e perfino il Pakistan, filoamericano a forza, ma in realtà percorso da ventate di fondamentalismo islamico che il generale di turno insediato da Washington cerca di tenere a freno, ha le sue bombe atomiche da spacciare. L'Uranio, si sa, è un elemento impaziente.
Dal suo punto di vista, e statistiche alla mano, il presidente degli Stati Uniti non ha tutti i torti: noi moriamo troppo lentamente, come diceva Marinetti. Grazie alla qualità della vita, viviamo troppo a lungo, e l'Europa diventa sempre più vecchia. I bambini iracheni, poi, nel morire rivelano una lentezza esasperante. Vedendo i rari documentari che mostrano le corsie degli ospedali pediatrici di Bagdad, quei corpicini macilenti impossibili da curare per la mancanza di farmaci causata dal blocco americano, si capisce che impiegano a morire più dello stretto tempo necessario. Forse, in fondo, quella di Bush è un'idea a suo modo filantropica: abbreviare le sofferenze. E anche i bambini palestinesi ammazzati dai carri armati israeliani nei territori occupati da Ariel Sharon (al quale il Belgio ha appena riaperto il processo per genocidio) non muoiono poi in numero così sufficiente come potrebbero. E nemmeno i bambini israeliani che saltano in aria nei supermercati o negli autobus per i kamikaze palestinesi sono poi così numerosi come potrebbero, forse perché i genitori terrorizzati li tengono troppo in casa: un bel missile sul tetto scagliato da un Saddam Hussein aggredito dagli americani alzerebbe le statistiche. L'indice tanatos-mibtel della Borsa di Mortalità Infantile è decisamente in ribasso.
Ma, oltre che sulla necessità di una bella igiene del mondo, Bush mostra con Marinetti affinità anche sulla sua concezione della modernità, o meglio di ciò che è "nuovo" e di ciò che è "vecchio". Fino a poche amministrazioni fa l'America, che all'Europa deve il fatto di esistere come l'America che è, ha sempre sentito un senso di filialità verso il continente che l'ha generata. Sapeva di essere un Paese ricco e potente, ma anche giovane, molto giovane: un giovanottone robusto e vitaminizzato, con delle spalle possenti quanto l'Empire State Building e larghe come il ponte di Brooklin.
Ma sapeva che sotto le fondamenta dell'Empire non c'erano le pietre del Partenone né sotto i piloni del ponte di Brooklin le pietre del Colosseo o le fondamenta di Lutezia. C'erano le praterie dove prima scorrazzavano le mandrie selvagge dei bufali e le libere tribù dei nativi sterminati in un genocidio che poi Hollywood ci ha fatto vedere con Piccolo grande uomo oBalla coi lupi. Questa giovinezza, peraltro con le ammirevoli doti proprie della giovane età (l'energia, la buona volontà, la natura, l'innocenza - quelle virtù celebrate nel più bel poema della letteratura americana, leFoglie d'erba di Whitman) era intesa da buona parte della società medio-colta americana, e dalla migliore classe politica, nel suo lato positivo sì, ma anche con tutti i limiti che la gioventù comporta, il rovescio della medaglia dell'energia e dell'innocenza: l'ingenuità, la mancanza di esperienza, la fragilità culturale (nel senso più profondo di "elaborazione di cultura") di un Paese che per organizzarsi in forma sociale ha avuto bisogno dei modelli della vecchia Europa.
E nei momenti in cui, come negli anni del Maccartismo, l'America ha avuto la minaccia di idee simili a quelle non della "Vecchia Europa", ma della giovane Europa o della giovane Italia (perché il fascismo lo inventa l'Italia nel '#8216;22: è più giovane di Marinetti), i suoi valori sono stati difesi da persone come Einstein, per esempio, che in America trovò rifugio e senza la quale forse non avrebbe fatto tutte le sue geniali scoperte, ma anche senza il quale l'America non sarebbe la potenza scientifica che è.
L'arrivo dell'amministrazione Bush è coinciso con la pienezza di quella che viene chiamata "rivoluzione tecnologica", anche se essa era già in atto. E anche se, già al tempo della guerra fredda, le due potenze, Unione Sovietica e Stati Uniti, misuravano la propria superiorità sulla rispettiva superiorità tecnologica, dopo il crollo dell'Unione Sovietica gli Stati Uniti sono rimasti assoluti padroni del campo. E da allora in poi la tecnologia ha subito un'evoluzione incredibile in ogni sua applicazione, dalla medicina alla biologia, dalle comunicazioni agli armamenti. Un presidente come Bush, texano che in vita sua ha visto solo vacche e pozzi petroliferi, che non ha mai viaggiato, che ignora totalmente il mondo, che non parla nessuna lingua oltre al suo inglese dal lessico limitato, con un grado di cultura basso e con un quoziente di intelligenza che non pare entusiasmante (le sue risposte alle interviste in diretta in questo sono eloquenti) ha probabilmente equivocato fra "tecnologia" e "civiltà". Per lui la "tecnologia" è l'equivalente di civiltà e di cultura. Il resto (dal diritto romano all'habeas corpus, da Aristotele a Kant a Hegel a Bertrand Russel al diritto internazionale alla Carta dei Diritti Umani all'Onu) non esiste. Anzi, è "roba vecchia". Con un concetto molto vago dell'intelligenza, ripone la sua fiducia nelle bombe "intelligenti" per risolvere sbrigativamente (crede) il problema del terrorismo internazionale e di certi ingombranti personaggi che i servizi segreti del suo Paese hanno costruito con le loro mani. Del resto basta vedere come ha ridotto le garanzie di una democrazia che sembrava solida e che nelle sue mani si è dimostrata di una fragilità allarmante: i tribunali militari, le procedure d'urgenza, i diritti dei prigionieri, la libertà di esprimere il proprio pensiero o di manifestarlo pacificamente con la propria presenza fisica. È la sua idea della "modernità" rispetto alla "Vecchia Europa". E che trova un corrispettivo nell'ideologia senza ideologia dell'Italia del governo Berlusconi, col suo "nuovo che avanza", la modernità intesa come "modernizzazione", la trimurti "culturale" che Berlusconi predica, il vitello d'oro delle tre i: inglese, informatica, impresa.
Una modernità tecnologico-economica che i due "friends" hanno scambiato per "civiltà occidentale", e che dunque possono permettersi di anteporre ad altre civiltà. Una "modernità" sconsiderata, priva di radici, di fondamenta e di saggezza, privata di istituzioni di garanzia, direttamente subordinata alla propaganda televisiva. Una "modernità" altamente pericolosa, percorsa dalla tentazione totalitaria. Una "modernità" che non ha capito i rischi che tale "modernità" reca con sé, quelli contro i quali già alzava la voce Allen Ginsberg nella poesia America: "America quando finiremo la guerra umana?/ Va' a farti fottere tu e la tua bomba atomica/' / America perché le tue biblioteche sono piene di lacrime?/' / America dopo tutto siamo tu e io a essere perfetti non il mondo vicino/' / Il tuo macchinario è troppo per me/' / Lascerai che la tua vita emotiva sia guidata dalla rivista Time?/' / America tu in realtà non vuoi fare la guerra./ America sono quei Russi cattivi./ Quei Russi e quei Cinesi. E quei Russi./ La Russia vuole mangiarci vivi. La Russia è pazza di potere. Vuole portarci via le automobili dai garages./ Vuole impadronirsi di Chicago. Ha bisogno di un Reader's Digest Rosso/ Vuole le nostre fabbriche di automobili in Siberia. Che la sua grossa burocrazia diriga le nostre stazioni di rifornimento./'/ America è questa l'impressione che ricevo guardando la televisione./ America è giusto?" (la poesia di Ginsberg è citata nella traduzione di Fernanda Pivano, Mondadori 1965).
È questa l'America che la "Vecchia Europa" ama: la voce di tutti coloro che hanno messo in guardia l'America dalla sua grandezza, e che per questo l'hanno fatta grande altrimenti. È l'America della Long Island che accoglieva gli emigranti provenienti da un'Europa che non riusciva più a sfamarli, e che li accoglieva mettendo in pratica gli ideali di uguaglianza che la "Vecchia Europa" aveva inventato ma che non sapeva mettere in pratica; l'America degli uomini che vennero in Spagna a combattere il franchismo; l'America che scese in guerra contro il nazi-fascismo spuntandola sull'altra poderosa America, quella reazionaria che guardava con simpatia a Hitler e Mussolini.
Il missilistico presidente texano non ha capito che, comunque sia, la "Vecchia Europa" ama l'America di Hemingway, di Salinger, di Joseph Heller, di Noam Chomsky, di Susan Sontag, di Woody Allen, di Oliver Stone, di Sidney Pollack, di Robert Redford, di Sean Penn, del New York Times, del Watergate, del Premio Pulitzer, di Bob Dylan, di Joan Baez, di Louis Armstrong, di Chet Baker, di Pollock, di Hopper, di Richard Avedon - ma la lista sarebbe infinita: quell'America che George W. Bush detesta, che appartiene all'Europa e al mondo e nella quale ci sentiamo tutti americani.
Questa è l'America della civiltà. La "nuova civiltà" a cui pensano George W. Bush, la petroliera Condoleezza Rice, il disco rotto Colin Powel, il mitragliere Rumsfeld, gli oscuri personaggi che lavorano nei sotterranei della Cia, questo "nuovo" non è altro che un vecchio arnese degno di "revenants", di zombie ritornati in circolazione. Hanno qualcosa di riciclato, per noi europei sono terribilmente stantii, vecchi decrepiti. Le poesie che gli si addicono sono Zung Tumb Tumb, la descrizione fonosimbolica della guerra del Cavalier Marinetti oppure gli scoppi del Bombardamento di Tripoliche tanto eccitavano i suoi versi.
Ma perché Mister Bush non segue il consiglio di Allen Ginsberg, lui e la sua bomba atomica?


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