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Unità-L'ora dei falchi e delle iene

16.06.2003 L'ora dei falchi e delle iene di Antonio Padellaro La prima domanda è: chi ha vinto? La prima risposta è: ha stravinto l'astensione. Qualcuno può appropriarsi di quel 74 per cento ...

17/06/2003
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l'Unità

16.06.2003
L'ora dei falchi e delle iene
di Antonio Padellaro

La prima domanda è: chi ha vinto? La prima risposta è: ha stravinto l'astensione. Qualcuno può appropriarsi di quel 74 per cento di elettori che hanno disertato le urne? Qualcuno potrà dire: gli italiani ci hanno dato retta e sono andati al mare? In teoria, possono farlo tutti i partiti che hanno trasmesso questa indicazione, e che, complessivamente, rappresentano il 92 per cento dei voti. Un po' troppi perché qualcuno possa davvero cantare vittoria. Più interessante, allora, parlare di chi ha perso. Soprattutto, di cosa si è perso.

Escono sconfitte le forze che hanno promosso il referendum sull'estensione dell'articolo 18? Indubbiamente sì. Fausto Bertinotti lo ha ammesso subito, e senza accampare scuse. Ha aggiunto che, adesso, la strada dell'alleanza tra Prc e Ulivo si fa più impervia. Pecoraro Scanio, portavoce dei Verdi, critica il resto del centrosinistra e parla di boicottaggio. Scorie inevitabili che, tuttavia, non dovrebbero intaccare i rapporti nell'opposizione, e scalfire l'unità alla base del buon successo nelle amministrative di domenica scorsa. Da parte dei Ds e della Margherita, favorevoli all'astensione, si cerca di non fare polemiche, e di guardare avanti. Ci sembra l'atteggiamento più saggio. Per esaltare il senso di una battaglia disperata eppure degna di essere combattuta, il segretario di Rifondazione ha citato il poeta Kavafis: "Onore a quanti si ergono a difesa delle Termopili". È vero: chi si batte rischia sempre qualcosa. Sono però le sconfitte annunciate, quelle che bruciano di più. Non è pensabile che un leader esperto come Bertinotti non abbia valutato fino in fondo la difficoltà di raggiungere il quorum. È stato giusto rischiare tanto e fino a questo punto?

Pensiamo che dopo aver visto Berlusconi trionfare due anni fa, anche a causa del mancato accordo tra Ulivo e Rifondazione, gli elettori del centrosinistra non vogliano mai più consolarsi con i versi (bellissimi) che celebrano una disfatta.

Ha perso la Cgil? Sì, stando al risultato elettorale. No, se si guarda al risultato politico. Va ricordato che il sindacato guidato da Epifani non ha promosso il referendum. Che vi ha aderito con una scelta difficile, e non condivisa dall'ex segretario Sergio Cofferati. La Cgil era cosciente della enorme difficoltà di raggiungere il quorum, ma come poteva rinunciare a una battaglia per la estensione delle tutele e di diritti? Non ce l'ha fatta a vincere, ma quei dieci, undici milioni di "Sì" sono, comunque, un patrimonio di energia e di fiducia da investire per la difesa dei meno garantiti. Sembrano averlo compreso i segretari di Cisl e Uil, contrari al referendum ma da ieri più convinti della necessità di fare fronte comune contro i "falchi" del governo e della Confindustria.

Falchi o iene?, verrebbe da chiedersi dopo aver ascoltato certe dichiarazioni. Soprattutto quelle del presidente della Confindustria. D'Amato ha detto che il voto sul referendum mette fine a due anni di "mistificazioni e di bugie" sull'articolo 18. E che a causa di questa "campagna di disinformazione", c'è stata la morte di Marco Biagi. Un uso della sofferenza altrui che lascia senza parole. Prima è stato Berlusconi ha ribattezzare con il nome del professore ucciso dalle Br, le norme sulla cosiddetta flessibilità, che è poi il nuovo mercato del lavoro fondato sul precariato e sull'operaio a ore. È la legge Maroni, ma per gli spot televisivi del governo è subito diventata la legge Biagi. Accompagnata da immagini di giovani felici di farsi licenziare, con il sottofondo di una allegra musichetta. Adesso D'Amato accusa la Cgil di essere una sorta di mandante morale dell'assassinio. Ritorna, dunque, la calunnia, a suo tempo, scagliata contro Cofferati. Un oltraggio vergognoso nei confronti dei familiari di Biagi. E del loro dolore, dato in pasto ai tg della sera.

La vittoria delle astensione ridà fiato ai nemici dello Statuto dei lavoratori. Zittiti dalle grandi manifestazioni sindacali, dai tre milioni di persone a Caracalla, adesso confondono volutamente la battaglia per la difesa con la battaglia per l'estensione dell'articolo 18. Piazze piene urne vuote, declama il solito D'Amato. Chi è il mistificatore?

Oltre che per colpire la memoria di Biagi e i diritti sindacali, il voto di ieri può essere sfruttato per demolire l'istituto referendario. La fuga degli italiani dai seggi, viene spiegata in vario modo. C'è chi, come Mastella, vede la stanchezza della democrazia diretta, di un ruolo di supplenza rispetto alle leggi del parlamento che i cittadini non vogliono più assumersi. Marco Pannella propende invece per la tesi della delusione: la gente sa che anche se vince non cambia nulla. Purtroppo, questo 75 per cento di astenuti è una buona notizia per Berlusconi. Perché crea molti problemi a coloro che progettano referendum sulle leggi ad personam. E può scoraggiare chi, come Antonio Di Pietro si prepara a raccogliere le firme per l'abrogazione della norma, di imminente approvazione, sulla sospensione dei processi alle alte cariche dello Stato. Ma con queste percentuali si rischia di regalare al premier inquisito una formidabile patente di immunità, sancita e rafforzata dal voto popolare. Forse, con l'uso dei referendum si è esagerato. Forse, bisognava pensarci prima.
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