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Unità-Il bene della Repubblica

06.09.2003 Il bene della Repubblica di Furio Colombo Forse si tratta di un grande scherzo. Forse questa è la storia di un miliardario stravagante, meravigliato lui stesso di un vasto e imme...

07/09/2003
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l'Unità

06.09.2003
Il bene della Repubblica
di Furio Colombo

Forse si tratta di un grande scherzo. Forse questa è la storia di un miliardario stravagante, meravigliato lui stesso di un vasto e immeritato consenso. Aveva condotto una campagna elettorale con forti tratti di comicità, assecondato da un certo Vespa che gli aveva arredato uno studio della televisione pubblica dove lui ha sfidato lo humour e il buon senso di tanti presentando un "patto con gli italiani" fatto di gallerie e grandi opere che fingeva di tracciare su un grande foglio con pennarello sicuro, mentre in realtà stava ricalcando tracce già predisposte da altri. Presumibilmente voleva "vedere l'effetto che fa", come dice Iannacci. Lo scherzo era clamoroso, perché "il contratto" era scritto in modo da sfidare l'avanspettacolo, e molti capocomici non l'avrebbero accettato per eccesso di effetti e trovate.

Ma gli è andata bene. Neanche lui si aspettava che tanti commentatori di provata fede liberale gli accorressero intorno mentre lui mostrava, con atteggiamenti deliberatamente sprezzanti, di non curarsi affatto del suo clamoroso conflitto di interessi. Controlla tutte le televisioni, licenzia, assume, accantona, mette in luce chi vuole e come vuole nel mondo tutto suo delle informazioni, regola le assicurazioni da assicuratore, determina i destini dei grandi gruppi concorrenti da governante, favorisce alla luce del sole l'esenzione fiscale delle sue imprese, sottomette l'ultima radio libera, Radio radicale, o almeno così sembra ascoltando le rassegne stampa di Taradash e Capezzone.

Quando, fra qualche anno, si andranno a rivedere le carte di questo strano periodo italiano e del più grande conflitto di interessi fra vita privata e potere di governo che ci sia al mondo si troverà soltanto il nome di Giovanni Sartori fra coloro che avrebbero avuto autorità o dovere di denunciare un simile stato di cose.

La meraviglia di Berlusconi deve essere stata grande. Si è trovato intorno una folla. Una folla di commentatori, primopaginisti, corsivisti, una folla di giornali, una folla di direttori (salvo quelli prontamente licenziati), una folla di "portaaportisti", quei coraggiosi leader del giornalismo che vanno da Vespa per interrogarsi con ansietà sugli estremismi della sinistra italiana, e per domandarsi se questa sinistra sia adatta, casomai, in futuro, per governare. Mentre rimane lì, accanto a loro, senza risposta, la lunga lista di drammatiche e ineludibili domande presentate a Berlusconi dal giornale finanziario inglese "The Economist".

Pensate alla Telekom-Serbia, una delle tre commissioni-farsa destinate a permettere alla maggioranza di investigare l'opposizione. Berlusconi sapeva benissimo che simili commissioni violano le regole e la pratica democratica, che nessun Paese, tranne, forse, il Guatemala le avrebbe concepite e accettate. Dovunque, nel mondo, le commissioni parlamentari si creano per investigare il governo, i suoi poteri e l'uso di quei poteri. Non un altro governo, ma il governo in carica. Pensate alla commissione Mitrokhin, con tanto di noto e affermato giornalista-presidente che, benché padre di illustri comici, si trattiene dal ridere e tuona sul niente (salvo la denigrazione di qualche galantuomo che è morto, come si diceva una volta, di crepacuore), sulla cenere di un passato finito che gli hanno messo in mano affinché i commessi del Parlamento potessero dirgli "Buongiorno, presidente", ogni volta che lo vedono aggirarsi senza scopo nei corridoi.

Berlusconi sapeva benissimo di essere stato lui - tramite l'amico Tronchetti Provera - a rivendere Telekom-Serbia a Belgrado. È questo il "rovinoso affare" di cui parla, con volto triste, l'onorevole Trantino, presidente della ormai rinomata commissione d'inchiesta, pensando al danno che - lui dice, compunto - Prodi e Fassino hanno inflitto allo Stato. Eppure lui sa che il "rovinoso affare" risale alla felice epoca di Berlusconi, tanto che il primo ministro jugoslavo Djindjic ha potuto dire (e dovrebbe essere a verbale presso la commissione Telekom Serbia): "Un così buon accordo è stato possibile per il cambiamento politico in Italia", ovvero per la vittoria del condottiero della Casa delle Libertà. Berlusconi, da imprenditore, sapeva benissimo che, se vendi male e realizzi "una perdita colossale" (definizione ad uso di tutte le televisioni del presidente di Telekom-Serbia) non puoi risalire all'indietro e dare la colpa a chi, in altri tempi, ha comprato. In nessuna azienda si può fare. Forse lui stesso si è domandato con curiosità se un buon avvocato come Trantino avrebbe accettato un simile gioco, pur di restare alla presidenza della famigerata commissione (è stato appena rieletto). E Berlusconi deve essersi meravigliato per primo quando ha dovuto constatare che - per prudenza - nessun giornale italiano ha voluto ricordare che Telekom-Serbia era stata "rovinosamente" venduta alla fine dell'anno 2002, in pieno governo Berlusconi, e che, per quella vendita, il governo Berlusconi è stato pubblicamente ringraziato dal governo jugoslavo.

* * *

Forse è tutto uno scherzo, e lui ha provato a vedere fino a che punto l'opinione giornalistica di questo Paese sarebbe rimasta obbediente, passiva o distratta. Per esempio, mentre il Tg1 gli prepara ogni sera, come prima o seconda o, al massimo, terza notizia: "Nuovi sviluppi su Telekom Serbia", lui afferma e conferma: "L'85% della stampa italiana, della tv di Stato e anche di Mediaset è di sinistra. Sono contro di me e sono in contatto con la stampa straniera che ha un club a Roma".

Volete che non sappia anche lui che sta dicendo cose che sono vistosamente false o ridicole o inaudite? Lo sa, ma ogni volta che ha provato a dirle, per esempio quando ha detto e ripetuto: "I magistrati sono un cancro da estirpare", o quando ha fatto dire al suo portavoce: "I giudici sono un'associazione criminale con fini eversivi", sapeva benissimo di passare ogni limite. E di passarla liscia.

Forse anche lui ha osservato con stupore le tre tipiche reazioni del mondo mediatico italiano affollato di fan e sostenitori volontari:

a) far finta di non sentire;
b) farsi subito gravi domande sul destino della sinistra che non riesce a fare proposte e non è capace di tenere a bada i girotondi;
c)inseguire sin nei vicoli, con denigrazioni di ogni tipo, coloro che appaiono affetti da "ossessione berlusconiana", solo perché registrano i fatti e continuano a raccontarli. Costoro (cioè noi) vengono segnalati come il nemico (avventuristi, estremisti, massimalisti, complici dei terroristi) alla sinistra "ragionevole", quella invitata a tacere e a fare la brava opposizione tranquilla.

Certo, persino Berlusconi, qualche volta, si sarà fermato stupefatto ad ascoltare voci da sinistra che ci ammoniscono ad abbandonare "l'ossessione berlusconiana". Si sarà detto: "Va bene, possiedo tutto, controllo tutto, assumo, licenzio, intimidisco come voglio. Ma come ho fatto, dicendo le cose che ho detto, governando come ho governato, a meritarmi tanta comprensione a sinistra"?

Bisogna dire che ha ragione lui. Una simile tolleranza, caso curioso di scambio fra mitezza di visione del mondo e risposta soffice al grave pericolo che incombe sulla Repubblica, è difficile da spiegare. Non coincide con l'attuale sistema elettorale, che è maggioritario e richiede contrapposizione netta e continua fra una parte e l'altra, persino quando tutte e due le parti sono normali e civili. Certo non coincide con la situazione eccezionale (abbiamo spesso detto, e ripetiamo, di emergenza) che stiamo vivendo.

Come non vedere che un regime esiste davvero se c'è corrispondenza fra proposte illegali e risposte supine, fra gesti che rompono alcuni tratti essenziali della Costituzione, (ma anche il costume, il rispetto, la convivenza comune), e la vastità di un consenso di media che in parte è obbligato, e in parte è un'offerta volontaria, in una atmosfera di silenzi e divagazioni che resteranno il segno triste di quest'epoca?

* * *

Adesso, direte, c'è stato il più inaudito, il più intollerabile degli eventi, l'incredibile insulto ai magistrati e la "denuncia" da parte di quel poco di stampa di opposizione che resta in Italia. Questa volta anche alcuni giornali, compreso il nuovo Corriere della Sera, hanno reagito. Adesso, direte, ci siamo tutti svegliati e stiamo tutti guardando verso i balconi delle ville di Porto Rotondo con la dovuta indignazione. Adesso alcuni commentatori sembrano scuotersi dal torpore, sembrano pronti a denunciare l'evento (un primo ministro, mentre è presidente d'Europa, dichiara i giudici del suo paese "malati di mente") non senza aggiungere, però, un paio di paragrafi per dire che chi ha visto per primo il pericolo e ha chiesto per tempo attenzione verso lo strano fenomeno (per esempio, questo giornale) è altrettanto colpevole. Curiosa idea che rafforza le accuse a l'Unità che Berlusconi formula nella stessa intervista in cui dà del matto ai giudici.

Certo, siamo forse a una svolta, in questa parte tormentata e critica della storia della nostra Repubblica. Ma siamo in attesa di capire se si interromperà la sequenza che finora ha segnato i più gravi eventi italiani: ogni volta che Berlusconi è slittato fuori dai doveri più elementari della sua carica e dai principi della buona educazione e del senso comune, subito si è parlato d'altro o si è fatto finta di non sentire o si è raccomandato all'opposizione di abbassare i toni.

Ecco il punto dolente e cruciale. Una dopo l'altra, abbiamo attraversato e superato ogni crisi - per quanto grave, per quanto insultante per le leggi e la Costituzione italiana - scegliendo la tecnica della "Sesta" di Beethoven: passata la tempesta, i fiati annunciano il ritorno del sereno. E si sussurrano frasi come la seguente: "Se loro propongono più poteri per il premier, e se noi, in passato, abbiamo proposto la stessa cosa, perché adesso non dovremmo lavorare insieme per un premierato forte?"

Ci dicono che è un bene, che è per la pace della Repubblica, che è nella natura del Parlamento. Ci dicono che, per lavorare insieme, dobbiamo abbassare i toni. Strano, ogni volta, il ritorno di questa frase. In questo paese le urla giungono dal Palazzo (ma forse, come ho detto, è un grande scherzo, e lui vuole capire fino a che punto tanti sono disposti a continuare ad applaudire, a fingere entusiasmo o a tacere), e l'opposizione viene zittita o resa scomposta e ridicola nelle loro televisioni (che sono tutte). I TG aprono puntualmente con "nuovi sviluppi su Telekom-Serbia". E i giornali liberi, come l'Unità, nonostante il robusto numero di copie venduto in edicola, non ricevono pubblicità perché nessuno se la sente di dispiacere a lui. Ma - ci dicono - dobbiamo abbassare i toni.

Ecco dunque le mura che ancora fanno da schermo allo strano mago di Oz che governa l'Italia. Sono: i toni bassi, che fanno comodo al controllo delle notizie; la storia della delegittimazione, curioso espediente per denunciare i più legittimi atti di opposizione tentando di colorali di illegalità e di immoralità; il "fare le riforme insieme", come se, ogni volta, sul modello delle liti in famiglia, fosse una buona cosa dimenticare il passato e riprendere la conversazione. È la trovata della tempesta. Quando è passata, via, torniamo al lavoro. Non è passata. Passerà solo col voto.

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