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Unità.Finanziaria al via senza rigore e contro lo sviluppo. Ministri in rivolta contro Tremonti

Finanziaria al via senza rigore e contro lo sviluppo. Ministri in rivolta contro Tremonti di Pasquale Cascella e Bianca Di Giovanni Che sindrome è? "Potrei votare contro", avverte per tempo An...

30/09/2002
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Finanziaria al via senza rigore e contro lo sviluppo. Ministri in rivolta contro Tremonti
di Pasquale Cascella e Bianca Di Giovanni

Che sindrome è? "Potrei votare contro", avverte per tempo Antonio Marzano. "Sono perplessa pure io", fa eco Letizia Moratti. "Se non si approva prima il decreto sul federalismo fiscale non si fa proprio niente", minaccia Umberto Bossi. "Io mi preoccuperei di più della costituzionalità del blocco delle addizionali Irpef per le autonomie locali", compete in materia Enrico La Loggia. Avanti il prossimo. È con una gran voglia di alzare la voce che la gran parte dei ministri, almeno quelli che non debbono l'incarico a chissà quale grazia ricevuta, sono arrivati domenica sera a palazzo Chigi. Per un Consiglio dei ministri domenicale, anticipato rispetto all'ultimo giorno canonico per il varo della Finanziaria, più anomalo che raro. E nessuno deve saperlo quanto Silvio Berlusconi, che ha dovuto sacrificare i festeggiamenti per il suo 66mo compleanno in famiglia e tra gli "amici veri", con tanto di serenata di Michele Apicella. Fatto sta che, messo piede nello studio ufficiale che così poco ama, non riesce a contenere il malumore, proprio mentre il Governatore della Banca d'Italia s'affaccia nell'androne con l'aria di chi, se solo potesse, manderebbe tutto all'aria. C'è un che di sornione nel sorriso del supervisore incaricato da Carlo Azeglio Ciampi di controllare che non si combinino più danni del dovuto, come a pregustare il momento in cui forse toccherà a lui racconterà la verità ostentatamente negata dal palazzo.
E forse proprio perché sente il fiato sul collo, Berlusconi sbotta all'impatto con il fido Gianni Letta: "Lo faccio io, oggi, il sermone". Difficile dire se sia irritato o ispirato dallo sfacciato omaggio di Francesco Cossiga: una copia, appunto, de "I Sermoni" di padre Antonio Vieira, gesuita portoghese del Settecento incarcerato dall'Inquisione per la sua lotta alla schiavitù degli indigeni. Tant'è: se prigioniero si sente, Berlusconi lo è di se stesso. Dei suoi metodi. Del suo lassaiz faire. Ma, soprattutto, del suo ottimismo di maniera. All'inizio dell'estate anche gli orbi e i sordi vedevano e sentivano dove tirava e come fischiava il ciclone della congiuntura. Ma lui aveva messo nero su bianco che sarebbe bastata una manovra da 12 miliardi di euro, vale a dire circa 24 mila miliardi delle care lirette. Adesso siamo a quota 20 miliardi, quasi 39 mila miliardi nella vecchia moneta. Se tre mesi di tempo di rose e fiori sono costate il doppio alla collettività, chissà cosa c'è da attendersi ora che lo stesso premier si è convertito alle stigmate dei sacrifici.
Già, chi li deve compiere questi sacrifici? "Tutti", aveva ammesso il premier, vittima di un lapsus froidiano. Corretto nel giro di 24 ore: "I cittadini no. Per i cittadini non cambierà nulla. Anzi...". La litania sempre quella è: i meno fortunati e i meno abbienti godranno della riduzione Irpef, quindi si consumerà di più e i maggiori consumi favoriranno la produzione industriale e questa si tradurrà in investimenti, quindi ci sarà più occupazione, arriverranno nuove entrate e, finalmente, vedremo il miracolo...
Mai aspettarsi da un imbonitore la verità. Per dire: a conti fatti, quella che Giulio Tremonti spaccia come la "più grande riduzione di Irpef mai fatta" risulta ben inferiore alla dinamica della riduzione uniforme della pressione fiscale avviata dai governi di centro sinistra. Scontata la levata di scudi del ministro del pallottoliere: lui, poverino, mica poteva prevedere che con le due Torri di New York sarebbe crollata l'economia mondiale. Ma, a parte che un autorevole esponente della stessa maggioranza, Bruno Tabacci, rinfaccia che "la crescita zero non si può ascrivere soltanto all'effetto degli attentati alle Torri genelle", una congiuntura come questa non si governa certo scialando, come si è fatto finora, con gli aggiustamenti contabili.
Negata a parole, la verità s'impone nei fatti. Nella storia parlamentare delle manovre di bilancio una Finanziaria da 40 mila miliardi di lire è sempre stata da lacrime e il sangue. E Berlusconi può cercare di piazzare la merce che vuole, ma il prezzo quello è. Scontato, persino, dallo spostamento di due anni da parte dell'Unione europea del pareggio del bilancio. A carico dei "Ministeri, Amministrazioni pubbliche, Enti, Comuni, Province e Regioni"? E sia. Ma ministri, amministratori, sindaci, presidenti provinciali e governatori regionali gestiscono servizi sociali fondamentali in un paese civile: istruzioni, sanità, trasporti, previdenza e l'elenco potrebbe continuare all'infinito. Dal centro alla periferia. E non è che una volta che il Ponzio Pilato di palazzo Chigi si lava le mani dal peccato, qualcun altro non deve andarsi a sporcarsi le proprie con i tagli.
Quella verso il Consiglio dei ministri della Finanziaria è così diventata una sorta di via Crucis per tutti i condannati agli 8 miliardi di euro di tagli e ottimizzazioni della spesa pubblica. Innanzitutto, la Moratti. Il ministro dell'Istruzione, che già aveva dovuto ridimensionare la sua controriforma della scuola e aveva a stento trattenuto la voglia di andarsene, adesso si sente dire che deve tagliare ancora: bidelli, supplenze, locali, suppellettili. Roba da bestemmia, altro che crocifisso in ogni classe. Né meno preso in giro si sente Marzano, un altro pronto alle dimissioni: pochi, ma lui i soldi ce li ha, non li deve chiedere, ed è pure pronto a condividerli, in quel Comitato di indirizzo per i fondi al Mezzogiorno risultato essere il male minore rispetto all'esproprio tentato da Tremonti, a condizione che possa continuare a sovraintendere alla distribuzione delle risorse. Non aveva fatto i conti, però, con la doppiezza della parola di Berlusconi: gli aveva concesso la presidenza nel vertice politico, ma appena Gianfranco Fini è passato all'incasso della cambiale firmata da Tremonti al momento della forzatura, ovvero la delega del Fondo unico al vice ministro Mario Baldassarri, il premier ha cambiato idea. Rocco Buttiglione, alleato di Marzano, s'inalbera: "Se l'accordo cambia, la nostra firma non è scontata". Forse, ha un prezzo più alto. Già, Buttiglione ha la soluzione pronta: "Meglio rinviare". Vecchia scuola, si potrebbe dire, visto che anche l'ex dc (ma approdato in Forza Italia) Enrico La Loggia suggerisce di coprire con un po' di felpa e di flemma ("Un decreto non serve, meglio sarebbe un disegno di legge... Poi, se il testo lo vuol scrivere Bossi, per me non c'è problema") l'aut aut sul federalismo fiscale con cui Umberto Bossi ha pensato bene di tacitare la rivolta delle Regioni, di centrodestra o centrosinistra che siano. E pensare che persino Roberto Formigoni si è dato alla mossa: "È indubbio che l'enorme carico di lavoro che grava su Tremonti può a volte essere d'ostacolo alle sue capacità d'ascolto". Trova, per sua fortuna, orecchie sensibili in La Loggia, che per evitare di inciampare nella incostituzionalità del congelamento delle addizionali Irpef degli enti locali consiglia di "non fare scelte precipitose". C'è da scommettere che così finirà, taglia qua, ricuci là; sposta qui, rinvia lì. Se ne dicono di cotte e di crude nella notte, ma il tempo stringe e la coerenza stenta. Non si può davvero far aspettare il capo dello Stato. Che poi Ciampi possa ritrovare qualcosa di quel "rigore e sviluppo" che personalmente ha praticato è tutt'altro discorso.


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