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Unità-Fermate chi dà fuoco alle pensioni

.2003 Fermate chi dà fuoco alle pensioni di Laura Pennacchi Le pensioni sembrano destinate a tenere infiammato il dibattito politico di settembre. Il governo fin qui si è contraddistinto per u...

31/08/2003
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l'Unità

.2003
Fermate chi dà fuoco alle pensioni
di Laura Pennacchi

Le pensioni sembrano destinate a tenere infiammato il dibattito politico di settembre. Il governo fin qui si è contraddistinto per un coacervo di dichiarazioni e di smentite fra proposte e controproposte. Dietro il bailamme, però, un filo emerge con chiarezza a unificare tutte le proposte di fonte governativa in campo: ridurre il ruolo del pubblico nella previdenza - esattamente come nella sanità e nell'istruzione - e modificare l'equilibrio previdenza pubblica/previdenza privata a vantaggio di quest'ultima, segnatamente a vantaggio non dei fondi pensione collettivi ma dei conti assicurativi individuali. È questa la comune finalità su cui convergono i vari esponenti del governo, compreso il ministro Maroni.
I distinguo e le differenziazioni riguardano, in realtà, le modalità, le gradualità, le tattiche, tattiche con cui ciascuna forza governativa si conferma del tutto aliena da visioni ispirate al "bene comune" e attenta corporativamente solo a quelli che considera i propri elettori di riferimento, siano questi i pensionandi di anzianità o i lavoratori autonomi o i dipendenti pubblici.
Il ministro Maroni, lungi dal poter coerentemente atteggiarsi a paladino delle pensioni, è uno dei più determinati interpreti di questa filosofia demolitrice del sistema pubblico. Sua è, infatti, la proposta della decontribuzione fino a cinque punti dell'aliquota previdenziale che è già contenuta nella delega approvata da un ramo del Parlamento e che non è stata affatto tolta dal tavolo, dove mantiene, anzi, la sua centralità visto che il governo propone non di sostituirla ma di affiancarla alle altre in discussione, dagli incentivi per rimanere al lavoro, ai disincentivi per chi va in pensione di anzianità, all'innalzamento coattivo dei limiti di età fino a 62 anni secondo il premier Berlusconi.
Non può essere dimenticato né sottovalutato quanto la decontribuzione sia funzionale al disegno di compromissione delle funzioni pubbliche: essa, infatti, pone sulla finanza nazionale oneri aggiuntivi, privi di copertura, pari a 0,5-0,8 punti di Pil, apre in prospettiva una falla gigantesca nei bilanci dell'Inps, ridurrà ulteriormente le prestazioni già tanto esigue dei più giovani, con buona pace di quel "patto equo fra le generazioni" di cui, evidentemente, il ministro Maroni parla senza sapere quello che dice.
La filosofia distruttrice del ruolo pubblico intesa in termini estensivi, e cioè anche come distruzione dello spirito pubblico e dell'etica pubblica e della responsabilità collettiva, è l'unica vera barra che il governo Berlusconi ha finora seguito ed essa è la causa determinante del suo drammatico fallimento in materia economica e sociale. Deresponsabilizzato da un'ispirazione che affida lo sviluppo agli automatismi del "meno tasse, meno Stato" e animato dalla volontà di privilegiare dimensioni "affaristiche" di breve termine e "classiste" pre-ottocentesche, il governo in carica non ha affrontato nessuno dei problemi reali del paese, mentre ha compromesso il risanamento finanziario realizzato dall'Ulivo e ha dissipato una mole enorme di risorse. Dalla soppressione dell'imposta di successione per i grandi patrimoni (bruciati più di duemila miliardi di vecchie lire all'anno), alla Tremonti bis (dissipati almeno altri quattromila miliardi), alla sanatoria per i capitali portati illegalmente all'estero con l'obolo del 2,5% (la Germania ha imposto un'aliquota del 25%, oltre a non consentire l'anonimato), alla ventina di fattispecie diverse di condoni e di proroghe di condoni, a cui si aggiungerà il desolante condono in via di predisposizione per l'edilizia.
Intanto la crescita economica è sotto lo zero, i prezzi aumentano e per alcuni beni di largo consumo addirittura raddoppiano, gli investimenti (specie in ricerca e sviluppo e in innovazione) ristagnano, la specializzazione produttiva rimane staticamente ancorata a settori tradizionali maggiormente esposti alla concorrenza dei Paesi emergenti, nessuna nuova impresa media o grande sembra avere la forza per imporsi nel deserto lasciato dalla pressoché totale scomparsa della grande impresa nazionale, il livello di istruzione e di formazione della popolazione e della forza lavoro viene spinto ulteriormente verso il basso. In una parola dobbiamo fronteggiare un declino che il governo - attraverso il ministro Tremonti - prima ha pervicacemente negato e perfino dileggiato e adesso cerca di esorcizzare: sul piano produttivo con l'evocazione dello spettro del "pericolo giallo" cinese, sul piano della finanza pubblica con il tentativo di strappare condizioni più permissive in merito al rispetto del patto di stabilità.
Ora, per l'appunto, sembra che il governo - nella persona del solito Tremonti - voglia offrire a Bruxelles uno scambio per cui a una maggiore tolleranza per misure che la Commissione europea ha sempre considerato con diffidenza (come l'eccesso di ricorso a una tantum) farebbe riscontro l'inserimento nella prossima Finanziaria di almeno un terzo di tagli strutturali - i quali non potranno che essere costituiti da decurtazione delle pensioni - ritenendosi per il resto libero di proseguire imperterrito con la propria politica economico-sociale, quella stessa politica di cui i malcapitati cittadini italiani sperimentano già il disastro e gli esiti negativi. In sostanza, tagli alle pensioni come salvacondotto per la possibilità di andare avanti, in materia economico-sociale, come se nulla fosse.
E a tutto ciò che l'opposizione deve commisurare il suo atteggiamento rispetto a quanto il governo avanza e avanzerà in tema di pensioni. La contrapposizione riformisti-massimalisti ancora una volta si rivela sterile, rischiando di risolversi nella più banale contrapposizione tra "subalterni" e "minoritari", gli uni e gli altri impotenti a generare adeguate risposte di merito ai problemi aperti. Un riformismo serio ha, in questo caso, una domanda semplice a cui rispondere preliminarmente: al governo Berlusconi-Tremonti-Maroni, oggi in netto discredito e in grandi affanni anche per la caduta di consensi elettorali, l'opposizione può offrire una ciambella di salvataggio - costituita dall'assecondamento di un intervento sgangherato sulle pensioni - la quale poi sarebbe utilizzata dal governo stesso per mantenere inalterata la sua politica economica, di cui invece l'opposizione considera acclarato il fallimento?
Incrementare il tasso di attività generale, aumentare l'occupabilità degli anziani favorendone effettivamente il prolungamento della vita lavorativa, fronteggiare attivamente la complessa transizione demografica in corso, sono tutte finalità proprie dell'universo valoriale e programmatico del centrosinistra. Un universo la cui ricchezza dev'essere ulteriormente alimentata, che la complessa costruzione di una grande forza riformista europea non vuole nemmeno incidentalmente generare operazioni moderate dal lato dei contenuti e vuole, al contrario, allargare l'orizzonte programmatico e riformatore.
In materia di Welfare le finalità suddette si realizzano con istanze e strumenti adeguati, dall'estensione dei diritti anche per i giovani precari - come gli ammortizzatori sociali, di cui invece non c'è più traccia negli sproloqui del centrodestra - a forme di "invecchiamento attivo", a partire dal ritiro graduale - part-time per coloro che raggiungono i requisiti per andare in pensione - e da un vero e capillare piano di formazione degli adulti e degli anziani.
Cose per le quali una grande rivoluzione culturale attenderebbe anche la Confindustria, ossessionata dalla sola riduzione del costo del lavoro, e le imprese, assai solerti nel liberarsi delle coorti 55-65 anni non appena le persone raggiungono i limiti per andare in pensione.
Ma non c'è da farsi illusioni. Si tratta di istanze e di strumenti del tutto estranei alla regressiva cultura del centrodestra, la quale oggi riscopre perfino i "pasti gratis per i poveri", combinandoli con la persistente volontà di trasformare l'imposta personale in due sole aliquote, la maggiore delle quali al 33%, con cui i redditi annui dei 350 milioni delle vecchie lire riceverebbero un regalo fiscale di 50 milioni l'anno. Davvero un bell'esempio di conservatorismo compassionevole!


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