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Unità-Energia, la strana anomalia chiamata Italia

09.2003 Energia, la strana anomalia chiamata Italia di Pietro Greco Non lasciamoci ingannare dalle apparenze. L'Italia non è restata al buio per un'improvvisa carenza di energia. Ma per un'anti...

28/09/2003
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l'Unità

09.2003
Energia, la strana anomalia chiamata Italia
di Pietro Greco

Non lasciamoci ingannare dalle apparenze. L'Italia non è restata al buio per un'improvvisa carenza di energia. Ma per un'antica mancanza di politica energetica. E ciò che dobbiamo fare per evitare un nuovo black out non è produrre più energia, ma qualificare meglio la nostra politica dell'energia. Gestionale e strategica. I tecnici diranno, nei prossimi giorni, quali sono state le cause prossime del black out che ieri ha lasciato al buio l'Italia intera, con l'unica eccezione della Sardegna. Tuttavia possiamo già rilevare che il sistema di gestione dell'energia elettrica è troppo rigido e si affida a troppi automatismi, se un black out locale si propaga immediatamente all'intera nazione. Eppure ci avevano assicurato che quello che era avvenuto a New York e in Canada il mese scorso non sarebbe potuto succedere in Italia, perché noi vantiamo tecnologie più flessibili e moderne. Evidentemente non è così.

Allo stesso modo il governo, per bocca del Ministro delle attività produttive Arturo Marzano, ci dice che da un punto di vista strategico il black out è la conseguenza di una mancanza di energia. E che la soluzione sta nel produrre più energia. Eppure i dati non ci dicono questo. I dati ci dicono che il problema italiano non riguarda la quantità, ma la qualità dell'energia prodotta. È il modo in cui ci procacciamo l'energia di cui abbiamo bisogno che ci espone a una serie di rischi, compresi quelli del black out. In estrema sintesi, i nodi qualitativi del problema energetico sono tre. Ciascuno di questi nodi rappresenta un'anomalia in Europa e in Occidente.

Il primo è la scarsa diversificazione delle fonti. L'Italia consuma, in un anno, energia pari a 188 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio). Ebbene, oltre l'80% dell'energia consumata, per un totale di 150 Mtep, è fornita da due sole fonti: il petrolio e il gas naturale. Ciò rende estremamente fragile il nostro sistema energetico. Il progetto del governo di costruire nuove centrali termoelettriche non attenua, ma anzi accresce questa anomalia tutta italiana.

Il secondo nodo riguarda l'anomala dipendenza dall'estero, soprattutto per l'approvvigionamento della forma più nobile di energia, quella elettrica. Non si tratta solo e non si tratta tanto della dipendenza che deriva dall'importazione diretta di energia elettrica dalla Francia o da altri paesi vicini (l'energia elettrica direttamente importata non supera il 5% dell'energia elettrica consumata). Ma si tratta anche e soprattutto della dipendenza che deriva dall'importazione massiva dei tre combustibili fossili (petrolio, gas e carbone) con cui produciamo l'89% dell'energia elettrica che consumiamo. L'Italia è l'unico paese dell'Europa e dell'Occidente che dipende dall'estero per oltre l'80% nella produzione di energia elettrica. Solo i "piccoli" Irlanda e Portogallo si avvicinano a questa soglia.

Questo tasso di dipendenza dall'estero ha un valore strategico notevole. Perché rende debole l'Italia non solo in ambito strategico, ma in un più complessivo ambito geopolitico. Ancora una volta il governo Berlusconi, proponendo la costruzione di nuove centrali termoelettriche, alimentate con combustibili fossili da importare, finisce per aggravare e non per lenire questa debolezza strutturale tutta italiana.

Il terzo nodo, infine, riguarda la scarsa capacità di innovare. L'Italia continua a procacciarsi energia con strumenti e metodi "vecchi". Il 79,5% dell'energia elettrica che produciamo direttamente viene da centrali termoelettriche (petrolio, gas, carbone). E il 17,6% da centrali idroelettriche. Nel primo caso abbiamo a che fare con fonti tradizionali e inquinanti. Nel secondo caso abbiamo a che fare con una fonte rinnovabile, poco inquinante, ma ormai tradizionale. Insomma produciamo il 97,1% dell'energia elettrica in Italia con fonti "vecchie".

Oggi sono considerate innovative le fonti rinnovabili non idroelettriche. In particolare l'eolico e, soprattutto, il solare. Nell'eolico sono leader del mondo Germania e Stati Uniti. Nel solare sono leader Germania, Giappone e Stati Uniti. In Danimarca l'eolico produce il 15% dell'energia elettrica totale. In Italia la quota di eolico e solare insieme non l'1,2%. Non solo la Germania, il Giappone e gli Usa, ma anche la piccola Austria ha più pannelli solari dell'Italia, che pure suolo definirsi il paese del sole.

Innovare e puntare, come indica l'Unione Europea, sulle fonti alternative endogene non idroelettriche (eolico, solare, geotermia) dovrebbe essere una priorità assoluta per il nostro paese. Perché consentirebbe non solo di iniziare finalmente a sciogliere i nodi strategici della sua debolezza energetica, aumentando la diversificazione delle fonti e la flessibilità di gestione della rete, diminuendo la dipendenza dall'estero. Ma anche di attenuare il rischio e lenire gli effetti dei black out, parziali come quelli d'inizio estate, o totali come quello die ieri. Se gli alberghi d'Italia avessero avuto sui loro tetti un po' di pannelli solari, ieri avrebbero evitato di lasciare al buio i loro allibiti clienti (per lo più, ironia della sorte, tedeschi e austriaci). Nei programmi del governo delle fonti endogene rinnovabili non idroelettriche non v'è traccia.

Un discorso a parte merita il nucleare, che molti hanno evocato nelle ore e nelle settimane scorse. Il nucleare classico non è un'opzione credibile per l'Italia. Perché è costosa, richiede forti investimenti e tempi lunghi, non ha risolto i suoi problemi di fondo (gestione dei rifiuti, per esempio). Altro discorso , invece, riguarda il "nuovo" nucleare, quello cosiddetto di IV generazione. Che si annuncia piccolo, poco costoso, intrinsecamente sicuro e senza scorie. In questo nucleare, forse, conviene investire. Ma si tratta di investimenti in ricerca scientifica e tecnologica. Uno dei tanti settori ove il governo Berlusconi sta allegramente tagliando.


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