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Unità-Due Idee di Sinistra

Due Idee di Sinistra di Piero Sansonetti Dalla riunione della Direzione dei Ds di ieri è emersa l'immagine di un partito spaccato a metà. Con una maggioranza compatta, guidata da Fassino e da D...

15/10/2002
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l'Unità

Due Idee di Sinistra
di Piero Sansonetti

Dalla riunione della Direzione dei Ds di ieri è emersa l'immagine di un partito spaccato a metà. Con una maggioranza compatta, guidata da Fassino e da D'Alema, molto determinata a svolgere il suo ruolo, e che pone al centro di tutto un tema semplicissimo: il ritorno del centrosinistra al governo. E una minoranza (che ieri ha raccolto sulla sua mozione circa un quarto dei voti) che contesta alla radice la politica e l'analisi di Fassino e D'Alema.
Anche questa appare molto unita, molto decisa, ma con un punto debole: è incerta sulla proposta politica concreta da opporre a quella di maggioranza. È indietro su questo terreno.
La frattura tra i due tronconi dei Ds è così grande da aprire prospettive di separazione (di scissione si diceva una volta)? Al momento sembrerebbe di no, anche perché è assolutamente evidente che una scissione danneggerebbe tutti. Però la lontananza tra i due pezzi del gruppo dirigente - che appartengono alla stessa generazione, che provengono da identiche esperienze politiche, che fino a due anni fa dividevano le stesse responsabilità di governo e condividevano un unico progetto politico - si è fatta ormai così grande da rendere assai difficile, nel breve periodo, qualsiasi ravvicinamento. E in politica, quando le divisioni diventano permanenti e pregiudiziali, ogni ipotesi è possibile: anche al di là della volontà dei protagonisti. Ieri, nel dibattito, i dirigenti si chiamavano l'un altro per nome, molto affettuosamente: Pietro, Giovanna, Fulvia, Massimo, Livia e - naturalmente - Piero. Si chiamavano per nome e duellavano. Nel vecchio Pci, Ingrao non ha mai polemizzato con Amendola chiamandolo Giorgio, e nessuno mai si è rivolto a Berlinguer chiamandolo Enrico. Né queste cose succedevano nel Psi di Nenni, di De Martino e di Lombardi. Però i gruppi dirigenti di quella vecchia sinistra erano uniti da uno 'stile' e da una solidarietà che questo gruppo dirigente dei Ds non ha più. E aumentato il grado di confidenza ma è diminuita l'unità di fondo.
La linea espressa dalla maggioranza - prima nella relazione di Fassino, e poi in un intervento molto impegnato e particolarmente lucido di D'Alema - potrebbe essere riassunta così: la crisi e le incapacità politiche della destra stanno spingendo il paese fuori dal mondo dei grandi. Lo stanno facendo scivolare verso la 'periferia' dell'Occidente e della potenza economica. Il ceto politico berlusconiano si è dimostrato non all'altezza del compito, per incapacità, per mancanza di uomini e di idee, per la debolezza delle ricette economico-sociali, per il peso negativo che gli interessi privati di Berlusconi hanno avuto sulla sua politica. Il rischio è la rovina dell'Italia. Il compito della sinistra dunque è quello di salvare il Paese. Governando la crisi, attenuandola, riducendone i contraccolpi, e avviando una modernizzazione - economica, industriale, culturale, sociale - che gli permetta rapidamente di rimettersi al passo coi grandi. Per fare questo c'è bisogno di un nuovo blocco politico e sociale, che comprenda - insieme alla sinistra e ai suoi ceti tradizionali - consistenti settori moderati, dell'impresa, della borghesia democratica. Ma per costruire questo blocco occorre un programma politico non massimalista, non di rottura, non radicale. Più o meno il programma con il quale l'Ulivo ha governato nella seconda metà degli anni 90. Anche sul piano internazionale bisogna adeguarsi agli attuali assetti dell'occidente, cercando di modificarli - contrastando i disastri della dottrina Bush - ma non con fughe in avanti, bensì con un'azione unitaria europea che non escluda l'uso della forza. D'Alema ha detto che se alla dottrina Bush si contrappone il puro pacifismo, vince la dottrina Bush: perché resta l'unica proposta in campo, concreta, contro il terrorismo.
La debolezza di questa analisi, a una prima lettura, sta nel fatto che aggira alcuni dei temi attualissimi imposti dalla cronaca e dalla politica. Non fornisce una ricetta su come affrontare gli squilibri creati nel mondo dalla globalizzazione (il tema è stato quasi assente nella relazione di Fassino), e non prende di petto la crisi del capitalismo italiano (non solo nella sua componente berlusconiana, ma anche in quella, ancora preponderante, legata al mondo della Fiat), non ne analizza le caratteristiche, non ne cerca le cause, non indica rimedi.
La minoranza però non ha affondato le sciabolate su questi temi, su queste debolezze (tranne forse Fulvia Bandoli, che ha pronunciato un discorso molto contenuto nei toni ma ferocemente critico, chiedendo che il confronto politico avvenga sulle idee e sui programmi: quale modello di sviluppo, quale welfare, quali pensioni, quale politica estera, quale politica ambientale, quale critica della globalizzazione). La minoranza, nel suo insieme, è sembrata un po' ferma al vecchio dibattito sulle formule (quale Ulivo, quale modello organizzativo, quale principio di maggioranza, come si vota, chi vota, cosa contano i Ds), e alla fine è stata un po' spiazzata da D'Alema che a questi argomenti ha dedicato una parte minuscola del suo intervento.
Così si è creato un po' un paradosso. Perché, rispetto a un anno e mezzo fa (quando si svolse la prima riunione di Direzione dopo la sconfitta elettorale), la minoranza ha avuto ragione su molti temi: dal giudizio sulla globalizzazione fino a quello su Berlusconi e sulla sua non affidabilità democratica (un giudizio abbastanza simile a quello sul quale oggi si basa l'analisi di Fassino e D'Alema). E ha anche potuto contare sull'insperato sostegno di un movimento di massa e di un'opinione pubblica molto più forti, radicali e attivi di quanto si potesse pensare un anno e mezzo e fa. E tuttavia nel partito si è rafforzata la componente che si fa chiamare riformista (quante dispute intorno a questa parola!), che oltretutto oggi sembra vicina alla soluzione del suo contenzioso con la Margherita e quindi in grado di realizzare una unità ancora più grande.


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