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Unità-Devolution, una legge "papocchio" per un accordo di cartapesta

Devolution, una legge "papocchio" per un accordo di cartapestac di Luana Benini Tutti cantano vittoria dopo un braccio di ferro lungo sei mesi. Bossi, i centristi, An. E Berlusconi pubblicizza il...

08/04/2003
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l'Unità

Devolution, una legge "papocchio" per un accordo di cartapestac
di Luana Benini

Tutti cantano vittoria dopo un braccio di ferro lungo sei mesi. Bossi, i centristi, An. E Berlusconi pubblicizza il suo nuovo miracolo: ho messo tutti d'accordo. Ma è davvero così? L'unica cosa certa è che lunedì prossimo la Camera voterà le dodici righe della devolution di Bossi (così il capo della Lega potrà rivendersele per le prossime elezioni amministrative) e venerdì il consiglio dei ministri varerà il ddl di riforma della riforma del Titolo V della Costituzione che comprende quelle dodici righe inserendole però in un contesto che le annacqua di molto perché le competenze esclusive regionali in materia di sanità, scuola, polizia locale vengono condizionate dal "rispetto dell'interesse nazionale". Cioè della clausola "salvapatria" che An ha imposto strada facendo.

Su questo punto il partito di Fini aveva anche presentato emendamenti specifici alla devolution, poi ritirati dopo che Bossi aveva dato in escandescenze minacciando di far saltare la coalizione. Perché Bossi le sue dodici righe le voleva così, nude e crude.
Cosa accadrà dopo è difficile prevederlo. Ancora ieri mattina il capogruppo della Lega Nord, Alessandro Cè e il capogruppo dell'Udc, Luca Volonté si scambiavano fraterne ingiurie (l'uno accusava l'altro di affondare nella "palude democristiana", l'altro gli rinfacciava di essere "attore dell'agenzia avventure romanzesche") il tutto per mandare messaggi precisi a Berlusconi prima della riunione "tecnica" a palazzo Grazioli. L'Udc: non siamo disposti a votare la devolution se prima il consiglio dei ministri non vara la riforma del Titolo V. La Lega: inaccettabile prendere ancora tempo con la scusa di un ddl più ampio, la devolution va votata così com'è. L'accordo trovato recita che la devolution viene approvata dalla Camera e si procede all'incardinamento della riforma del Titolo V che ingloba la devolution. Punto e basta.
Per ora il nazionalismo di Fini e il separatismo di Bossi, difficili da far quadrare, hanno trovato una composizione fittizia tramite un artificio politico. E nel centro destra An e Udc spiegano che l'approvazione della devolution lunedì prossimo "è del tutto superflua", e quello che conta è il testo di riforma (della riforma dell'Ulivo) del Titolo V. Ma la resa dei conti sembra solo rinviata. È difficile prevedere come andrà a finire la partita e se Bossi accetterà di mantenere le sue 12 righe in stand by finché non sia approvato, in capo ad un anno almeno, il testo più generale che le ingloba. A farne le spese, nel frattempo, la Costituzione italiana strattonata da una parte e dall'altra, ostaggio di un tira e molla e di prove di forza. Mentre si profila un pasticcio istituzionale senza precedenti perché ci si troverà nella condizione, spiega Gianclaudio Bressa, Margherita, "di avere due testi di riforma costituzionale sugli stessi argomenti". Al contempo, è calendarizzato alla Camera proprio per questa settimana il ddl La Loggia di attuazione della riforma dell'Ulivo sul quale si è già conclusa la discussione generale e che i governatori in coro chiedono sia approvato al più presto. Lo stesso presidente forzista della Conferenza delle Regioni Enzo Ghigo osserva: "È impensabile discutere di federalismo in tre momenti diversi". Un marasma. E qui sta il punto.

Venerdì si conoscerà il testo definitivo messo a punto nella riunione di ieri a casa del premier, a Palazzo Grazioli. Secondo le anticipazioni, il testo partorito dopo mesi di trattativa cancella le materie concorrenti (22 introdotte dall'Ulivo): Stato e regioni avranno solo competenze esclusive che saranno esercitate "nel rispetto dell'interesse generale". Ne deriva che il ddl La Loggia di attuazione della riforma dell'Ulivo non ha più ragion d'essere perché si occupa, fra l'altro, dei criteri per governare la legislazione concorrente. Ne deriva anche, fa notare Bressa, che proprio la clausola "salvapatria", recuperando il principio gerarchico fra Stato e Regioni apre un contenzioso difficilmente governabile, secondo Bressa, fra il legislatore locale e quello nazionale: "In realtà la riforma del Titolo V ingloba la devolution di Bossi in un quadro di centralizzazione che ci allontana da qualsiasi riforma federalista dello Stato". Insomma si terremota di nuovo il sistema mentre già con la riforma dell'Ulivo ci sono stati alcuni passaggi di competenze fra Stato e Regioni. E questo rimette in discussione anche le leggi Bassanini. Infine, se da una parte si riequilibra sul pericolo secessionista, dall'altra si fa una concessione straordinaria a Bossi prevedendo la possibilità di istituire con legge costituzionale nuove regioni con minimo un milione di abitanti quando ne facciano richiesta almeno un decimo degli elettori residenti in quel territorio e la proposta sia approvata da referendum fra gli stessi residenti.


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