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Unità-Come ai tempi dei servizi deviati

Come ai tempi dei servizi deviati di Nicola Tranfaglia Non c'è vicenda critica o drammatica della storia dell'Italia repubblicana nella quale di fronte a un contrasto politico su cui si concentra...

29/06/2002
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l'Unità

Come ai tempi dei servizi deviati
di Nicola Tranfaglia

Non c'è vicenda critica o drammatica della storia dell'Italia repubblicana nella quale di fronte a un contrasto politico su cui si concentra l'attenzione dei media e, di conseguenza, dell'opinione pubblica, non si usino, da parte di chi ha il potere, dei servizi segreti puntualmente poi definiti "deviati", dossier e rivelazioni in grado di indicare possibili colpevoli e di suggerire ai telespettatori e ai lettori la spiegazione del dramma.
È successo così, per fermarsi a un caso traumatico di oltre vent'anni fa, per il rapimento e l'assassino di Aldo Moro dove per giorni e giorni si è parlato di testimonianze poi non risultate attendibili e di lettere dello statista diverse da quelle recepite dalla magistratura e puntualmente si verifica ogni volta che siamo di fronte a un episodio della lotta politica o sindacale che divide il paese e le differenti forze politiche.
È come se una parte della classe politica al potere non tollerasse il dissenso, soprattutto se espressione non di una sola persona ma di grandi masse popolari e, di fronte a un'opinione pubblica divisa e magari incerta sulla posizione da prendere, intervenisse con una regia accorta quanto oscura per far pendere la bilancia dalla parte che le sta a cuore.
La vicenda tragica dell'economista Marco Biagi, ucciso da terroristi di cui ancora oggi non sappiamo molto dalle indagini di polizia, è, in questo senso, esemplare e ripercorre scenari che purtroppo si sono più volte ripetuti nella nostra storia recente. Al centro dello scenario torbido che caratterizza tutta la storia c'è un governo che non ha ancora fornito nessuna spiegazione su un elemento che si è rilevato decisivo nella dinamica dell'assassinio: c'è un uomo che si sente in pericolo per le telefonate minatorie che ormai da mesi riceve e, malgrado l'importanza del suo lavoro e le lettere che invia al presidente della Camera, al ministro del Lavoro, al sottosegretario, al prefetto di Bologna, non riceve nessun aiuto e nessuna risposta seguita dai fatti.
Qui sorge un primo interrogativo a cui né il governo né gli altri interlocutori hanno mai risposto: perché a Biagi non è stata data la scorta? Perché si è sottovalutato il pericolo o perché si voleva creare la vittima?
È una domanda terribile e crudele a cui gli italiani vorrebbero che fosse data una risposta ed è vergognoso - come ha detto Sergio Cofferati - che di fronte a questo elemento di fondo si continui a non rispondere, addirittura a ignorarlo completamente come se il comportamento dell'esecutivo non fosse carico di pesanti responsabilità e non meritasse di essere condannato dal parlamento e dalla pubblica opinione.
Il secondo interrogativo riguarda la regia della fuga di notizie che in quest'occasione, come più volte in passato, caratterizza l'inchiesta giudiziaria.
La procura della repubblica di Bologna che sta compiendo le indagini sull'assassinio, qualche ora dopo la diffusione delle notizie arrivate dalla rivista bolognese "Zero in condotta" e riprese con grande larghezza e amplificazione dal quotidiano "la Repubblica", ha dichiarato che le lettere di Biagi di cui dispone sono tre e ha affermato che "agli atti non ci sono lettere di Marco Biagi che parlano di Cofferati".
Vedremo in seguito se le indagini successive accerteranno l'autenticità delle lettere pubblicate ma non c'è dubbio sul fatto che qualcuno abbia scelto il momento politicamente adatto per la pubblicazione piombata come un macigno nella tragica vicenda di Biagi.
Ed è agevole rendersi conto, pur senza conoscere ancora i retroscena della storia, che chi lo ha fatto ha voluto intervenire pesantemente nell'aspro confronto politico e sindacale che oggi divide il governo dall'opposizione, isolare ancor di più la CGIL e Cofferati, far pendere la bilancia a favore del governo e di chi lo sostiene.
In questo senso, se c'è un momento in cui appare vitale e necessario non soltanto per tutta la sinistra ma anche per tutti quelli che rifiutano la logica dei dossier e della calunnia, sostenere le ragioni di chi non è d'accordo con l'attuale maggioranza di centro destra e lotta contro lo smantellamento dei diritti dei lavoratori e dello Stato sociale, il momento è proprio questo.
Per portare a termine la vergognosa operazione contro la maggioranza dei lavoratori, si cerca di isolare, con la forza delle istituzioni e dei media a propria disposizione, il sindacato che ha il maggior numero di iscritti e il maggior consenso sociale nel paese, che il 23 marzo scorso a Roma ha portato tre milioni di italiani a manifestare per la difesa dei diritti, che ha sempre lottato apertamente contro il terrorismo di ogni colore e ha pagato con la vita di Guido Rossa e di tanti altri (basta pensare a tutti i sindacalisti uccisi dalla mafia nella Sicilia del dopoguerra).
Il rischio è grave, così grave da costringere persino alcuni esponenti del governo Berlusconi ad accennare timidamente a far marcia indietro.
Si è trattato, d'altra parte, di un crescendo di intimidazioni e di minacce negli ultimi giorni: contro chi dissente da alcuni mesi nelle strade e nelle piazze definendoli cattivi maestri o vicini ai terroristi, contro questo giornale per la sua campagna che chiedeva al governo chiarezza e senso di responsabilità istituzionale, contro il più grande sindacato dei lavoratori per non aver accettato di trattare sull'articolo 18 (ma non lo avevano deciso tutti insieme i tre sindacati qualche mese fa?), in particolare contro il suo leader Sergio Cofferati che ha fatto il miracolo di spiegare con calma e civiltà perché non accetta un piano del lavoro e della previdenza che punta a indebolire il movimento sindacale e a farne un'entità corporativa e parastatale.
Altro che prove di regime! Qui siamo al tentativo di far tacere il dissenso, soprattutto da parte delle masse popolari, a costo di qualsiasi strappo, utilizzando una vicenda tragica come quella di Biagi, cercando, invece dei veri colpevoli, qualcuno da additare a chi sa poco o nulla di quello che è successo.
Opporsi con metodi democratici e trasparenti diventa una colpa invece di essere il diritto di ogni cittadino di questo paese. È un altro strappo, assai doloroso, alle libertà di cui dovremmo poter disporre pienamente nella democrazia repubblicana.


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