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Unità-Ci siamo perchè vogliamo l'Unità

Ci siamo perchè vogliamo l'Unità di Federico Orlando A poche ore dall'apertura a Castel San Pietro Terme dell'incontro fra i gruppi che hanno dato vita ai girotondi, voglio anch'io ringraziare N...

22/10/2002
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l'Unità

Ci siamo perchè vogliamo l'Unità
di Federico Orlando

A poche ore dall'apertura a Castel San Pietro Terme dell'incontro fra i gruppi che hanno dato vita ai girotondi, voglio anch'io ringraziare Nicola Tranfaglia che un mese fa, su queste pagine, indicò così lo scopo dell'incontro: "Vediamoci per piantare il nuovo Ulivo". Il milione di presenze a piazza San Giovanni rendeva tutt'altro che presuntuoso l'obbiettivo.
L'opposizione al modello antropologico della destra è comune ai gruppi, alle associazioni, alle fiaccole del movimento. Il problema è come inserire il movimento nei rapporti tra forze politiche interessate come noi alla difesa del sistema costituzionale e al suo tradursi in risposte agli accadimenti e ai bisogni nuovi.
Va premesso che organizzazione aperta, strutture fluide e rifiuto di leadership carismatiche sono condizioni perché il movimento si inserisca, appunto, tra forze politiche amiche e non pensi di contrapporvisi e scavalcarle (a parte i modi di comunicare col Paese e anche qualche occasionale necessaria supplenza nell'agorà). Ciò premesso, è del tutto consequenziale l'invito di Tranfaglia ai movimenti a "partire con esplicito riferimento" dai valori che costituirono il programma di Prodi nel 1996. Essi sono: la solidarietà concreta verso i concittadini più deboli e verso i lavoratori; la difesa di tutta la prima parte della Costituzione, i cui valori alimentino i nuovi diritti di cittadinanza, quindi in chiave dinamica; una politica internazionale Europa-pace-ambiente vissuta in modo problematico e non dogmatico; selezione democratica della classe di governo a tutti i livelli, senza caste ereditate dalla società chiusa; coerenza dei comportamenti individuali con la moralità della nuova comunità politica, appunto i movimenti.
Mi permetto di aggiungere due esigenze, che sono implicite nell'invito di Tranfaglia. La prima è che fra le associazioni in cui i cittadini possono riunirsi, la Costituzione individua i partiti politici per "concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". E dunque, proprio perché difendiamo la Costituzione, non possiamo essere contro i partiti, ma solo contro quei partiti personali e partiti-azienda che sono fuori dal metodo costituzionale. La seconda esigenza è che i movimenti riconoscano la democrazia del mercato e ne considerino le aziende come co-protagoniste, al pari dei sindacati, dei lavoratori indipendenti, del terzo settore, della ricerca, del commercio. Questi due riconoscimenti c'erano nel programma di Prodi del 1996. Esso presentava la coalizione come "plusvalore" rispetto alla somma dei partiti che la compongono: di cui dunque non negava il ruolo e la specificità soggettiva, ma, a differenza di Giovanni Sartori che ne consiglia lo stato brado fra un'elezione e l'altra, individuava nel loro progressivo avvicinamento la condizione per acquistare più credibilità nel Paese e progredire verso il sistema bipolare imposto dal maggioritario e anche dalla proporzionale corazzata: vedi Germania.
Ma, soprattutto, il programma prodiano era la traduzione del patto tacito fra la borghesia imprenditoriale e la sinistra politica e sindacale: patto col quale la prima accettava il governo della seconda, ma attraverso la mediazione della cultura storica del "centro che muove a sinistra" per usare la formula degasperiana. Con la caduta di Prodi, finì la mediazione e cadde il patto. La borghesia ne riscrisse un altro con Berlusconi, in chiave non più di collaborazione, ma di blocco sociale. Cioè di egemonia.
Costruire il nuovo Ulivo significa, secondo me, ricostruire il patto del 1996, il "tridente" lavoro-impresa-ceto medio riflessivo; e quindi significa trovare la capacità e i contenuti della nuova mediazione. Per milioni di imprese e lavoratori d'ogni ceto, la speranza berlusconiana è durata meno della speranza ulivista di sei anni fa, non appena il blocco sociale s'è reso conto che l'egemonia non sarebbe stata sua, ma soltanto dei più forti e spregiudicati.
La funzione dei girotondi, che hanno scosso i partiti come Eva risveglia lo spirito torpido di Adamo, è quella di spingere i partiti a trovare la capacità e i contenuti della nuova mediazione. La piazza, che è il movimento stesso quando si fa comunicazione e il coordinamento leggero fra i "centomovimenti", cioè il "non perdiamoci di vista", sono le sole nostre armi e servono di pressione anche sui partiti amici, oltre che di opposizione al governo e alla maggioranza. Non possiamo e non vogliamo omologare le cento soggettività, men che meno possiamo e vogliamo sostituirci ai partiti nel creare il nuovo Ulivo. Dobbiamo solo portare idee al grande albero per convincerlo, noi che nelle piazze stiamo tutti insieme senza chiederci di che sigla siamo, che i nostri partiti non possono disgregare ciò che l'elettorato unifica. Altrimenti sarebbero loro, i partiti, a semplificarsi come "gruppuscoli" e ad essere travolti come ruderi.


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