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Unità-Alunni stranieri: da individui a "quote"

Alunni stranieri: da individui a "quote" Andrea Ranieri L'anno scolastico si è aperto con la tragedia della scuola osseta. I bambini sono entrati nelle classi con negli occhi le immagini di...

18/09/2004
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l'Unità

Alunni stranieri: da individui a "quote"

Andrea Ranieri

L'anno scolastico si è aperto con la tragedia della scuola osseta. I bambini sono entrati nelle classi con negli occhi le immagini di una scuola trasformata in un lager, e di altri bambini atterriti, braccati, umiliati, uccisi. Di fronte a questa tragedia tutti - a partire dal Ministro Moratti - hanno sottolineato il ruolo enorme che può avere, per evitare queste tragedie, una scuola libera e aperta a tutte le culture del mondo, che educhi al dialogo, alla responsabilità, alla pace. Ma sono bastati pochi giorni perché nella stampa nazionale il problema degli immigrati nelle scuole diventasse il problema delle quote, del numero massimo ammissibile di alunni stranieri per classe, per evitare la fuga degli alunni italiani dalle scuole a troppo alta presenza di stranieri. Con una strana inversione, ma ahimè molto significativa, del valore semantico attribuito alla parola "quote", che da politica pubblica di discriminazione positiva volta a fissare il numero minimo di minoranze svantaggiate che una istituzione formativa e non solo deve impegnarsi ad accogliere, diventa il modo per difendere le maggioranze dall'intrusione dei diversi. La cosa, per lo meno nelle sue velleità normative, si sta rapidamente sgonfiando, ma tutto questo è servito ad allontanare l'attenzione dai problemi reali che la politica dell'intercultura incontra nella nostra scuola, e le responsabilità - nonostante le belle parole di inizio anno scolastico del Ministro Moratti - del governo di centro destra.
Innanzitutto sul terreno dei numeri.
I sindacati scuola hanno denunciato la sistematica falcidia degli organici, a fronte di una significativa inversione di tendenza finalmente di segno positivo nelle iscrizioni alla scuola, soprattutto in quella dell'infanzia ed elementare. Il segno "più" è il combinato disposto di una diminuzione dei bambini italiani, e della crescita impetuosa dei bambini stranieri, che raggiungono le 320.000 unità. Un numero che, nonostante la Bossi-Fini, è destinato ad un rapido incremento.
Le politiche di risparmi degli organici, tarate sostanzialmente sull'andamento demografico nazionale, fanno a pugni con l'incremento reale della popolazione scolastica.
Le scuole dell'infanzia si trovano di fronte all'alternativa o di negare il servizio, o di aumentare il numero degli alunni per classe, e l'aumento degli alunni per classe, in ogni ordine di scuola, ma soprattutto nella prima infanzia, è la prima cosa che rende difficili con le politiche dell'accoglienza, che necessitano di percorsi mirati e personalizzati. Il tutto è poi particolarmente pesante quando la riduzione degli organici colpisce quelle figure preposte a "facilitare" con corsi intensivi di lingua, con una specifica attenzione alle dinamiche interculturali, l'ingresso dei bambini stranieri nelle scuole. Né c'è traccia - nonostante siano ormai disponibili esperienze e studi documentati (si veda il volume "Incontri", a cura di Massimiliano Fiorucci, che raccoglie una messe importante di riflessioni e proposte) - della figura del "mediatore culturale", proposto dalla Turco - Napolitiano, non cancellato dalla Bossi-Fini, ma del tutto assente dalle politiche concrete del Governo. Non solo: il Governo ha lasciato morire la Commissione nazionale del Ministero dell'Istruzione per l'educazione interculturale, che doveva ragionare sui mutamenti di prospettiva educativa necessari per accogliere davvero i bambini stranieri.
Non c'è da stupirsi allora che i nuovi programmi della scuola di base siano come scriveva Adriano Prosperi su Repubblica: "una svirilizzata favola edificante cucita intorno all'Europa cristiana, unita e solidale nella stessa identità, senza le crociate, senza l'Inquisizione, senza Lutero e le guerre di religione, senza la caccia agli ebrei e alle streghe, senza la rivoluzione industriale, in una parola senza conflitti né oppressioni, di razza, di classe, di genere (&)". Ma c'è di più: è proprio l'idea di programmi rigidi e prescrittivi, di scansioni obbligate, soprattutto per la storia e la geografia, che contrasta con l'esigenza di innovazione che l'interculturalità pone. Le scuole dell'autonomia frequentate dai bambini stranieri hanno cominciato la storia e la geografia dalla facce, dai sorrisi, dalle ansie e dalle speranze dei bambini, e hanno costruito percorsi che hanno saputo davvero intrecciare il tempo e lo spazio, il territorio e il mondo. Se il Ministro Moratti fosse andata a vedere la mostra sulla "Città educativa", promossa dal Comune di Roma, avrebbe visto lavori fatti dalle scuole che esemplificano concretamente la ricchezza di questi percorsi, e avrebbe avuto qualche indicazione importante sul rapporto che deve intercorrere fra le indicazioni nazionali e la libertà e la responsabilità delle scuole nel progettare la propria offerta formativa.
La realtà vera è che le scuole sono state lasciate sole ad affrontare quella che sarà la questione decisiva per il futuro della scuola, e non solo.
Nei casi migliori hanno trovato un aiuto importante negli Enti Locali, che hanno supportato la progettualità delle scuole, hanno contribuito a metterle in rete con le risorse educative del territorio, hanno fornito facilitatori e mediatori culturali. Ma gli stessi Enti Locali devono oggi fare i conti con i tagli pesanti ai loro bilanci.
Il come evitare l'accesso di concentrazione degli stranieri in alcune scuole a scapito di altre, con pericoli di ghettizzazione e di "sommersione" del problema, è stato in alcune città affrontato mettendo insieme il Comune, le scuole dell'autonomia, gli uffici del Ministero, ma con una finalità orientativa e non prescrittiva, avendo di mira la difesa del diritto dell'apprendimento dei bambini per ragioni linguistiche o sociali più svantaggiati, e la valorizzazione della straordinaria opportunità che la loro presenza nelle scuole offre alla crescita civile e culturale di tutti. Non con quote prefissate dunque, ma con attenzione ai bambini, ai loro livelli di comprensione e di sapere, evitando come la peste la nozione onnicomprensiva di "straniero", che cela diversità di competenze linguistiche e matematiche, di abilità cognitive e operative, ben più vaste di quante siano le nazionalità e le etnie.
Ci sarebbe da intraprendere seriamente, facendo tesoro delle esperienze in atto, un cammino serio per ripensare la scuola, tutta la scuola, alla luce dell'interculturalità, e ragionare insieme di programmi e di risorse, di spazi educativi e di nuove figure professionali. Di questo, più che delle quote, Governo, Regioni, Enti Locali, scuole dell'autonomia, rappresentanze sociali e associazioni culturali e di volontariato, dovrebbero rapidamente mettersi a discutere insieme.
* Segreteria Nazionale DS


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