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“Una battaglia giusta ma così ci perdono solo gli studenti”

Va bene chiedere soldi, e siamo noi giovani i più colpiti Però lo si faccia insieme alla richiesta di riforme di sistema

30/08/2017
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la Repubblica

Gli universitari mettano allora in discussione anche i privilegi di un contratto di diritto pubblico». Quella di Luigi Marattin, 38 anni, ricercatore di Economia politica all’università di Bologna, consigliere economico del presidente del Consiglio, chiamato da Renzi ora con Gentiloni, è più che una provocazione. In premessa, precisa che parla a titolo personale, in veste di docente.

Lei non sciopererà, dunque, anzi chiede ai suoi colleghi di rinunciare ai “privilegi”. Quali sono le sue motivazioni?

«La questione del blocco degli scatti sollevata dai colleghi è legittima e giusta. Ma onestamente, anche se è nella natura di uno sciopero creare disagio, così si va a colpire gli studenti che non c’entrano nulla».

Anche uno sciopero dei trasporti colpisce l’anziana signora che prende l’autobus.

«Sì, ma questo non è come uno sciopero dell’Atac a Roma, dove si potrebbe rispondere che l’anziana signora elegge il sindaco contro il quale viene fatto lo sciopero».

Ma nel merito, perché è contrario?

«Nel 1993 il rapporto di pubblico impiego fu privatizzato, ma non per alcune categorie tra cui gli universitari. Se per le altre, come magistrati, prefetti e militari, è sensato che rimanga così, per noi è ora di cambiare. Abbiamo un contratto di diritto pubblico con aumenti stipendiali legati, diciamo così, al volere del “sovrano”. Ma abbiamo anche le garanzie previste da questo tipo di contratto. Da un lato dunque abbiamo aumenti solo se il Parlamento si sveglia, dall’altro maggiori tutele. Perché contestare solo un aspetto, come si fa con questo sciopero, senza mettere in discussione l’altro? Io comunque allargherei la questione».

In che modo?

«Va bene chiedere soldi, tra l’altro in questo caso sono soprattutto le mie tasche in quanto assunto nel 2009, tra i più giovani, ad essere colpite. Ma almeno lo si faccia insieme alla richiesta di riforme di sistema».

A quali riforme pensa?

«Intanto una riforma dello status giuridico che elimini il rapporto di lavoro di diritto pubblico. In secondo luogo la fuoriuscita degli atenei dal diritto amministrativo, pur rimanendo orgogliosamente pubblici come Berkeley e le università inglesi. Liberiamo i nostri atenei, almeno su base volontaria, da vincoli amministrativi come quelli di un Comune, per permettere loro di competere nel mondo. E poi interveniamo sulla valutazione: in 5 anni porterei la parte premiale su ricerca e didattica al 100%».

Ma chi sciopera contesta intanto la discriminazione sulle retribuzioni.

«In nessun settore, dalle banche al mercato del lavoro, funziona più il ritornello: dateci i soldi, poi ci pensiamo».

Riconosce almeno che l’università in questi anni è stata bistrattata?

«Non ha avuto la priorità che merita. E ha perso un miliardo dal 2011 al 2015. Ma vanno riconosciuti, negli ultimi due anni, una crescita nei fondi, il reclutamento di mille ricercatori di tipo B, l’esonero dalle tasse per gli studenti meno abbienti. Il vento sta cambiando, c’è bisogno di sostenere il vento».

( il. ve.)


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