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Tagli e sottofinanziamenti. Il "sapere" si interroga a Roma

il settimanale Left ha proposto a tutto il mondo del sapere, ricercatori, studenti, docenti e professori, di incontrarsi insieme per proporre al prossimo governo di centrosinistra alcune parole d'ordine.

28/01/2013
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l'Unità

Alberto Castagna

C’è ancora un punto non toccato dalle agende dei principali schieramenti politici: il sapere e la società della conoscenza. Non si capisce altrimenti come possano tutti invocare nuove politiche di sviluppo». Federico Nastasi, portavoce nazionale della Rete universitaria nazionale, porta avanti i suoi argomenti, come tutte le organizzazioni studentesche. Ma è difficile dargli torto. In effetti se scarseggiano le risorse economiche, il prossimo governo dovrà inventarsi nuove strade per lo sviluppo del Paese. E sono molti a pensare che un ruolo centrale lo dovrà avere il sapere. Continua Nastasi: «I problemi del mondo del sapere sono problemi del Paese e non dei singoli ricercatori o studenti». Proprio per questo il settimanale Left ha proposto a tutto il mondo del sapere, ricercatori, studenti, docenti e professori, di incontrarsi insieme per proporre al prossimo governo di centrosinistra alcune parole d'ordine. Il 12 febbraio al Teatro Eliseo i lavoratori della conoscenza prenderanno la parola, sperando che qualcuno raccolga queste sollecitazioni. «Ci piaceva l'idea di proporre un momento di confronto tra alcuni esigenti elettori ed il centrosinistra. Vorremmo però che si partisse dall'esigenze del mondo dell'istruzione per arrivare ai problemi dell'Italia». Manuele Bonaccorsi è il vicedirettore di Left ed è tra gli organizzatori di questa grande assemblea che coinvolgerà tantissime persone. Non sono numeri piccoli. Tra studenti e lavoratori, il mondo della scuola, dell'università e della ricerca in Italia coinvolge quasi dieci milioni di persone. Naturalmente la parte del leone la fanno gli alunni della scuola, che sono più di sette milioni e i loro docenti, circa 700mila. Oggi questo mondo è quasi al collasso, stressato da pesantissimi tagli di bilancio e da una burocrazia asfissiante. Ad esempio, per quel che riguarda il comparto università, al diluvio di regole della legge Gelmini, ancora in buona parte da attuare, si è associato un taglio in pochissimi anni di quasi un miliardo di euro al fondo di finanziamento ordinario. La quota base messa a disposizione dallo Stato è passata dai 6,7 miliardi di euro a disposizione nel 2008 ai 5,5 del 2012. L'ultima legge di stabilità non ha invertito il trend, anzi ha previsto un ulteriore taglio di 300 milioni di euro. «Riguardando la serie storica del Fffo si nota chiaramente che il massimo è stato raggiunto nel 2008, grazie al finanziamento del governo Prodi. Il governo dell'Ulivo avrà avuto problemi con le riforme universitarie, ma nessuno può accusarci di aver tagliato i fondi all'Università». A parlare è Luciano Modica, che in quel governo è stato sottosegretario con delega all'Università. «Certo non tutto ha funzionato e bisogna ammettere gli errori commessi, ma riportare il finanziamento del sistema unitario della conoscenza, scuola, università e ricerca pubblica, ai livelli del governo Prodi è la prima misura che dovrebbe prendere il prossimo governo”. Le questioni sul tappeto sono molte è il sottofinanziamento del settore è solo uno dei problemi. «Il diritto allo studio ha subito colpi terribili. Abbiamo uno dei peggiori sistemi europei, ma non è soloquestione di soldi – ci dice Luca Spadon, portavoce della Link-Coordinamento universitario – ad esempio l'eccessiva regionalizzazione del sistema non ha portato una maggiore efficienza. Forse dovremmo ricentralizzare alcune competenze». Ma la preoccupazione maggiore è oggi legata non alle singole rivendicazioni ma al nostro sistema Paese. Dopo le proteste contro la legge Gelmini tutti sembrano aver capito che la posta in gioco non è solo il futuro dell'università italiana ma del nostro sistema economico e sociale. Andrea Ranieri, ex-assessore alla cultura del comune di Genova è una vera a propria autorità in materia: «Dobbiamo dire nella competizione globale l'Italia ha bisogno di imprese, di lavoratori e di cittadini più istruiti e consapevoli. Per aumentare la qualità della propria produzione di merci e servizi ma anche la qualità della convivenza civile e della partecipazione democratica».


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