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ScuolaOggi: Parole per il ministro

Lei mi fa pena. Non può capire il significato dell’instaurarsi della relazione affettiva e di conoscenza con gli alunni

31/10/2008
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ScuolaOggi

Parole per il ministro

di Giancarlo Cavinato

Per parecchi anni da ragazzo tutto avrei voluto fare fuorché il maestro. Poi il ’68, quella frase detta da una compagna di università al termine del primo anno di corso ‘Abbiamo imparato che non si può mai fare da soli’, la lettura di don Milani e di Lodi quasi contemporanea, il colpo di fulmine. Amavo improvvisamente i bambini, la scuola, i più diseredati, il mestiere, volevo essere un bravo maestro come Giorgio nella cui classe avevo fatto tirocinio in quarta magistrale.

Innamorarsi di un compito era diventato un fine alto, lo dice in ‘Lettera a una professoressa’: ‘cercasi un fine...bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo altro che d’essere uomo’. E dice anche: ‘Dicesi maestro chi non ha interessi culturali quando è solo’.

Un po’ dura da digerire per chi approdava discendendo da generazioni di artigiani alla ‘Cultura’.

Perciò ho percorso diverse strade, e non mi sono, per fortuna, mai trovato ‘solo’.

In mezzo e dopo ho fatto il supplente, lo psicomotricista, il ‘distaccato’ mce, il direttore didattico, il dirigente scolastico’, ma...il ‘vizio’ di insegnare ti rimane attaccato addosso, come pure l’attenzione ai bambini e alle bambine.

Per questo, Ministra, Lei mi fa pena. Non può capire il significato dell’instaurarsi della relazione affettiva e di conoscenza con gli alunni. Il suo fine è eteronomo, dipende da dettami di carattere economico, non nasce da un Suo afflato, da una propensione, da un impegno etico, elementi questi imprescindibili, se non si vuol cadere nella retorica della ‘missione’ o nell’aziendalismo meccanicistico ( che Le è caro, e lo evidenzia quando invita le imprese a sponsorizzare non solo le squadre di calcio ma anche le scuole e quando pensa, con la testa della Aprea e della Marcegaglia, a una loro trasformazione in fondazioni).

Ho sessant’anni, da 42 sono nella scuola. Ho insegnato da maestro unico e da maestro del tempo pieno, da direttore ho contribuito a introdurre tempo pieno, attività integrative, rientri pomeridiani dei moduli con progetti di scuola a tempo potenziato. Sono, quindi, fra i ‘responsabili’ secondo i ministri Brunetta e Tremonti e secondo Lei di questo ‘insopportabile’ ( sul piano economico) gravame che ‘pesa’ sullo sviluppo italiano (quello del debito pubblico e delle crisi finanziarie e degli scandali che loro contribuiscono a creare).

Ma davvero Lei può pensare che in 42 anni nella scuola io sia vissuto da parassita dello Stato?

Che solo adesso è finalmente arrivato chi ‘mette le cose a posto’ in merito ai fannulloni, a supplentopoli, a tre maestre su una classe di cui due stanno fuori a chiacchierare e a bere il caffè?

Non mi piace la figura del ‘preside manager’, non mi sta bene, non me la sento addosso: preferisco quella di garante dei diritti dei bambini e dei ragazzi e di supporto a buone pratiche pedagogiche di insegnanti che ci credono e ogni giorno, con pazienza e umiltà, sanno dialogare e costruire. Amo, e sono affascinato, dalla scuola dell’infanzia, così autentica, così attenta alle funzioni essenziali della crescita.

Mi piace il teatro delle ombre, mi piace la narrazione di storie che ho imparato da maestre spagnole e svizzere, mi piacciono i giochi cooperativi, mi piace l’educazione linguistica che ho imparato nel MCE e nel GISCEL, mi piace la matematica che ho imparato da Stefano e Antonio e Ornella con le loro resistenze, il loro ostinato trincerarsi dietro la non comprensione, i loro ‘errori’. Mi piace aggiornarmi.

Mi piace lavorare con insegnanti al coordinamento del Consiglio dei ragazzi dell’istituto in cui lavoro, coordinamento fatto di molti incontri in ore extrascolastiche e di visite a città e luoghi significativi della progettazione partecipata di adulti e ragazzi insieme.

Mi piace don Milani, mi piace Mario Lodi, mi piace Alberto Manzi e l’opera dei maestri alfabetizzatori nel sud del mondo, mi piace la scuola e il considerarci, quanti ci operiamo, operatori nel sociale.

Vado a Barbiana e a Vence alla scuola fondata da Freinet e nelle scuole con cui abbiamo un progetto Comenius non per nostalgia o svago ma perché la progettualità ha bisogno di luoghi di riferimento, di sfondi e cornici culturali e pedagogiche, di valori e di sempre nuove idee, ma anche di memoria.

Sono di sinistra? Può darsi. Io credo che siamo in parecchi, lo voglio sperare, forse inguaribili romantici che credono nell’educazione come cambiamento profondo di sé e degli altri.

P. S. ‘Lettera a una professoressa’ dice anche: Solo una scuola perfetta può permettersi di rifiutare la gente nuova e le culture diverse. E la scuola perfetta non esiste’.

Ci pensi, signora Ministra, e non abbia timore di non prestarsi ad essere ostaggio di un’orda di barbari ai quali dobbiamo ‘Ombrelonghe’ ( con le relative conseguenze) e corruzione, mentre c’è tanto bisogno di etica pubblica. Io non avrei coraggio di guardarmi nello specchio alla mattina dopo aver anche solo pensato di istituire luoghi separati per fasce di alunni di qualsivoglia provenienza e livello di preparazione. Non è questa la scelta, pluridecennale, della nostra scuola. Io, e spero molti altri, non mi presterò a tale operazione.

Giancarlo Cavinato

dirigente scolastico Istituto comprensivo ‘Carlo Goldoni’

Martellago (Venezia)

membro del M.C.E. (Movimento di cooperazione educativa)


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