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Scuola-lavoro: l'alternanza impossibile e quella possibile

di Andrea Ranieri.

25/08/2017
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L'Huffington Post

La ministra Valeria Fedeli, in una lunga intervista al Sole24ore, su cui è già intervenuto su HuffPost con proprietà di argomenti Francesco Sinopoli, segretario della Flc Cgil, esalta come la più importante novità dell'anno scolastico che verrà, l'alternanza scuola lavoro per tutti, obbligatoria e addirittura materia degli esami di maturità degli anni a venire.

Non c'è dubbio che è una novità importante. Sono fra quelli che da sempre considera l'introduzione di elementi di saper fare nei percorsi scolastici come una cosa sensata e importante. In buona compagnia per altro. Tutta la pedagogia progressista del secolo scorso, da John Dewey a Gardner, ha sempre considerato come un limite grande della scuola il concentrarsi sulla sola intelligenza logico deduttiva, trascurando l'intelligenza del fare. L'intelligenza delle mani che lavorano e trasformano il mondo.

Sennet, ne "L'uomo artigiano", pensa a un percorso educativo che sappia tenere insieme la mano che pensa e il cervello che fa. Nessuna preclusione ideologica quindi. Ma fa un po' impressione la superficialità con cui la Fedeli getta il cuore oltre l'ostacolo, ignorando gli enormi problemi che è necessario affrontare per rendere realistica e credibile questa prospettiva nel nostro Paese.

Chi ha pensato e ragionato sull'alternanza ci ha messo in guardia dal pensare qualsiasi lavoro come formativo. Il lavoro, per diventare parte integrante di un percorso educativo, deve essere in grado di mettere alla prova l'intelligenza dello studente. Deve essere visibile la sua utilità sociale, e deve aumentare le capacità cognitive di chi studia.

Solo i lavori "buoni" hanno valenza formativa. Se è così occorre, prima di invitare le scuole a cercarsi un posto di lavoro purché sia per ottemperare all'obbligo, chiedersi quali sono oggi in Italia i lavori che hanno queste caratteristiche. Non sono purtroppo molti. Negli ultimi anni nel nostro Paese abbiamo perso circa un milione di posti a media e alta qualificazione.

La perdita occupazionale complessiva è stata attenuata dalla crescita di posti di lavoro a bassa qualificazione. L'analisi Ocse Pisa sulle competenze alfabetiche e matematiche della popolazione ci segnala che, se è vero che i giovani italiani entrano sul mercato del lavoro con scarse competenze pratiche, quando lavorano in lavori precari e di bassa qualificazione le competenze addirittura le perdono.

L'alternanza per avere senso dovrebbe essere accompagnata da un piano di investimenti pubblici e privati volti da un lato ad aumentare la qualità del lavoro produttivo e di servizi, e dall'altro a costruire posti di lavoro connessi al risanamento del territorio, al risparmio energetico, all'economia verde. Lavori di cui è chiara l'utilità sociale e volti a uno sviluppo sostenibile, che contrasti gli effetti del resto già drammaticamente evidenti che ha sulla nostra economia e sul nostro vivere civile il riscaldamento climatico. Un vero e proprio piano del lavoro di cui l'alternanza, allora sì, potrebbe essere elemento essenziale.

I comuni potrebbero essere i punti di raccolta e di promozione della domanda e dell'offerta di lavoro con queste caratteristiche. Ma nella legge del ruolo degli enti locali non c'è traccia. Tutto è risolto nel rapporto verticale tra dirigenti scolastici e Ministero. E dal Ministero è davvero difficile costruire l'interfaccia necessaria fra le scuole e il contesto lavorativo in cui sono inserite.

Infine l'alternanza funziona se è inserita in un progetto organico di formazione permanente, che è il grande anello mancante del nostro sistema formativo e produttivo. Le imprese che fanno formazione ai propri dipendenti sono in Italia veramente poche, se paragonate al contesto europeo.

E non può essere un buon ambiente formativo per gli studenti quello che non ha cura delle competenze dei propri lavoratori, che considera il lavoro una merce da usare e da buttare in base alle convenienze. Giustamente l'Unione degli studenti pone la presenza della formazione continua per i propri dipendenti come una delle condizioni imprescindibile per individuare le imprese formative.

Un buon statuto degli studenti in alternanza dovrebbe avere questo come uno degli elementi essenziali, assieme alla possibilità di scelta degli studenti e allo stanziamento delle risorse necessarie a far sì che l'alternanza non diventi un costo ulteriore per gli studenti e le loro famiglie, accentuando i fenomeni di discriminazione sociale già ampiamente presenti nel nostro sistema formativo.

La scuola del resto dovrebbe avere come proprio compito quello di far crescere un atteggiamento critico verso lo stato di cose presenti. L'alternanza, in una scuola che si ricordasse di questa sua fondamentale funzione, ha senso se inserita in un progetto per rendere il lavoro migliore. Dotare di diritti, come chiede l'Uds, gli studenti in alternanza, può essere un buon contributo in questo senso. La Ministra dovrebbe studiare con molta attenzione la loro piattaforma, che rivela una consapevolezza dei problemi e delle criticità ben superiore all'entusiasmo un po' facilone degli annunci ministeriali.


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