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Scuola, il buono di un test

Mariapia Veladiano

26/11/2019
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la Repubblica

Con una circolare ministeriale di impianto piuttosto bizzarro il ministero dell’Istruzione ha preannunciato che anche quest’anno l’esame di stato conclusivo dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado, ovvero l’esame di maturità, cambia.

Bizzarro perché accanto a una contenuta precisa dimensione formale, la firma è del capo dipartimento dottoressa Carmela Palumbo, si trova un irrituale triplice richiamo alle intenzioni "dell’onorevole Ministro", che preannuncia le (questa volta rituali) novità.

Nelle tracce della prima prova torna il saggio breve di argomento storico, ed è gran bene perché il nostro tempo presente è eredità e promessa e lo Stato deve ricordarlo attraverso le proprie scelte.

Nell’orale spariscono le tre buste importate dall’adrenalinico intrattenimento di prima serata tv e anche questo è bene, anche se si tratterà di capire come verrà gestita la discrezionalità ampia che sarà a disposizione della commissione d’esame nel momento della individuazione degli argomenti con cui avviare il colloquio multidisciplinare per ciascun candidato.

E poi viene ripristinata la obbligatorietà dell’alternanza scuola-lavoro e delle prove Invalsi, già prevista dalla legge 107 /2015 della "Buona Scuola" e sospesa lo scorso anno scolastico.

Le prove Invalsi mantengono il carattere di rilevazione e non di valutazione, per cui l’esito non concorrerà alla determinazione del voto finale dell’esame. Già lo scorso anno di fatto la quasi totalità degli studenti (il 96,4%) ha sostenuto le prove Invalsi. Non erano obbligatorie, gli studenti di quinta sono adulti, avrebbero potuto sottrarsi ma non è accaduto.

Lo stesso rapporto Invalsi 2019 scrive che si è trattata di una "sorpresa positiva molto apprezzabile", perché "pur trovandosi nella condizione di poter non fare le prove, gli studenti si sono coinvolti". Una assunzione di responsabilità a cui l’Invalsi ha corrisposto con una restituzione rapidissima e personalizzata. Ogni studente ha avuto i propri risultati grazie a una password individuale.

I docenti hanno avuto gli esiti per classe. Le prove vengono effettuate al computer, lungo un arco di tempo definito, nei mesi che precedono l’esame di Stato, diverse e per quanto possibile equivalenti. Si può certamente contestare il tipo di prove, la standardizzazione dei livelli, che sono 5 e definiscono il "saper fare" degli studenti, più che le conoscenze in senso stretto. Si può lavorare al loro miglioramento ma non si può pensare davvero che un sistema nazionale di istruzione non adotti un sistema di monitoraggio dei risultati del proprio lavoro.

La rilevazione delle prove Invalsi fornisce una quantità straordinaria di dati utili. Sia pure nell’anonimato degli studenti, la rilevazione permette di leggere i progressi (o i mancati progressi) nella acquisizione delle competenze linguistiche e matematiche dalla scuola primaria all’ultimo anno delle superiori e permette quindi di vedere quale ordine di scuola non dà abbastanza, quali aree geografiche soffrono di criticità, dove devono andare le maggiori risorse. Dice, ad esempio, attraverso il dato della variabilità degli esiti fra classi della stessa scuola e fra scuole della stessa città, se si sta sbagliando, se si creano in partenza classi elette e classi ghetto e gli uffici scolastici territoriali possono saperlo e intervenire con i dirigenti. È un dato che ci serve, fondamentale per l’equità.

Si può contestare il tipo di rilevazione, totale e non campionaria, che l’Invalsi e il Miur hanno adottato. La scelta ha creato confusione perché per qualche anno l’esito delle prove ha contribuito alla valutazione finale in terza media.

Ora non è così e molto di ciò che l’Invalsi ci restituisce ogni anno è un piccolo tesoro di dati utili che le scuole e la politica sono chiamate a bene utilizzare.


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