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Riformista: «Nella piazza della Cdl c’erano gli operai. La sinistra rimetta al centro lavoro e diritti»

CONVERSAZIONE. CON PAOLO NEROZZI, SEGRETERIA CGIL DI ETTORE COLOMBO

06/12/2006
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Il Riformista

«Se vedo anche solo un operaio o un pensionato manifestare con il centrodestra, ne soffro, stante la libertà di manifestazione, che è sacrosanta. Se poi di operai e di pensionati, in piazza, ne vedo più d’uno, anzi parecchi, sento che come sindacato e come sinistra ho un problema di rappresentanza. E che mi devo dare da fare per risolverlo. Devo cioè interrogarmi sulla qualità, non sulla quantità, di quella piazza». Il segretario confederale della Cgil Paolo Nerozzi non ha dubbi: «In piazza, con la Cdl a San Giovanni, non c’erano solo gli evasori, che non m’interessano e che combatto, ma anche parte del mio popolo. Le iscrizioni al sindacato aumentano, specie tra i giovani, ma la politica cosa dice? Il governo non ha avuto solo “problemi di comunicazione”, sulla finanziaria è mancato il coraggio di andarla a spiegare tra la gente, di far capire che eravamo di fronte a un’opera di risanamento del Paese dove, per la prima volta, non erano i ceti deboli a doverlo pagare. Il centrosinistra offre risposte deboli, invece, a partire dal partito democratico». Che Nerozzi, vicino al correntone Ds, sia scettico, sul futuro Pd, non è una novità, ma che i ragionamenti offerti al Riformista stiano prendendo sempre più piede, dentro la Cgil - a partire dal suo segretario, Gugliemo Epifani, che recentemente ha detto «Me ne tengo in disparte, perché non ho capito come nasce e che senso ha, se include o se esclude, resto un socialista tradizionale, affezionato al Pse» - è un altro fatto. Che potrebbe portare novità non da poco, nella discussione. Specie se si considera che un “massimalista” (politicamente parlando) come Nerozzi si dichiara, a diverse riprese, «in sintonia» con quanto va dicendo, sul Pd e dintorni, «un migliorista storico come Emanuele Macaluso, con cui mi trovo sempre più d’accordo».
«Il sindacato prima di tutto, ma anche la politica - riprende il ragionamento generale Nerozzi - devono interrogarsi su lavoratori che al mattino fanno radicalissime lotte sindacali e al pomeriggio sfilano con la Cdl, o votano Lega al Nord, o ce l’hanno con gli immigrati. Nel sindacato il rischio è il neo-corporativismo, l’indifferenza verso un quadro politico che, al di là di tutti gli errori, continuo a ritenere il più avanzato possibile, e che la sinistra al governo è un fatto strategico, epocale. Questa parte di sindacato deve interrogarsi sulla sua rappresentanza sociale, sugli operai che votano Lega. La politica, e la sinistra, deve chiedersi come rappresentare lavoro e lavoratori».
Il Pd non è una possibile risposta? «No, né sul piano del lavoro né su quello delle libertà individuali. Nella prima repubblica la rappresentanza del lavoro era plurima: c’era il Pci e il Psi, certo, ma c’era anche la Dc, partito interclassista per definizione. Oggi il lavoro è senza rappresentanza e il sindacato, che pure fa politica, a suo modo, non può surrogarne i compiti. Nel costituendo Pd il lavoro non c’è, ma non è risolto nemmeno il problema della laicità, o meglio dei diritti delle persone e dunque delle loro libertà. Sulle quantità degli spinelli, per dirne una, farne una questione di morale non ha senso. Ma anche questo diventa un problema di diseguaglianze, come nel caso della fecondazione assistita: all’estero ci va solo chi ha i soldi per farlo, gli altri e dunque la loro libertà di scelta è tagliata fuori. Una sinistra che si allea con il centro per governare il Paese è un conto, una sinistra che non vuole accettare l’idea che classi sociali e fatti identitari vogliano ricostituire un centro politico cattolico è un altro conto. Poi se non succede si vedrà, ma i “segni dei tempi” li vedo». La soluzione è fare un nuovo partito socialista? «Per ora mi vorrei tenere il partito cui sono iscritto, i Ds, ma ricordo che il socialismo è lavoro e diritti individuali insieme. Sia nella sua versione iniziale, ottocentesca, quando a formare le Camere del Lavoro e la Cgil c’erano i democratici garibaldini, i radicali, gli anarchici e i riformisti, sia in quella moderna. Del resto, forti partiti socialisti ci sono in tutta l’Europa, non capisco perché no solo in Italia».
Non c’è il rischio di conservare solo vecchie identità? «Mettere al centro lavoro e diritti non vuol dire guardare al passato ma interrogarsi e sfidare temi come innovazione, formazione, efficienza, e chiedere profondi cambiamenti, a partire dall’azione di governo». Anche Nerozzi invoca la “fase 2”? «Sì, ma non bastano i titoli, servono le risposte e scelta di priorità. E, tornando a parlare di sindacato, dico: riformiamo la pubblica amministrazione, rendendola più efficiente, come le pensioni, preoccupandoci dei giovani e degli anziani, ma occupiamoci anche dei costi della politica e degli stipendi dei super-manager. Anche così si risponde, con l’orgoglio di chi sa rivendicare le riforme che fa, alla piazza di sabato scorso».


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