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Ricerca, finora soltanto tagli. Serve un piano credibile

Che finanziamento vogliamo dedicare alla ricerca italiana? In che forme? Con che processi di valutazione? Speriamo che questo tema sia parte cruciale del dibattito prima e dopo le elezioni

21/01/2013
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l'Unità

Massimiliano Mazzanti - Salvatore Monni

DOBBIAMO ANCORA SCRIVERE PROSAICAMENTE DI INVESTIMENTI ALLA RICERCA IN ITALIA, IN MODO NEGATIVO. È VERO CHE LA SITUAZIONE È NOTA AI PIÙ, ma la realtà  supera sempre le aspettative, anche se non positive. Soprattutto in questa fase politica e di ricostruzione di  un’agenda delle priorità per una «nuova crescita», occorre porre chiaramente i problemi sul tavolo.  Ci ha colpito che, nei giorni finali dell’anno, i giorni del  giusto tributo a Rita Levi Montalcini, sia uscito il nuovo  bando Prin (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale) e  Firb «Futuro in ricerca». Vi sono meritoriamente spazi  dedicati ai giovani ricercatori, e la struttura del bando  coerentemente «imita» quella dei fondi europei (European Research Grant). Ciò che lascia basiti, ma forse siamo ingenui, è ancora una volta l’ammontare del finanziamento, che di «nazionale» non ha nulla.  Occorre guardare i dati chiaramente. Il finanziamento  Prin 2009 (fondi allocati dal governo Prodi) era di circa  105 milioni di euro, che scende a 87 milioni di euro - annualizzati - nel bando accorpato 2010-11. Il nuovo bando  di fine dicembre è circa 38milioni di euro: il 36% del fondo  2009, già in calo rispetto agli anni precedenti. In termini  reali, siamo di fronte ad un taglio di oltre il 70% rispetto a  6-7 anni fa. Sul Firb le cose non mutano. Si passa dai 50  milioni del 2009 ai 29 attuali.  Il Pil Italiano è in sofferenza ma decresce «solo» del  2-2.5%. La domanda è quindi semplice: cosa si nasconde  dietro queste cifre? Che ratio? Fare cassa. Può essere, ma  si parla di cifre abbastanza irrisorie. Disimpegno? Punizione alla ricerca italiana per scarsi risultati? Non si direbbe,  la nostra area (scienza economica) è sesta al mondo nel  2012 (fonte: Repec), soprattutto grazie a tanti giovani bravi e capaci, formati dal nostro sistema scolastico. Andrebbero sostenuti. Se no, i rischi di uno svuotamento del sistema sono noti. Non è chiaro. Tanto più che si nota un’assoluta incoerenza tra la «forma», pur a volte criticabile e  farraginosa come nella valutazione dei dipartimenti e dei  candidati all’abilitazione effettuata dall’Anvur, e la «sostanza». Si cerca giustamente di mettere una seria «valutazione» al centro del discorso. E si svuota la stessa riducendo le risorse. Anche l’Anvur ha criticato i tagli. Ormai  valutare «costa» come le risorse in gioco. Processi di valutazione più rigorosi e orientati al merito andrebbero «fatti funzionare» erogando più risorse.  Quante? Questa è scelta politica. Riteniamo che un bando di finanziamento come quello Prin dovrebbe potrebbe  erogare annualmente 200-300 milioni di euro. sono cifre  sopportabili, e pure lontane da quelle dei «soliti noti». I  nostri partner europei. Germania e Paesi nordici sono intorno al 3% del Pil di spesa in R&S. Un solo centro tedesco  di ricerca economica può avere 5 volte le risorse pubbliche di tutta l’area economica in Italia. Non è possibile  competere. Anche senza tirare in ballo i modelli anglosassoni, spesso da noi imitati (male, e senza associare i necessari investimenti pubblici da questi dedicati), la cifra totale destinata dalla Francia alla ricerca, Paese simile al nostro, è 42,7 miliardi di euro, più del doppio di quella italiana. Tutti questi Paesi ci sorpassano sia per spesa sul Pil  che per numero di ricercatori per abitanti. Su questi due  indicatori, l’Italia è con molto imbarazzo fuori da ogni  media europea, anche riferita ai Paesi dell’est (Le Monde,  24 Novembre 2012, Science & Techno, inserto speciale  sulle riforme nella ricerca).  Si chiede un «piano» credibile sulla ricerca. Si propongono cose semplici da attuare. Maggiori risorse erogate,  eliminando la destabilizzante - per i giovani soprattutto volatilità e imprevedibilità. Una rigorosa e celere valutazione delle stesse – la burocrazia di Bruxelles impiega 2  mesi a selezionare i progetti meritevoli. Investimenti maggiori, più certi, più attenti al valore dei progetti. Siamo in  grado di farlo. Serve un ruolo centrale dell’azione pubblica, che proietti un progetto di lungo periodo, non tanti  precari progetti di breve. Fanno per questo temere, ma  possiamo sbagliarci, i riferimenti a «progetti europei» e  «finanziamenti privati» che troviamo citati nell’agenda  Monti. Questi sono molto importanti, ma sono complementari. Non possono essere i pilastri dell’investimento  in ricerca in un Paese avanzato, né garantiscono certezza  e stabilità. Poniamo in modo semplice questo tema sul  tavolo dell’agenda politica. Che finanziamento vogliamo  dedicare alla ricerca italiana? In che forme? Con che processi di valutazione? Speriamo che questo tema sia parte  cruciale del dibattito prima e dopo le elezioni. Il Pd deve  prendere una strada chiara sui finanziamenti e la valutazione alla ricerca al fine di creare aspettative virtuose.


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