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Republica-Epifani:Il leader della Cgil: i tavoli non servono se non c'è accordo sulla diagnosi DELLA CRISI, IL PROBLEMA NON È LA FLESSIBILITÀ DEL LAVORO

Il leader della Cgil: i tavoli non servono se non c'è accordo sulla diagnosi DELLA CRISI, IL PROBLEMA NON È LA FLESSIBILITÀ DEL LAVORO "Così muore l'industria italiana innovate invece di ridu...

21/02/2003
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la Repubblica

Il leader della Cgil: i tavoli non servono se non c'è accordo sulla diagnosi DELLA CRISI, IL PROBLEMA NON È LA FLESSIBILITÀ DEL LAVORO
"Così muore l'industria italiana innovate invece di ridurre i diritti"
Epifani:scioperiamo contro l'inerzia di governo e Confindustria

RICCARDO DE GENNARO

ROMA - "L'iniziativa di sciopero della Cgil ha costretto i nostri interlocutori a riprendere in esame il problema da noi posto, cioè quello del declino industriale e dell'assenza di una politica per l'innovazione. La risposta è per ora affidata soltanto all'apertura dei tavoli, come proposto via via da Cisl, Confindustria, Marzano. Manca, tuttavia, l'unica cosa che rende utile un tavolo, cioè un punto di vista e un'analisi condivisa che spieghi come mai ci troviamo in questa situazione e che consenta di individuare delle soluzioni per uscirne". È a questo proposito e in vista dell'incontro con Confindustria in programma martedì prossimo, che il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, impegnato oggi a Pescara nell'ambito dello sciopero generale dell'industria proclamato dalla Cgil, chiede a Cisl e Uil di "far crescere un punto di vista autonomo del sindacato sulla crisi e il declino".
Epifani, il presidente della Confindustria, Antonio D'Amato, ha detto che "l'Italia non è un Paese in declino industriale, ma soffre di una grave crisi di competitività". Il ministro delle Attività produttive, Antonio Marzano, sostiene che non c'è crisi. Epifani, non state forse drammatizzando il problema? In fin dei conti, non è da oggi che lo Stato e l'industria italiana investono poco in ricerca e innovazione ...
"Questo è vero. E infatti noi diciamo che il problema non è di tipo congiunturale, ma di lungo periodo. Le nostre analisi dicono che la nostra industria perde colpi da tempo: passata l'euforia da svalutazioni degli anni '92-'95 ha cominciato a esportare sempre meno, è presente in specializzazioni che non hanno alti tassi di sviluppo e non incorporano dosi forti di tecnologia e innovazione, ha fatto solo innovazione di processo e non di prodotto. Marzano nega il problema, ma nella sua stessa relazione si smentisce da solo dicendo che c'è un rallentamento della crescita e che nel '99-2001 i due terzi degli investimenti sono investimenti di natura finanziaria. Quanto a D'Amato, che nega il declino industriale e parla di calo della competitività, gli vorrei ricordare che sono due facce della stessa medaglia e che, in ogni caso, l'equazione meno diritti meno costi non dà futuro alcuno al Paese".
Epifani, Cisl e Uil hanno espresso contrarietà nei confronti del vostro sciopero. Nei giorni scorsi lei ha detto che ci sono dei punti sui quali si può tentare di riprendere un percorso unitario. Il tema del declino industriale può essere uno di quelli?
"Noi non vogliamo scioperare per forza. Se lo facciamo è perché riteniamo indispensabile richiamare l'attenzione sul rischio che se l'industria non imbocca, anche grazie a una politica industriale adeguata, la strada della ricerca e dell'innovazione rischia di morire. I sondaggi dicono chiaramente che la crisi e il declino industriale sono al secondo posto, dopo la guerra, tra le preoccupazioni dei lavoratori. Quanto a Cisl e Uil, il problema è piuttosto se condividono la nostra analisi, se sono pronte su questo a un progetto di lavoro, se non pensano - come la Confindustria - che il declino industriale sia soltanto un problema di flessibilità e di costo del lavoro, un'idea che noi giudichiamo molto bassa dello sviluppo e della competizione".
Uno sciopero contro il declino industriale è comunque piuttosto inedito. Devono farsi carico i lavoratori dei mancati investimenti in ricerca e sviluppo?
"Lo so, sembra paradossale, ma purtroppo sono proprio i lavoratori a pagare, spesso con la perdita del posto, la latitanza del governo sul fronte della politica industriale e la scarsa propensione delle imprese a investire in innovazione. I focolai di crisi sono numerosi: dal settore metalmeccanico e dall'auto al polo elettronico, dal tessile-abbigliamento e calzaturiero al petrolchimico, per non parlare della filiera agroalimentare, del settore edile e del calo della domanda Telecom e delle aziende pubbliche".
Epifani, lei che cosa si aspetta dall'incontro di martedì prossimo con Confindustria, Cisl e Uil? Può rappresentare una reale ripresa del dialogo?
"Vedremo. L'incontro proposto dalla Confindustria può essere una concessione al fatto che l'iniziativa della Cgil crea disagio e imbarazzo, il tentativo di riprodurre il punto di vista degli industriali sulla competitività, oppure un'occasione per riflettere insieme e in questo caso ognuno di noi potrà portare le sue idee".
Nello scenario di declino la crisi Fiat è centrale. Marzano ha detto che entro febbraio convocherà azienda e sindacati per la verifica del piano industriale. Può cambiare qualcosa?
"Noi aspettiamo di capire dalla Fiat che cosa sta succedendo. Sicuramente questo non può essere un fatto privato. Febbraio è quasi alla fine, speriamo che quella di Marzano non sia l'ennesima promessa non mantenuta".


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