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Repubblica-Se la politica diventa uno sport per spettatori

Se la politica diventa uno sport per spettatori STEFANO RODOTÀ Perché negli Stati Uniti si sta cercando di coinvolgere, con le diverse tecniche disponibili, il maggior numero di per...

24/01/2003
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la Repubblica

Se la politica diventa uno sport per spettatori

STEFANO RODOTÀ

Perché negli Stati Uniti si sta cercando di coinvolgere, con le diverse tecniche disponibili, il maggior numero di persone nella decisione su che cosa costruire al posto delle Twin Towers? Perché la partecipazione dei cittadini si sta manifestando con una intensità che contrasta con l'apatia e il disincanto che ha portato quasi due terzi degli americani a disertare le consultazioni elettorali?
Queste domande hanno un significato generale, e quindi non possono essere ignorate mentre in Italia riprende la discussione sulle leggi elettorali e sulla forma di governo. Dubito che questo porti ad una seria valutazione critica dell'esperienza italiana di questi anni, e mi pare che, di nuovo, vi sia il rischio di rimanere impigliati in quell'ingegneria istituzionale nella quale troppe volte è naufragata la nostra politica. Temo, poi, che nulla si dirà sulla rappresentanza dei cittadini, concentrando l'attenzione solo sul modo in cui, attraverso le diverse tecniche elettorali, si sceglie il governo.
Questa non è solo una distorsione di casa nostra. Da molti anni alle elezioni si guarda soprattutto come all'occasione in cui viene investito un governo o, ancor più radicalmente, si sceglie una persona. L'accento sulla governabilità è accompagnato da una crescente personalizzazione della politica. Le altre funzioni delle elezioni, in primo luogo quella originaria di rappresentare i cittadini, vengono respinte sullo sfondo La democrazia si è definitivamente trasformata da democrazia rappresentativa in pura democrazia d'investitura?
Si è detto che in questo modo viene restituito "lo scettro al principe", che i cittadini divengono i diretti protagonisti della scelta politica fondamentale. Non voglio qui rievocare l'aspra critica di Rousseau che, parlando del sistema rappresentativo inglese, scriveva che "il popolo inglese crede d'essere libero; si inganna, non lo è che durante l'elezione dei membri del Parlamento, non appena questi sono stati eletti, esso diventa schiavo, non è più nulla". Faccio un'osservazione empirica, banale. Come mai all'accentuarsi della democrazia d'investitura non ha corrisposto una presenza più convinta dei cittadini, ma un rarefarsi sempre più preoccupante della partecipazione elettorale?
Non regge più una tradizionale spiegazione dell'astensionismo, che in esso vedeva addirittura un segno di buona salute di un sistema politico: se non si va a votare, è perché i cittadini sono soddisfatti, sono convinti che chiunque governi è allo stesso modo meritevole di fiducia. Oggi l'astensionismo riflette invece una fuga dalla politica all'insegna della sfiducia, di un distacco derivante anche dal fatto che i cittadini non riconoscono più il Parlamento come il luogo che li rappresenta. Il bisogno di assicurare al governo la possibilità di governare ha spinto verso il "parlamentarismo razionalizzato", amputando le assemblee "rappresentative" di molte loro funzioni fondamentali. Ma, così facendo, non si modifica soltanto la natura dei parlamenti. Si impoverisce il raccordo tra istituzioni e cittadini. Se la voce di questi si è fatta più flebile in parlamento, dove mai riuscirà a risuonare?

Non basta il riferimento insistente ai sondaggi per concludere che il silenzio dei cittadini tra un'elezione e l'altra è stato rotto e che l'influenza dei cittadini sul processo di decisione politica si sarebbe fatta più forte. Il sondaggio confina il cittadino in un ruolo passivo. È ascoltato solo se, quando e come qualcun altro lo vuole. Perde soggettività, divenendo unicamente il possibile componente di un "campione". Non può essere questa la strada verso una rinvigorita democrazia dei cittadini.
La cittadinanza attiva, la partecipazione politica sembrano essersi spostate (rifugiate?) in un circuito diverso da quello caratterizzato dalle regole tradizionali di funzionamento delle assemblee rappresentative. Tutto questo avviene anche sotto la spinta di movimenti, diversi da paese a paese, assai critici verso gli attuali assetti istituzionali e che tuttavia rifuggono dalle semplificazioni offerte da proposte di una democrazia diretta affidata alle nuove tecnologie. Si rifiutano le seduzioni populiste che avevano portato un politico rapidamente e giustamente caduto in disgrazia, Newt Gingrich, a proporre la soppressione del Congresso americano e la sua sostituzione con il voto elettronico di tutti i cittadini, che avrebbero così esercitato senza mediazioni il potere di fare le leggi.
Esiste oggi una molteplicità di esperienze concrete nei più diversi luoghi del mondo, dove si sta sperimentando la possibilità di non confinare il rapporto tra cittadini e assemblee al solo momento elettorale. Da Porto Alegre al Land Westfalia-Renania Nord, da Haarlem a Rouen, a Roma, si cerca di inventare una forma di democrazia che integri il funzionamento delle assemblee rappresentative con un ruolo forte dei cittadini, rendendo rilevante la loro presenza per decisioni particolarmente significative, addirittura per la definizione del bilancio comunale.
Sono sperimentazioni che si svolgono a livello locale, dove la vicinanza tra cittadini e istituzioni è maggiore, così come è immediata la conoscenza dei problemi da affrontare. Si fa riferimento a documenti internazionali come l'Agenda per il XXI secolo (approvata nel 1992 nell'Earth Summit di Rio de Janeiro) o la Carta di Aalborg delle città europee (alla quale hanno aderito solo in Italia 163 enti locali), si elaborano dichiarazioni nazionali come l'italiana Carta del Nuovo Municipio. Si ricorre ad uno strumento tradizionale come l'assemblea ed alle nuove opportunità offerte dalle tecnologie elettroniche.

Non siamo di fronte ad ipotesi, ma ad iniziative concrete. È bene prenderle sul serio, perché si diffondono, si consolidano, si affiancano alla più radicata esperienza delle "città digitali". Non possono essere liquidate come una bizzarria o un fenomeno occasionale. Incarnano l'ambizione, e la speranza, di un'altra democrazia "possibile".
Si cerca di innestare processi di partecipazione sulla tradizione della rappresentanza, di far convivere legittimazione elettorale e legittimazione popolare. Se non si fosse abusato di questa espressione, si potrebbe parlare di un tentativo di imboccare una "terza via". E si potrebbe descrivere l'intero fenomeno come un insieme di prove per una "democrazia continua".
Non è una strada facile, le insidie sono molte. Le iniziative dal basso sarebbero possibili solo in paesi che, a differenza di quelli europei, non hanno alle spalle una consolidata tradizione di delega? Delle nuove occasioni di democrazia partecipativa si avvantaggerebbero soprattutto i ceti medi, o addirittura i gruppi di pressione, che dispongono delle risorse culturali e del tempo necessario per utilizzare le nuove opportunità messe a disposizione dei cittadini? La voce data a tutti potrebbe determinare situazioni di blocco o di stallo, offrendo alle minoranze nuove possibilità di esasperare la cosiddetta logica NIMBY (not in my backyard, "non nel mio cortile"), la logica della intoccabilità dei microinteressi? E la democrazia "di prossimità", la partecipazione a livello locale non rischia di trasformarsi in una "democrazia in miniatura", incapace di incidere sulle grandi decisioni e, quindi, di rinvigorire effettivamente la rappresentanza dei cittadini?
Ma questi sono problemi, non ostacoli insuperabili. La nuove forme di raccordo tra iniziative dei cittadini e luoghi della politica istituzionale (senza escludere lo stesso parlamento) costituiscono oggi la più seria opportunità per interrompere un processo di esclusione che mortifica la rappresentanza e disloca le energie dei cittadini in luoghi lontani dalle istituzioni, con inevitabili rischi di delegittimazione, se non di conflitto. Si parla molto di democrazia "deliberativa " o "discorsiva", riferendosi proprio alla necessità di allargare la platea degli attori politici, di rendere effettiva la rappresentanza dei cittadini. Ma questi rimangono discorsi astratti se non si costruiscono i nuovi luoghi pubblici del confronto e della partecipazione. Solo così la democrazia può essere sottratta ad un degrado che la sta trasformando in uno "sport per spettatori".


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