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Repubblica: Se l´Italia arretra tra condotta e grembiulini

Un sistema di istruzione, un tempo tra i migliori d´Europa, declina tra velleità pedagogiche, tagli e riforme nostalgiche. Perché le scelte dell´attuale governo sono un ritorno al passato

14/10/2008
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la Repubblica

Le idee del ´68 contro l´autorità scolastica sono finite. I ministri si sono scelti un nemico che non c´è più
L´educazione del prof di italiano che faceva imparare a memoria la Divina Commedia, tre terzine al giorno
FRANCESCO MERLO

Chiudete gli occhi e cercate di ricordare quell´idea di scuola che negava la scuola e che tutti insieme abbiamo faticato a seppellire. È contro quell´idea morta e pietrificata che i ministri Gelmini e Brunetta ferocemente combattono, e sono un caso di estremismo "di scuola" che "fa scuola": ultimi giapponesi di una lunga guerra ideologica consumata e finita.
Sforzatevi di acchiappare le memorie che ancora fluttuano dense di slogan, di utopie, di scontri. I decreti delegati per esempio. Inventati per sottrarre il governo della scuola agli insegnanti repressivi che, ancora negli anni sessanta, punivano con la bacchetta sul palmo delle mani, essi realizzarono la più goffa delle semplicionerie pedagogiche, quella di voler trasformare genitori e studenti in direttori didattici.
Provate a rievocare l´illusione che la scuola dovesse "liberare" gli istinti invece di educarli per esempio con l´imparare a memoria la Divina Commedia ? tre terzine al giorno domeniche comprese, 21 la settimana, 30 al mese ? al punto che al professore di Italiano bastava accennare «Ed el mi di?» perché l´allievo, indicato a dito, continuasse: «Ed el mi disse: Volgiti! Che fai? / Vedi là Farinata che s´è dritto...».
Oppure riportate in vita l´esame collettivo di Architettura che sostituiva l´"individuale" di Scienza delle costruzioni. Certo, c´erano professori arroganti e capricciosi, e ne ricordo uno di Filologia, con occhi sporgenti come uova sode, la cui collera bocciatrice, dinanzi allo studente che si impappinava, cominciava con una lieve agitazione dell´aria: «Uffa!». E poi: «Parli più svelto, per Dio. Uffa!». Ma forse fu più devastante la pretesa che la promozione, la laurea, la lode, e persino il Nobel sarebbe stato giusto darli a tutti o a nessuno.
Quando ormai in tutta Europa sono state archiviate quelle corbellerie, a partire dalla convinzione che correggere gli errori di grammatica fosse di destra, ecco spuntare in Italia due estremisti di governo che di nuovo rimandano la scuola in piazza. E provocano spavaldamente il conflitto sociale e offendono i meridionali, i maestri, i professori tutti, rischiando seriamente di farci regredire e di far (ri)diventare la scuola proprio come la vogliono, con i vecchi manifesti, con l´utopia di formare senza deformare, di "scarcerare" la mente. Rischiamo insomma di rispondere con l´ideologia morta all´ideologia morta di questi "cattivi maestri". Eccoci infatti di nuovo con don Milani e la scuola di Barbiana, con i cortei e la rabbia che, negli studenti, è pronta a tutti gli azzardi e a tutte le avventure, perché scuola ? scholé ? significa tempo libero, "otium": il tempo appunto della libertà e dunque anche delle scorciatoie del pensiero di piazza, che è la scuola che insegna ai manifestanti a fare le cose contro le quali manifestano.
Tutti sanno che basta una scintilla per incendiare la scuola. E infatti già si parla di "rivolta degli studenti". E gli eterni esperti di gioventù, grati alla Gelmini, lucidano ricordi senza denti e senza artigli. Vecchi instupiditi ripropongono l´ennesimo nuovo Sessanotto, rievocando superbe turbolenze e già celebrando, nelle prossime occupazioni dei nipoti, le proprie invincibili stanchezze. E´ anche questo il significato moderno della parola "scuola": l´eternità di una rivolta che riproduce sempre la stessa crisi, l´agonia di un´istituzione che gira in tondo e in perenne corteo, i furori impotenti dell´immensa fabbrica italiana delle lauree dequalificate.
E che si tratti di reliquie di un mondo perduto lo si capisce dall´insensata accusa di guadagnare troppo che Brunetta ha sfrontatamente lanciato ai professori che meno guadagnano in Europa. Com´è possibile? Sono "proposte" queste? Attaccato come un ragno al filo della sua idea vuole entrare a tutti i costi in un paesaggio di cinquant´anni fa, quando pensavamo ? non schola sed vita ? di abbattere la memoria e le nozioni e magari perché avevamo fatto esperienza di vecchi insegnanti come il mio che sintetizzava così la letteratura italiana: «Duecento: religione; trecento: allegoria; quattrocento: imitazione; cinquecento: mondo fantastico; seicento: barocco; settecento, spaccalo in due: ragione e sentimento; ottocento: Manzoni».
Eppure abbiamo tutti ritrovato, per dirne una, il diritto a punire lo scolaro, al punto che il laburista Tony Blair cadde forse nell´ecceso opposto estendendo le punizioni anche ai genitori che «fanno finta di non sapere e di non vedere». E nella Francia di dieci anni fa nacque il movimento in difesa del calcio nel sedere con il ministro socialista e migliaia di madri in piazza a Rouen per solidarizzare con la pedata che un prof esasperato aveva rifilato a uno studente. «Il castigo meritato è una fiaccola che illumina e un balsamo che risana» si insegnava una volta, prima dell´utopia di Bettelheim al quale noi genitori moderni dobbiamo tutte le teorie e le pratiche educative di tolleranza, sul modello (presunto) della famosa "scuola" di Chicago, spietatamente smontato nel 1998 da un feroce libro di testimonianze: «Avveniva nella scuola il contrario di quel che il maestro scriveva e predicava: violenze, abusi, plagi». Proprio come ai tempi del Manzoni che ricordava la sua scuola (cattolica) come «sozzo ovil». La verità è che mai la scuola è l´antimondo, ma è lo stesso mondo visto da un´altra prospettiva.
E oggi che tutti lo abbiamo capito e dibattiamo, per esempio, sul grande recupero del Latino (Stati Uniti), o sull´obbligo di studiare Cinese (Inghilterra), o sui supercontratti agli insegnanti di eccellenza, ecco che una coppia di fanatici italiani si mette a raccontare il presente al passato creando un mondo strano di morti viventi, come quelle maschere di carnevale che diventano spaventose solo quando uomini veri le portano sul viso.
E dunque attaccano la scuola come fosse la Comune di Parigi o la Moneda di Allende. E vedono in ogni insegnante un Gramsci straccione. Pensano che nelle aule si siano arroccati il potere sindacale e la sinistra. Hanno l´idea che il libro è di sinistra e che i processi formativi siano in mano alla sinistra.
E sono, anche dentro il governo, i più estranei al mondo della scuola. Non hanno, per dire, la rispettosa familiarità che ha Bondi con la cultura che contesta, né la sensibilità o l´idea di Stato di Tremonti, e neppure il decoro formale del pur durissimo Sacconi, o quel passato di complicità con i libri del faziosissimo Cicchitto. Distanti e diversi, sono il gruppo di fuoco di quel vecchio rancore ideologico che si batte contro il morto e intanto uccide il vivo, vale a dire l´idea stessa di scuola che non è solo il bene primario di un nazione, ma è anche il tempio attorno al quale si organizza qualsiasi comunità: senza le madrasa, per esempio, l´Islam non esisterebbe; e anche Cristo faceva scuola ai suoi discepoli.
La scuola è l´uscita dallo stato di egoismo sfrenato, è l´aprirsi al mondo per stare al mondo. Ma è anche il luogo dei primi fantasmi e delle prime violenze tra compagni che oggi hanno la forma spettacolare (tatuata nel corpo) del bullismo e ieri avevano la forma soffocata (incisa nell´anima) dei turbamenti del giovane Törless.
Nei paesi primitivi, senza scuola non riuscivi né a cacciare né a difenderti dagli animali. In quelli moderni ci sono scuole di seduzione e di ballo, di cucina e di polizia, di scrittura e di portamento, di sesso e di castità... La scuola è "studium" che vuol dire amore, passione e dunque vita, ma ci sono anche scuole di morte contro le quali la scuola statale è l´ultimo presidio nelle zone di mafia.
La scuola è l´anima di una comunità, il luogo di tutti gli interrogativi. Ma è anche quella mobilità sociale che tiene in piedi la democrazia, la possibilità cioè di dare scacco ad un destino e cambiare classe: meglio del gioco del lotto. E infatti sopportiamo tutti i sacrifici economici e siamo devoti della scuola «ad ogni costo»: "primum docere, deinde lucrari" è il pensiero di tutti. Tranne della Gelmini che, se si esclude il voto in condotta e il grembiulino, soltanto taglia, contabilizza, chiude e, insieme con l´agitatissimo Brunetta, umilia e caccia via. E mai nella scuola investe o reinveste: "primum lucrari?". Anche questa è scuola: la scuola che insegna a fare a meno della scuola.


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