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Repubblica-Le acrobazie del Tesoro

Le acrobazie del Tesoro Il debito pubblico cresce ma il governo si accontenta di misure "una tantum" con cui abbagliare la Ue MASSIMO RIVA "A fine ottobre il fabbisogno del settore statale...

09/11/2002
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la Repubblica

Le acrobazie del Tesoro

Il debito pubblico cresce ma il governo si accontenta di misure "una tantum" con cui abbagliare la Ue
MASSIMO RIVA

"A fine ottobre il fabbisogno del settore statale, ovvero il deficit di cassa, ha toccato un picco di 49,2 miliardi di euro, qualcosa più del tre per cento del prodotto interno (Pil). Per fortuna che questo valore non coincide con quello dell'indebitamento rilevante secondo i parametri delle convenzioni europee: altrimenti, un primo richiamo formale da Bruxelles starebbe già partendo per Roma, prima che per Berlino o Parigi, dietro i cui guai momentanei il governo Berlusconi cerca maldestramente di nascondere la situazione ben più critica della nostra finanza pubblica.
In ogni caso, questa esplosione del fabbisogno, superiore alle più pessimistiche previsioni, getta una luce di incredulità su almeno un paio di impegni assunti dal governo in materia di contenimento del deficit annuale e di riduzione del debito pregresso. Il ministro Tremonti insiste caparbio nel sostenere - lo ha appena ribadito - che il disavanzo rilevante per gli accordi europei non supererà a fine d'anno il 2,1 per cento del Pil. Si vorrebbe prenderlo in parola, ma i dati sull'andamento della cassa inducono a dubitare fieramente delle sue rassicurazioni. Del resto le stime di Bruxelles parlano da tempo di un 2,3 per cento, mentre il pronostico più aggiornato di Confindustria indica un livello di almeno il 2,6. Al 31 dicembre manca poco e presto si vedrà chi ha più ragione.
Non è, invece, necessario aspettare tempo per constatare che un fabbisogno vicino al tre per cento del Pil avrà effetti pesanti sul debito pubblico. Per la prima volta dopo sette anni, a fine 2002, si rischia di registrare un aumento del rapporto fra il debito e il prodotto lordo, in palese violazione dell'impegno più solenne che l'Italia aveva sottoscritto all'atto della sua accettazione nel club dell'euro. Finora il governo Berlusconi ha di fatto ignorato questo problema perché una seria opera di riduzione del debito lo avrebbe costretto a seguire una strategia finanziaria decisamente più rigorosa, quindi contraddittoria rispetto alle promesse di Bengodi fiscale che continuano a sgorgare dalla bocca del presidente del Consiglio. Ma il problema esiste e pesa seriamente anche perché costituisce la principale anomalia italiana nel concerto europeo.
In termini di politica mediatica - ovvero di fumo negli occhi dell'opinione pubblica - può far magari comodo che oggi l'attenzione generale sia concentrata sullo "scandalo" di una Francia e di una Germania in procinto di sforare il fatidico tetto del tre per cento di disavanzo, quest'anno e forse nel prossimo. Solo che entrambi questi paesi vantano un debito inferiore al limite del 60 per cento del pil, come stabilito dal trattato di Maastricht.
Viceversa l'Italia, che pure s'era impegnata a ridurlo progressivamente, si trova tuttora a un livello del 110 per cento, come non bastasse ora di nuovo in crescita. E questa deviazione strutturale minaccia di diventare politicamente rovinosa, come già è balenato nel recente vertice dei ministri finanziari europei. Dove proprio i paesi messi sotto accusa per i disavanzi d'esercizio hanno cominciato a puntare il dito su quelli più pesantemente indebitati. In una parola, sull'Italia: che, convinta di potersi riparare dietro le difficoltà altrui, rischia alla fine di diventare il capro espiatorio della situazione.
D'altra parte, anche al ministero del Tesoro devono essersi accorti che sul fronte del debito l'orizzonte s'è fatto plumbeo ed è necessario correre ai ripari. Ma, a giudicare dalle prime mosse, bisogna proprio dire che il ministro Tremonti continua a perdere il pelo in tema di previsioni, ma non rinuncia al vizio dei giochi acrobatici della cosiddetta finanza "creativa".
Ecco, infatti, la brillantissima pensata delle fertili menti ministeriali: trasformare un vecchio debito trentennale con la Banca d'Italia di circa 42 miliardi di euro all'uno per cento in una nuova emissione di poco più di 15 miliardi al tasso del 5,38 per cento. In questo modo al debito pregresso viene dato un taglio secco di 25 miliardi, pari a circa due punti percentuali nel suo rapporto con il Pil, compensando gli sfondamenti in atto e consentendo di esibire verso l'Europa il mantenimento dell'impegno alla riduzione del debito medesimo.
Gran bella trovata, vero? Già, peccato che, cavando questo coniglio dal cilindro, gli apprendisti stregoni del Tesoro facciano salire gli oneri annuali sul suddetto prestito dagli attuali 420 milioni a qualcosa più di 800 per il futuro, quasi il doppio. Risultato: anno dopo anno, i già duri sforzi per inseguire l'equilibrio del bilancio si troveranno gravati dall'esigenza di reperire circa 400 milioni di euro in più, altrimenti il debito tornerebbe a crescere. Il senso razionale di una simile operazione sfugge. Qualunque amministratore al mondo, infatti, farebbe i salti mortali pur di tenersi stretto un debito al risibile interesse dell'uno per cento. Il fatto che i nostri governanti abbiano deciso di dare un calcio a una simile opportunità solo per imbellettarsi una tantum davanti all'Europa è, purtroppo, l'ennesimo segnale dell'improvvisazione e della superficialità con cui oggi sono gestiti i conti pubblici.


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