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Repubblica-LA SOLITUDINE DI UN GIORNO SENZA CELLULARE

LA SOLITUDINE DI UN GIORNO SENZA CELLULARE SERGIO DE SANTIS Non sono pochi quelli a cui, a distanza di anni, capita di sognare ancora della propria maturità, o (come si chiama oggi) del pr...

18/06/2003
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la Repubblica

LA SOLITUDINE DI UN GIORNO SENZA CELLULARE
SERGIO DE SANTIS
Non sono pochi quelli a cui, a distanza di anni, capita di sognare ancora della propria maturità, o (come si chiama oggi) del proprio esame di stato. A volte si tratta di incubi, altre di sogni che comunque dimostrano quanto segni la nostra anima, quella che rappresenta la prima seria prova di vita. Gli esami sono una tappa importante, e anche se con il mutare dei ministri cambiano le regole, le commissioni, i voti, non cambia mai l'ansia della vigilia che, generazione dopo generazione, attanaglia studenti e genitori, forse più i secondi che i primi.
Negli ultimi tempi, però, c'è qualcosa di diverso: in classe è arrivato un nuovo alunno, il cellulare, compagno di tutti, amico fedele, pronto a dare un suggerimento, un aiuto, un incoraggiamento, a scambiare una battuta. E' preparatissimo, eppure non è competitivo, anzi è sempre a disposizione.
Peccato che a scuola non vogliano più nemmeno farlo entrare, figurarsi se lo si può portare all'esame di stato.
Eppure è lui che durante l'anno salva da un'imminente interrogazione squillando a distesa, con l'alunno di turno che chiede scusa accennando affannato a telefonate urgenti dei genitori e insegue il suo cellulare fuori dalla classe, assicurando che, dopo aver risposto alla telefonata, rientrerà subito in classe.
Subito quando? L'inseparabile amico sa anche essere utile restandosene in silenzio: è sufficiente leggere o digitare messaggini per sopportare una spiegazione particolarmente noiosa, o per suggerire una formula durante un compito in classe. Il nuovo compagno non è solo bravo, ma pure spiritoso, ed ha inventato un linguaggio suo, fatto di acronimi misteriosi, abbreviazioni arbitrarie, segni di operazioni matematiche che sostituiscono congiunzioni o avverbi; tutto pur di far comunicare il più brevemente possibile con un amico o con la ragazza.
Purtroppo, nonostante tutti i suoi meriti, portare il cellulare all'esame significa rischiare addirittura la bocciatura.

Ma allora a che serve il progresso, se uno è costretto a passare la nottata copiando interminabili temi su antiquate striscette di carta, rovinandosi gli occhi proprio come facevano i genitori e prima di loro i nonni, mentre con un cellulare ti puoi connettere a internet e accedere al sapere universale senza nemmeno macchiarti d'inchiostro?
Già, internet. Allora s'interroga il nuovo oracolo confidando in qualche hacker e consumando la veglia notturna in adorazione dello schermo, nella speranza, inutile, che sia venuto in possesso delle tracce dei temi.
Intanto le ore scivolano inesorabili verso il mattino, quando, senza il prezioso compagno con tasti, monitor, internet e quant'altro, si dovrà andare da soli, assonnati, ansiosi, insicuri, e perciò splendidamente umani, a uno dei primi esami della vita.
Proprio come raccontano di aver fatto i genitori e prima di loro i nonni. Forse per questo non vanno in pensione gli esami di stato: per essere raccontati fra amici, in famiglia, anche a distanza di anni, anche se non sono andati benissimo; tanto in realtà si racconta della prima parte della nostra giovinezza che finiva davanti a una commissione di esame.
Ma eravamo troppo emozionati, allora, per rendercene conto.
Sergio De Santis


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