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Repubblica-La Grande sfida di Cofferati

segretario della Cgil si prepara ad una sfida che non si esaurisce con l'appuntamento di domani Flessibilità e leadership dell'Ulivo una doppia partita per Cofferati di MASSIMO GIANNINI ...

16/04/2002
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la Repubblica

segretario della Cgil si prepara ad una sfida
che non si esaurisce con l'appuntamento di domani

Flessibilità e leadership dell'Ulivo
una doppia partita per Cofferati

di MASSIMO GIANNINI


ROMA - "Sarà un grande sciopero generale. E sarà uno sciopero giusto. Lo sciopero dei diritti contro gli arbìtri...". Sergio Cofferati non ha dubbi. Il leader della Cgil, e con lui i colleghi della Cisl Pezzotta e della Uil Angeletti, si preparano a vivere la giornata di domani come fosse un momento di svolta, che può cambiare il corso dei rapporti tra governo, sindacati e industriali. Uno sciopero generale di otto ore non si vedeva in Italia da vent'anni.

Era il 1982, e il 25 giugno Cgil, Cisl e Uil fermarono l'intera nazione, occupando la Capitale con una manifestazione imponente, per protestare contro la disdetta unilaterale dell'accordo sulla scala mobile decisa dalla Confindustria. Lo sciopero fu un successo, ma fu dimenticato in fretta. Al protocollo Scotti del 1983 sulla decurtazione del punto di contingenza seguì l'anno dopo il decreto di San Valentino, con il quale il governo di Bettino Craxi predeterminò la scala mobile, distrusse l'unità sindacale e portò il Pci e la Cgil, poco dopo, alla Caporetto del referendum. Una sconfitta, per la sinistra politica e sindacale, che avrebbe cambiato faccia all'Italia. Oggi, sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, questo ricorso storico dal sapore troppo antico si potrebbe ripetere. Per questo è decisivo l'esito dello sciopero di domani.

Se sarà davvero compatto, e quasi plebiscitario come promettono e sperano i sindacati, il governo Berlusconi potrebbe arrendersi, e rassegnarsi allo stralcio, o ricorrere a un escamotage che gli assomiglia nella sostanza, anche se appare un po' diverso nella forma. Se invece sarà meno esteso e unitario del previsto, il centrodestra potrebbe rischiare l'affondo, con l'appoggio della Confindustria o almeno del suo vertice, costringendo di nuovo la sinistra politica e sindacale ad avventurarsi nella roulette russa del referendum abrogativo.

Cofferati è sicuro: "Questo sciopero non fallirà. E io sono convinto che la linea dura che accomuna governo e Confindustria non può reggere. La mia non è una scommessa. Ci sono indizi concreti, che lo dimostrano. Sono venuti fuori a Parma. Berlusconi e D'Amato dicono che il nostro è uno sciopero tutto politico. Mentre non c'è nulla di più sindacale di uno sciopero contro una delega rovinosa sulle pensioni e contro un intervento lesivo dei diritti dei lavoratori sui licenziamenti. Ma il fatto stesso che dicano una simile, pretestuosa menzogna dimostra che quello sciopero lo temono, perché sanno che l'opinione pubblica ne comprende le ragioni, e le condivide".

Il leader della Cgil "investe" sulle contraddizioni del rapporto tra centrodestra e industriali: "Confindustria comincia a presentare il conto delle promesse mancate a un governo che finora gli ha dato solo una inutile Tremonti-bis e un pacchetto sull'emersione che si è rivelato un disastro. E si badi, io non me ne compiaccio, come dice D'Amato: l'avevo detto per tempo, e avere ragione oggi non mi conforta". Investe sulle incertezze della maggioranza: "La fiducia in Parlamento sull'emersione è un atto grave ma indicativo: conferma che sono con l'acqua alla gola". Investe sulle perplessità delle imprese: "Sull'articolo 18 sono divise: le piccole pagano una conflittualità in fabbrica per una misura che non le riguarda, e le grandi pagano i costi del conflitto sociale per una modifica che giudicano irrilevante".

Ma i rischi non mancano. Il Cavaliere tende una mano, per il giorno dopo, pronto a trattare sugli ammortizzatori sociali. Cofferati è disponibile: "Se saremo convocati, al tavolo andremo senz'altro, come abbiamo sempre fatto. Ma ci andremo per ripetere al governo che vogliamo lo stralcio sull'articolo 18. Se c'è questo, poi siamo pronti a trattare su tutto. A presentare le nostre proposte. Perché noi siamo riformisti davvero. Mentre non lo è Berlusconi, che cita come modelli di riformismo Reagan e la Thatcher. Non si può manipolare la storia in questo modo. Quelli non sono riformisti, sono solo governanti che hanno smantellato sistemi di protezione sociale".

Lo sciopero di domani è quindi una verifica decisiva. Contiene una partita dentro la partita. All'esito finale dello scontro sull'articolo 18 è legato inestricabilmente il futuro della leadership del centrosinistra per le prossime elezioni del 2006. Cofferati ha già detto ai suoi di tenersi pronti. "Io spero che non ce ne sia bisogno, ma il ricorso alla consultazione popolare va preso in seria considerazione. Nessuna arma va esclusa, quando in campo ci sono i diritti del lavoro e della cittadinanza". Se Berlusconi non cede, è pronto a guidare la campagna referendaria, anche se non più da segretario generale della Cgil che lascerà nel giugno prossimo. Questa prospettiva, oggi, trova d'accordo anche gli altri leader dell'Ulivo. Rutelli lo ha detto espressamente: al congresso dello Sdi ha giocato d'anticipo, prenotando un posto di primo piano nell'eventuale comitato promotore.

E sono convinti anche Fassino e D'Alema. "E' vero che i referendum si possono anche perdere - ripete in queste ore il presidente dei Ds - ma è anche vero che quella sull'articolo 18 è diventata una battaglia forte, per tutta la sinistra". Oltre tutto, D'Alema è anche consapevole che l'opposizione non può raccogliere le firme solo contro la legge sulle rogatorie, che l'Ulivo ha già deciso. "Con una mossa del genere non si va da nessuna parte. Come portiamo la gente a votare, solo su un quesito come quello?". Il traino di un referendum di grande impatto sociale, come quello sulla difesa della giusta causa nei licenziamenti, sarebbe invece indiscutibile.

Nell'ottica dei vertici della Quercia, si profila un pacchetto complessivo da proporre all'elettorato: articolo 18, rogatorie e conflitto di interessi. Sarebbe un richiamo forte per un voto popolare. Renderebbe più difficile la contro-campagna referendaria del Cavaliere: i sondaggi già dimostrano che la maggioranza degli elettori della Casa delle libertà è contraria alla sospensione delle garanzie nei licenziamenti. Darebbe filo da torcere anche alla Confindustria, chiamata a scendere in campo in una posizione scomoda: l'ultimo atto autenticamente politico della confederazione fu il sostegno esplicito ai referendum dei radicali del '99, tra cui c'era anche quello sulla libertà di licenziamento. E si rivelò un fiasco senza precedenti. "Il momento va sfruttato - è il ragionamento che D'Alema continua a riproporre a Fassino - anche perché la legge appena approvata dal Parlamento sulla possibilità di votare anche di lunedì è un enorme vantaggio". "In questo modo - insistono i Ds - se in una prossima consultazione referendaria sui tre quesiti che abbiamo in mente la domenica sera fossimo a pochi voti dal quorum, sarebbe molto più semplice, il lunedì mattina, portare a votare la gente che serve a raggiungerlo".

In questo scenario il centrosinistra rischia assai meno rispetto al Partito comunista, che nel giugno dell'85 incassò il clamoroso no di oltre 18 milioni di italiani all'abrogazione della nuova legge sulla scala mobile. Ma se è consapevole di questo, la Quercia che ha vinto l'ultimo congresso con un programma fortemente riformista è anche consapevole del fatto che una vittoria referendaria sull'articolo 18 sarebbe soprattutto la definitiva consacrazione politica di Cofferati. Lui ci ride sopra. "Torno in Pirelli, che ci crediate o no...". Ha incontrato pochi giorni fa a colazione il suo prossimo datore di lavoro. A Marco Tronchetti Provera non dispiacerebbe affidargli la responsabilità dell'Ufficio Studi di quella che fu la gloriosa Bicocca.

Ma il piano inclinato della politica, se supera la prova di forza dell'articolo 18, può farlo scivolare quasi per inerzia verso una candidatura. D'Alema è convinto che le posizioni più "massimaliste" del leader della Cgil non servono alla riscossa del centrosinistra. "Se alle prossime elezioni il centrodestra si inventasse un Casini candidato premier, lanciando Berlusconi al Quirinale, noi saremmo condannati all'opposizione per i prossimi 25 anni...", è la linea dell'ex premier. Che in queste ore, con i suoi continua a lanciare un avvertimento preciso: "Facciamo fino in fondo la battaglia sull'articolo 18. Facciamo pure il referendum con il massimo della convinzione e della determinazione. Ma tutti sappiano fin da ora una cosa: se qualcuno crede che Fassino ed io ce ne stiamo qui, a tenere in caldo la poltrona a Cofferati, si sbaglia di grosso.

Siamo pronti a una guerra totale, ma la linea di Pesaro non si cambia. Né oggi né nel 2006...". Al di là dei proclami, questa leadership ha un problema: deve venire allo scoperto, con idee e proposte originali, se non vuole sbiadire e farsi dettare l'agenda dalla Cgil. Cofferati, oggi, a tutto questo non pensa. Scommette sulla "grande giornata di domani", e lì si ferma. "Il dopo? Il dopo non esiste...". Il referendum è una subordinata alla quale spera di non ricorrere. E la politica è uno sbocco al quale giura di non pensare. Ma se non esiste per lui, il dopo conta moltissimo per il Paese. Uno sciopero è utile se, riaffermato un principio generale e condiviso, serve a indirizzare il cambiamento verso strade diverse. E' dannoso, invece, se serve solo a bloccarlo.


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