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Repubblica-L'istruzione italiana è in rovina e il governo chiude la borsa

L'istruzione italiana è in rovina e il governo chiude la borsa CESARE DE SETA L'opinione pubblica, anche quella più avvertita, non sa o non sa fino a che punto sia grave la crisi dell'istr...

19/11/2002
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la Repubblica

L'istruzione italiana è in rovina e il governo chiude la borsa

CESARE DE SETA

L'opinione pubblica, anche quella più avvertita, non sa o non sa fino a che punto sia grave la crisi dell'istruzione in Italia. La trasmissione del sapere da una generazione all'altra è già di per sé un problema serio: nel nostro Paese scuole di ogni ordine e grado sono fisicamente insufficienti, nelle grandi città scoppiano le elementari e le università. Non ci sono aule sufficienti, non ci sono laboratori attrezzati, non ci sono biblioteche, né servizi adeguati per i meno abbienti che solo il formale dettato della Costituzione tutela. Trasmettere sapere - quello che ci si sforza di fare nell'università nonostante tutto - è necessario, ma non è assolutamente sufficiente: bisogna camminare, anzi correre, provando a tenere il passo con i ritmi imposti dai sistemi di conoscenza in essere in ogni parte del mondo più avanzato. Consolarsi che un altro premio Nobel ha studiato a Milano o a Palermo è privo di senso: le eccezioni non fanno le regole e poi questi stessi Nobel sono quasi sempre emigrati in Usa.
I dati disponibili sulla punta della piramide dell'istruzione universitaria in Italia sono inquietanti anche per chi vive nell'Università e nutre fiducia di essere parte della comunità scientifica internazionale: nel nostro Paese il rapporto tra popolazione attiva e laureati e diplomati è di 8,7, nel Regno Unito 23,6; Francia e Germania - in percentuale e per anno - hanno il doppio dei ricercatori che in Italia; per la ricerca l'Italia investe circa la metà di quanto investono in media i maggiori paesi europei. Lasciamo perdere i confronti con Stati Uniti e Giappone perché la stessa media europea - assai più alta di quella italiana - ne esce spesso mortificata.
Da qualunque parte leggiamo i dati dell'Ocse o di altri istituzioni internazionali sul nostro glorioso Paese, ci si rende conto che arretriamo vistosamente. Nel prossimo futuro avremo bisogno di studenti meglio preparati e di docenti all'altezza del ruolo: nell'Università italiana il rapporto tra docenti e studenti è di 1 a 33, in Germania 1 a 13, in Svezia 1 a 9. Stando così le cose, cioè assai male, bisognerebbe ricorrere ai ripari: purtroppo la finanziaria del 2003 del super ministro Tremonti non fa che peggiorare una situazione che è già allarmante da molti anni. Il ministro Moratti ha mostrato di esserne consapevole, ma Tremonti ha "ambo le chiavi del cor di Federico": mi chiedo se la documentata, allarmate e vibrata lettera inviata al Presidente del Consiglio dalla Conferenza dei Rettori dell'Università italiana riuscirà a ammorbidire questo Quintino Sella dei nostri tempi. Il quale - per far quadrare i conti dello Stato che non tornano - non sa far di meglio che devastare i bilanci dell'istruzione pubblica, della ricerca, del reclutamento o disporre norme in sospetto di incostituzionalità per la vendita del patrimonio demaniale dello Stato.
E' noto che l'invecchiamento del personale docente dell'Università italiana è un fenomeno già in atto; le promozioni avvengono da un gradino all'altro sia per spinte corporative poco degne che la facoltà non sono capaci di arginare, sia per i tetti di pensionamento assai alti, sia per assoluta mancanza di risorse. Sta di fatto che l'istruzione universitaria ha una punta sempre più larga e la base si sta sgretolando perché nulla o pochissimo si fa per immettere nuove energie. Il sapere contemporaneo e quello del futuro - contrariamente a quanto comunemente si crede per stanchezza o inerzia - non è strutturalmente costituito da specializzazioni sempre più spinte; al contrario è un sistema complesso, una miscela in cui interagiscono sistemi di conoscenza solo apparentemente distanti sia in senso disciplinare che propriamente topografico. In tal senso la ricerca di base - drasticamente mortificata dalle linee dominanti nell'istruzione universitaria - è essenziale per alimentare nuove conoscenze. Questo modo innovativo di pensare e di costruire saperi non è dei vecchi, ma dei giovani: gli Stati Uniti che su questo terreno hanno una schiacciante egemonia, la hanno grazie al meccanismo di reclutamento di docenti e studenti di cui si sono dotati: meritocrazia significa innanzitutto sostegno ai meritevoli che non hanno i mezzi e strutture di formazione di alto livello. Si dica con franchezza che la stessa corporazione è corresponsabile di questo inquietante stato di cose: ma di fronte al baratro che si è aperto dinanzi all'università italiana chiudere i lacci della borsa è una misura inquietante, è come tagliare l'ossigeno a chi sta morendo per asfissia. C'è da augurarsi per il futuro di questo Paese che né questo né altri governi si assumano una tale storica responsabilità.


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