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Repubblica-L'arma della Costituzione contro la guerra "normale" -di Pietro Ingrao

L'arma della Costituzione contro la guerra "normale" Al di là delle fedi personali, giova a tutti una sana paura del conflitto, in tempi in cui non sappiamo nemmeno che nome dare a quel gas che h...

29/10/2002
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la Repubblica

L'arma della Costituzione contro la guerra "normale"

Al di là delle fedi personali, giova a tutti una sana paura del conflitto, in tempi in cui non sappiamo nemmeno che nome dare a quel gas che ha ucciso centinaia di persone a Mosca
Sostengo la validità dell'articolo 11 anche se non si può escludere l'uso della forza per mantenere e ristabilire la pace o la sicurezza internazionale di fronte alterrorismo
PIETRO INGRAO

Caro direttore, ringrazio il presidente della Camera Pierferdinando Casini per la gentile attenzione con cui, su Repubblica, ha voluto rispondere ai problemi che sono venuto sollevando circa la validità o la morte dell'articolo 11 della Costituzione italiana.
Prima però di venire al tema del nostro dibattito non si può non esprimere sgomento e desolazione per gli eventi terribili avvenuti nel teatro Dubrovka di Mosca, per la strage che lì si è compiuta e l'oscuro apparire di nuovi sconvolgenti strumenti di morte. Sono eventi che ribadiscono torbidamente gli interrogativi amarissimi sulle nuove armi di massacro collettivo e il loro uso. E vengo ad affrontare gli argomenti in discussione con il presidente della Camera, cercando di essere breve, e limitandomi a sottolineare i punti su cui da parte mia c'è accordo e dove invece dissento, o dubito, e perché.
Il primo punto sottolineato da Casini è che i principi di libertà e di rispetto della persona affermati nel nostro ordinamento "devono essere difesi adeguatamente" e "non si può restare inermi di fronte alla loro violazione". Non ho bisogno di sottolineare il mio consenso su questi punti: è esattamente ciò che ho chiesto a proposito dell'articolo 11 e anche di altri. In seguito il presidente della Camera evoca l'articolo 39 e l'articolo 51 della Carta dell'Onu che fissa i poteri del Consiglio di sicurezza "anche implicanti l'uso della forza, per mantenere o ristabilire la pace o la sicurezza internazionale".
Voglio tranquillizzare su questi punti il presidente della Camera. Non ho obiezioni da muovere a queste affermazioni. Se mai ho da dolermi che i governanti del mio Paese - come dirlo senza asprezza? - non siano stati sempre attenti a valorizzare e tutelare il ruolo dell'Onu; e anzi abbiano accettato vincoli pesanti - per esempio dalla Nato e nella Nato - che sbiadivano amaramente e spesso duramente vanificavano il ruolo delle Nazioni Unite. E non sono solo io - che conto nulla - a rammaricarmi di ciò. C'è su tale questione un lungo e noto quaderno di critiche. Sono tanti che nel mondo si dolgono di come i governi dell'Occidente abbiano ferito duramente la grande speranza suscitata dal sorgere delle Nazioni Unite. E lasciamo pure il passato. Guardiamo all'oggi. Mi chiedo se la teoria della "guerra preventiva" proclamata dal presidente Bush non ferisca al cuore l'idea e la pratica di un ordine internazionale fondato realmente sull'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Come può vivere un ruolo reale dell'Onu se la più grande potenza del mondo afferma e rivendica per sé il potere grave della "prevenzione"? E non a riguardo di un angolo della Terra, ma sull'intero globo. E fa - il presidente americano - di questo nuovo potere preventivo il volto e l'emblema della sua strategia politica: come è scritto a tutte lettere nelle gazzette di tutto il mondo.
Ma io non voglio, citando Bush, eludere il nodo specifico italiano che ho cercato di evocare, chiamando in campo quell'articolo 11, essenziale per definire volto e sostanza della nostra Costituzione. Penso e sostengo che quell'articolo non sia annullato nemmeno dai poteri e dalle delibere dell'Onu (e Dio sa quanto vorrei che esse contassero di più). Certo: si può aprire una differenza e anche un conflitto. E allora differenza e conflitto vanno vagliati pubblicamente nelle sedi ineludibili indicate nella Costituzione italiana. E questo deve essere garantito da coloro che io chiamo immaginosamente: Custodi della Costituzione. E ciò deve avvenire tempestivamente e pubblicamente. Purtroppo tutto questo finora non è avvenuto. E verità vuole che sia riconosciuto: non per pedanteria; ma per afferrare il problema aspro che si apre quando la guerra torna in modo così allarmante nella politica del mondo.
Io non voglio leggere l'articolo 11 come un foglio morto di pergamena. Chiedo il contrario: chiedo di sapere come vive oggi l'articolo 11, e se vive. E se invece è morto, capire come e dove è morto, e dove e come cambia la Costituzione italiana: perché ritengo la Costituzione un bene, e se vogliamo smentirla o solo variarla, o addirittura ucciderla, questo deve avvenire alla luce del sole e nelle sedi fissate nella Carta stessa. Chiedo al presidente Casini: può dirmi dove e quando in questo inizio drammatico del Terzo Millennio (e anche prima) è avvenuta questa discussione con il suo nome e il suo cognome e nelle sedi dovute?
Presidente Casini non si sbagli: non è una pruderie costituzionalista o un pacifismo parruccone che mi muove. E' il tema della guerra che torna drammaticamente in questo inizio di secolo. E ne mutano forme e portata, ne sgorgano rovine e cadaveri. Persino l'incredibile evento di Mosca ce lo ricorda con una violenza e un'invenzione che nessuno immaginava. E non sappiamo dare ancora un nome all'arma (perché di questo si tratta) sottile e terribile che è stata usata in quel teatro. E qui viene in causa anche il terrorismo, che mi fa disgusto e spavento.
Al termine del suo articolo lei annuncia un "libero dibattito nella sede della rappresentanza popolare". E' una buona notizia. Mi consenta però ancora una domanda: perché vi dispiacete o vi preoccupate - almeno così sembra - se organizzazioni chiamate pacifiste scendono in campo, e pongono domande e manifestano, e - se mai, sì - gettano allarme dinanzi al rischio della guerra? Lei - mi scusi questo riferimento personale - è cattolico. Non è un bene che qualcuno o molti invochino ardentemente la pace? E apprendano a dare concretezza a questo bisogno. Che possono fare se non bene? E non è anche e molto a loro che dobbiamo affidare almeno una parte delle nostre speranze? Ma al di là delle fedi personali, chiedo: i miei contemporanei non sono spaventati dal livello raggiunto dall'uso collettivo delle armi e da questo ritorno impetuoso della guerra sulla scena del mondo? Non li angoscia l'oblio crescente - quasi la cancellazione dal vocabolario - della parola "disarmo"? Non ne sono spaventati i cattolici? Io sì.
La guerra purtroppo è diventata "normale". A chi giova? Non è meglio per tutti che viva nei petti delle persone una sana paura della guerra? In tempi in cui non sappiamo nemmeno che nome dare a quel gas che ha schiantato centinaia di esseri umani in quel teatro di Mosca: russi e ceceni, tutti affratellati, unificati da quell'alito mortale di cui si teme di dire persino il nome.


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