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Repubblica-L'altra faccia delle liberazioni

L'altra faccia delle Liberazioni GIORGIO BOCCA MILIONI di italiani guardano il sacco di Bagdad, io fra loro, sconvolto incredulo, e sono uno che è passato per almeno tre saccheggi nel nostro ci...

12/04/2003
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la Repubblica

L'altra faccia delle Liberazioni
GIORGIO BOCCA
MILIONI di italiani guardano il sacco di Bagdad, io fra loro, sconvolto incredulo, e sono uno che è passato per almeno tre saccheggi nel nostro civilissimo Paese, in una provincia ricca e quieta del basso Piemonte. Il sacco più simile a quello di Bagdad fu quello dell'aprile '45 a Busca, una quindicina di chilometri dal capoluogo di provincia Cuneo. L'assalto alla caserma della Littorio, compagnia controcarro, era fissato per la mezzanotte, all'ora del cambio della guardia: un ufficiale che era passato dalla nostra parte doveva aprire il portone della caserma. Lo vedemmo uscire e fare dei gesti con la mano.
Partimmo dal buio delle vecchie strade, divorammo di corsa quei cinquanta metri ed eravamo già nelle camerate di quelli che non avrebbero mollato, dei fascisti duri. Erano con le magliette bianco nera dell'Opera nazionale balilla, in mutande. Uno tentò di afferrare il mitra che aveva appeso a capo del letto, ma Ettore, il minatore di Casale Monferrato gli fu sopra roteando il mitra come una clava e sullo slancio fece cadere a terra un lume a petrolio che appiccò il fuoco al pagliericcio. Le fiamme divamparono, in un attimo eravamo nel caos, le armi puntate sui soldati che si rivestivano e venivano spinti verso il cortile e mentre cercavo di capire, di vedere nel fumo e nelle fiamme sentii come sgusciarmi fra le gambe un borghese, uno arrivato da una casa vicina che cercava di trascinare un materasso, rischiava la vita per un materasso da caserma, vi rendete conto?
E mentre cercavo di fermarlo ne arrivò un altro e poi altri ancora a decine dalle case in cui si erano accese le luci a tutte le finestre, case di impiegati, di commercianti arrivò anche il panettiere con il cappello di carta bianca in testa, anche un ragioniere che era stato mio compagno di scuola e tutti correvano con gli occhi di un animale da preda, incuranti degli spari, degli urli, del rombo dei camion che trainavano i cannoni, degli ordini urlati per far star bravi i prigionieri.
Lo spiazzo davanti la caserma era illuminato a giorno la nostra colonna si mosse per prendere la strada per Caraglio e per la valle Grana e stando sul camion di coda mi girai per un ultimo sguardo e sullo spiazzo continuava ad arrivar gente che incontrava di corsa quelli che se ne andavano carichi di tutto, scatole di conserva, cuscini, brande, fucili. Un paese di campagna florida, dove non era mai mancato il pane il latte e la carne. Il sacco è qualcosa che gli uomini si portano dentro, in memoria del sangue, irresistibile a Bagdad come in una provincia dell'Italia ricca.
Ci sono stati in quegli anni sacchi durante tutta la guerra, nella Napoli delle Cinque giornate, lungo gli Appennini risaliti dagli eserciti alleati. Si rischiava la vita per difendere la roba, per mettere le mani sulla roba, gli eccidi tedeschi accompagnavano come una striscia di sangue queste follie di una cieca sopravvivenza. Si è scritto del sacco di Bagdad che esso è il segno storico inequivocabile della fine della guerra, ed è quell'interregno che in ogni guerra consente la vendetta di coloro che la guerra hanno dovuto subirla e, che finalmente diventano protagonisti anche se per poche ore.
Nei saccheggi compaiono gli specialisti, quasi i professionisti della caotica rapina. Pronti come se la avessero attesa da tempo, con i carretti e i camioncini per caricarci su la roba con gli attrezzi per staccare le ruote, per smontare il motore. L'8 settembre del quarantatré venne a dissolversi a Cuneo la quarta armata che aveva occupato la Francia, una lunghissima colonna di camion si fermò sul viale che corre lungo i bastioni; lungo le ripe dell'altopiano ci passai con un plotone di alpini, ci avevano ordinato di mettere un posto di blocco non si sapeva verso quale direzione perché non si sapeva da dove i tedeschi sarebbero arrivati. Era come essere su un fiume pieno di piraña: le colonne dei camion venivano ripulite, ridotte a scheletri da centinaia di buoni cittadini incuranti del fatto che il maggiore Peiper stesse puntando sulla città con un reggimento di SS. E qualcosa di simile è accaduto a Bagdad, un simile caos di liberazione festosa e di saccheggio e di morte che continua a serpeggiare in quelle ore frenetiche.
Il 25 aprile avevamo occupato a Torino la villa del senatore Agnelli e dalla sua cantina salivano al piano terreno bottiglie di Dom Perignon. Gli stappi si mescolavano alle telefonate che segnalavano la presenza di cecchini sul tetto di una casa vicina, su un ponte del Po e allora vedevi partire qualcuno dei nostri, neppure su ordine, così per andare a vedere l'ultima battaglia, la vendetta, la festa, gli sciacalli.
Il sacco di Bagdad è, come i nostri sacchi, solo un sacco di gente in miseria che arraffa coltelli, piatti, vecchi sofà sfondati. Una irresistibile vendetta della povertà a cui assistono impotenti i soldati americani sui loro carri armati grandi come delle case. Quasi un ammonimento: non sarà facile vincere la sterminata povertà del mondo.


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