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Repubblica ita-"Più conoscenza, meno mobilità"

Presentato a Roma un network che guarda all'Europa "Ma vogliamo bloccare la fuga dei cervelli" Un portale per i ricercatori "Più conoscenza, meno mobilità" di MONICA ELLENA ROMA - Un por...

16/03/2005
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la Repubblica

Presentato a Roma un network che guarda all'Europa
"Ma vogliamo bloccare la fuga dei cervelli"
Un portale per i ricercatori
"Più conoscenza, meno mobilità"

di MONICA ELLENA
ROMA - Un portale per la mobilità dei ricercatori e un network made-in-Italy che guarda all'Europa per il trasferimento di conoscenze. Un progetto nuovo (www. fondazionecrui. it/eracareers/italy/default. htm) nato nell'ambito della rete europea sulla mobilità finalizzato a favorire lo scambio dei ricercatori e con loro conoscenze ed esperienze tra l'Italia e il resto del mondo è stato presentato oggi al Consiglio Nazionale delle Ricerche a Roma. Scopo principale quello di aprire nuove opportunità, snellire la burocrazia, e richiamare stranieri dall'estero.

Una mobilità che "non deve essere senza prospettiva - ha detto Guido Possa del Miur, intervenuto alla presentazione del portale al Consiglio Nazionale delle Ricerche - ma uno strumento che serve a raggiungere l'eccellenza della ricerca e una garanzia di veicolo e rete di conoscenze". Flessibilità quindi la nuova frontiera della ricerca. Ma non l'unica. "Viviamo sulla nostra pelle la mobilità - ha detto Andrea Capocci, fisico ricercatore precario e portavoce di ricercatori precari in protesta fuori dal Cnr - e temiamo che questo gran parlare di mobilità si traduca in un aumento della fuga dei cervelli all'estero".

Trentadue anni, cinque dei quali passati tra Svizzera e Francia, per Capocci "la mobilità non deve diventare emigrazione, non può coniugarsi con un precariato a vita". Una critica che s'inserisce nel fronte dell'opposizione di gran parte del mondo universitario al più recente decreto di legge delega firmato dal ministro Moratti sul riordino dello stato giuridico dei professori che, tra gli altri, mette ad esaurimento la figura del ricercatore. Un provvedimento che, dopo essere approdato alla Camera, è stato rimandato alle Commissioni per correttivi.

Richiamare i cervelli, avverte Capocci, non basta. "Nessuno lascia rispetto ed eccellenza all'estero per trovare anonimato e precarietà in Italia. Se non si arriva ad un sistema organico nel quale la ricerca è un elemento portante dell'università e non un qualcosa al quale destinare le briciole dei finanziamenti non utilizzati, l'esilio continuerà e non ci sarà ritorno".

Siamo ultimi. Eppure l'Italia rimane il fanalino di coda per ciò che riguarda la mobilità in ricerca. Appena 2,2 per cento contro il 3 e il 4 negli Stati Uniti e in Giappone, percentuali che raggiungono il 9 in Cina e il 6,4 in India. E in un quadro normativo disorganico, in Italia ci sono solo 2,8 ricercatori per mille abitanti mentre in Francia sono 7,2, in Germania 6,8 e 5 in Spagna.

"Non possiamo nasconderci il fatto che la realizzazione della mobilità è fondamentale per l'alta formazione - spiega Piero Tosi, presidente della Conferenza dei Rettori italiani. E ribadisce: "Non vogliamo una microriforma ma una riforma seria. Ci si è accorti di quanto fosse sbagliata una politica che non investe in ricerca. La formazione è stata svalorizzata sia all'università sia nelle scuole e c'è una carenza cronica di investimenti".

Nella giungla di bandi, concorsi, borse di studio, si comincia a fare pulizia e coordinare le iniziative. La più importante è ERA-MORE - European network of mobility centres - , la rete dei centri di mobilità, frutto di un'iniziativa congiunta della Commissione Europea e dei paesi che partecipano al Sesto programma quadro di ricerca dell'Unione Europea, che registra circa 200 centri di mobilità con un servizio di informazione e assistenza ai ricercatori in mobilità.

Il portale pan-europeo per la mobilità dei ricercatori (https://europa. eu. int/eracareers/index-en. cfm) nasce come strumento di supporto, offrendo servizi di inserimento e pubblicazione di bandi e offerte di lavoro nel settore della ricerca da parte di enti ed organismi e curricula da parte dei singoli ricercatori.

Lo scopo è fornire assistenza ai ricercatori e alle strutture che ne gestiscono la mobilità con informazioni aggiornate sulle politiche europee, nazionali e regionale e sul sistema della ricerca in Italia, oltre a risposte su questioni ammnistrative e giuridiche - visti, permessi di soggiorno e di lavoro, previdenza sociale, tasse.

Quelli che arrivano dall'estero. Se i ricercatori italiani scelgono di perfezionarsi - e spesso di femarsi - all'estero, soprattuto verso Stati Uniti e Gran Bretagna, il nostro paese è di gran lunga meno appetibile per i cervelli stranieri. Nel triennio 1999-2002 con il Quinto programma quadro per la ricerca in Europa sono state appena 500 le domande per borse di studio di ricerca nel nostro paese. Oltre 2000 le richieste per la Gran Bretagna.

Gli stranieri sono appena lo 0.8 per cento sul totale dei ricercatori. "Essere bravi non basta, c'è bisogno di strutture, attrezzature, un sistema organico" - spiega Andrea Scozzafava, delegato nazionale per il Comitato "Risorse Umane e mobilità" del Sesto programma quadro. A dire che la mobilità in uscita non è dovuta solo alle carenze del sistema italiano, ma alla maggiore attrattività degli altri paesi. Sul come rendere l'Italia attraente agli occhi stranieri Cristina Gandolfi, responsabile dei rapporti tra Università e mondo delle imprese di Confindustria elenca remunerazioni adeguate, produttività, valorizzazione dell'esperienza privata. Ma la mobilità, non solo tra paesi, ma anche intersettoriale, può essere penalizzante. Non è un caso che il Sesto programma quadro abbia introdotto per la prima volta premi di "reintegrazione" per aiutare il reinserimento dei ricercatori che, dopo un periodo all'estero, si ritrovano a ricominciare da capo al loro ritorno.

Se secondo l'APRE - l'Agenzia per la promozione della ricerca europea - per la maggioranza dei ricercatori italiani che hanno trascorso un periodo all'estero, "la borsa di studio ha arricchito il bagaglio scientifico, culturale e personale", il rischio è che la mobilità "selvaggia" diventi l'unica strada.


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