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Repubblica-Il vero prezzo della manovra

Il vero prezzo della manovra MASSIMO RIVA E SE dietro "il più grande taglio di tasse della storia" si nascondesse una solenne fregatura? Ora che il clamore delle trombe e dei tamburi sulla ...

10/10/2002
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la Repubblica

Il vero prezzo della manovra

MASSIMO RIVA

E SE dietro "il più grande taglio di tasse della storia" si nascondesse una solenne fregatura? Ora che il clamore delle trombe e dei tamburi sulla riduzione delle imposte si sta placando, qualche dubbio increscioso comincia a prendere corpo. Lo slogan del governo dice che, l'anno venturo, circa 23/24 milioni di contribuenti avranno uno sgravio fiscale medio attorno ai duecento euro ciascuno. Niente di straordinario a fronte di un'inflazione che, negli ultimi dodici mesi, ha già depauperato di 260 euro un reddito di diecimila, ma certo sempre meglio di niente. Salvo che chi si prenda la briga di guardare con un po' più di attenzione ai conti della manovra 2003 può scoprire che a questi, tanto declamati, benefici tributari corrisponde su altro versante un ben dissimulato ma oneroso contrappasso.
Nel polverone sollevato dalla campagna mediatica berlusconiana, infatti, si è perso di vista che il debito pubblico - secondo i dati ufficiali - chiuderà il 2002 a una quota del 109,4 in rapporto al Pil anziché del 108,5 come inizialmente stimato dal governo. In verità, ci sono numerosi segnali - da ultimo il Bollettino della Banca d'Italia - i quali dicono che le cose potranno andare notevolmente peggio, ma prendiamo pure per buone le stime governative. Un aumento dello 0,9 per cento sarà anche "risibile", come ha detto il sempre ilare presidente del Consiglio, ma esso comporta in cifra un rialzo nell'ordine dei 12,5 miliardi di euro. Ciò significa che, rispetto a quanto promesso, ciascuno dei 57 milioni di italiani - neonati e centenari compresi - inaugurerà il favoloso 2003 del "più grande taglio di tasse della storia" avendo sulle spalle una maggiore quota di debito di circa 220 euro "pro capite". Ovvero il governo Berlusconi toglie con la mano destra a tutti gli italiani qualcosa in più di quanto si gloria di voler restituire con la sinistra in termini di minore prelievo ad appena la metà dei cittadini. Il termine "fregatura" non suonerà elegante, ma si dura fatica a trovarne uno più efficace per definire questa presa in giro.
Il Sole 24 Ore, quotidiano della Confindustria, ha scritto di recente che "il governo Berlusconi ha rinunciato al futuro" a causa dei tagli di spesa progettati in tema di scuola, università, ricerca scientifica. Nel caso del rapporto fra debito pubblico e Pil sta facendo ben di peggio: sequestra il futuro. Perché carica sulle generazioni dei figli e dei nipoti l'onere di finanziare con i loro redditi, se e quando ci saranno, il tenore di vita dei padri e nonni attuali. Così si interrompe quel percorso virtuoso di risanamento, che era stato avviato dal governo Ciampi una decina di anni fa.
Anzi, si ripropone quella logica sociale perversa del "mors tua, vita mea" che, nei tristemente famosi anni Ottanta, aveva innescato l'escalation verso un debito pubblico stratosferico.
Del resto, la controprova di questa allarmante tendenza governativa al cannibalismo finanziario verso le generazioni a venire è offerta, sempre in materia fiscale, dal proposito di ricorrere - dietro la foglia di fico dell'iniziativa parlamentare - all'ennesimo condono tombale. Che il ministro Tremonti insiste nel voler chiamare pudicamente "concordato" forse perché memore di aver svillaneggiato in tempi non lontanissimi i condoni altrui.
Facciamo pure lo sforzo, non lieve, di tralasciare tutte le obiezioni di etica istituzionale e di funzionalità sistemica che sconsigliano l'uso di uno strumento tanto indecoroso e controproducente per l'Erario. Ma anche alla spregiudicatezza si dovrebbe porre un limite, almeno una condizione minima: quella che il gettito di un tale provvedimento, proprio perché "una tantum", sia utilizzato per ridurre il debito e non come carbone da bruciare in tutta fretta dentro la caldaia del bilancio annuale.
Sarebbe questa una strada opportuna non solo in base a elementari criteri di buona amministrazione, ma anche per rendere reali e non ingannevoli i tanto vantati tagli alle imposte sui redditi. Saprà e vorrà imboccarla, con tutte le conseguenze del caso, un presidente del Consiglio il quale ama dire che intende gestire la cosa pubblica con la diligenza del buon padre di famiglia? Se non lo farà, varrà per Silvio Berlusconi e i suoi la profezia che Miguel de Unamuno disse a un arrogante generale franchista: voi vincerete perché avete la ragione della forza (oggi quella di Berlusconi è esorbitante in parlamento), ma non convincerete perché non avete dalla vostra parte la forza della ragione. Come gli italiani stanno cominciando a capire a loro spese.


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