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Repubblica-Il 68 e l'operaio che voleva il figlio dottore

Il 68 e l'operaio che voleva il figlio dottore CORRADO AUGIAS G entile Augias, giorni fa lei ha scritto: "Quando si liberalizzarono gli accessi per tutti a tutte le facoltà quale che foss...

25/06/2003
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la Repubblica

Il 68 e l'operaio che voleva il figlio dottore

CORRADO AUGIAS

G entile Augias, giorni fa lei ha scritto: "Quando si liberalizzarono gli accessi per tutti a tutte le facoltà quale che fosse la scuola media di provenienza si abbassò il livello della formazione universitaria". Mi spiace contraddirla, ma il decreto legge del 1969 pose fine all'esclusione delle classi sociali più povere sempre emarginate dalla classe dirigente che aveva studiato il latino. Non mi riferisco alla retorica dell'operaio che vuole il figlio dottore. So bene che il negro dottore resta sempre un negro. Ma l'approdo all'università ha rappresentato per molti giovani una gratificazione sociale e psicologica anche se non per tutti s'è conclusa positivamente.
Filippo Finardi
Bologna
G entile dottore, sono stato sorpreso dalla sua risposta sugli accessi universitari uguali per tutti. Dunque il binomio Gentile-Croce produce ancora effetti deleteri sugli intellettuali italiani. I due filosofi hanno stabilito un legame arbitrario tra cultura superiore e sapere umanistico emarginando il sapere scientifico ma hanno anche spinto schiere di intellettuali a sopravvalutare la formazione fornita dal liceo classico. Conosco periti industriali, ragionieri, geometri, laureati con il massimo dei voti nelle più svariate discipline: ingegneria, giurisprudenza, lettere e filosofia, sociologia'
Antonino Onorato
Roma
S ono argomenti molto delicati, bisogna capirsi. Nel 1969 con la cosiddetta legge Codignola si stabilì che ogni facoltà era aperta a ogni diplomato quale che fosse la scuola di provenienza. C'era stato sì il famoso '68 ma ricordo che della cosa si discuteva fin dal 1963. Quel provvedimento era un "tampone" provvisorio in attesa di una diversa regolamentazione della secondaria superiore e degli accessi all'università. Come spesso accade il provvisorio è diventato definitivo, la secondaria superiore non è mai stata riformata e alcune facoltà, per esempio medicina, hanno provveduto introducendo "per legge" una prova di accesso e/o il numero chiuso.
Quando si parla di queste cose bisogna evitare ogni demagogia e stare sul concreto: nessuno vuole impedire a ragazzi non abbienti e meritevoli di arrivare non dico all'università, dico al dottorato, ci mancherebbe altro. Non solo è giusto che sia così ma ne abbiamo bisogno, sprecare talenti è un'ingiustizia ed è anche un lusso che non possiamo permetterci. Però bisogna anche sapere che tra primo e secondo anno si registra un abbandono tra il 60 e il 70 per cento degli studenti iscritti, una percentuale spaventosa, uno spreco di soldi insostenibile, credo anche una fonte di grandi frustrazioni per chi deve lasciare.
Ho discusso della cosa con il professor Tullio De Mauro, che è anche stato, per un periodo troppo breve, ministro dell'Istruzione. Mi ha detto di essere anche lui molto preoccupato dalla situazione e ha aggiunto: "È indubbio che abbiamo bisogno di prove serie o a monte (uscita dalla media) o a valle (ingresso all'università)".
Non si tratta di sbarrare la strada a nessuno, al contrario si tratta di non creare illusioni destinate a cadere nel giro di pochi mesi o esami. Per quanto mi riguarda sarei addirittura favorevole ad ammettere all'università chiunque, sottoposto ad adeguato esame d'ammissione, dimostrasse di poter seguire i corsi anche senza avere alcun diploma di scuola media.


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