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Repubblica-I malumori del Polo e la scorciatoia del voto

malumori del Polo e la scorciatoia del voto CLAUDIO RINALDI Non sorprende che in una coalizione di partiti si accendano dei conflitti, come quello esploso nei giorni scorsi dentro la Casa de...

17/10/2002
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la Repubblica

malumori del Polo e la scorciatoia del voto

CLAUDIO RINALDI

Non sorprende che in una coalizione di partiti si accendano dei conflitti, come quello esploso nei giorni scorsi dentro la Casa delle Libertà e congelato con la fragile tregua di lunedì 14. Ma ciò che stupisce e induce a ritenere imminenti nuovi colpi di scena, in vista di sbocchi avventurosi, è il modo in cui l'ultima rissa è stata scatenata.
Nelle coalizioni di regola ci si azzuffa sulle concrete scelte da compiere, o sulla ripartizione dei posti di potere. Stavolta invece An e Lega hanno attaccato i centristi dell'Udc senza nulla rivendicare, neanche implicitamente. Li hanno aggrediti a freddo, liquidandoli come figli naturali dei vecchi ladroni della Dc. È stata una pura e semplice provocazione. Che mirava, con ogni evidenza, a costringere Marco Follini e i suoi a una drastica rottura con l'alleanza.
Che dietro un disegno così lucido e spericolato ci fosse soltanto un'istintiva antipatia verso gli ex dc, un'ostilità di tipo storico-culturale o perfino antropologico, è assurdo pensarlo. C'erano ragioni politiche stringenti. Ma quali? Né il fastidio per il moderatismo dell'Udc né l'irritazione permanente per il suo peso parlamentare, superiore ai consensi elettorali ricevuti, bastano a giustificare un'offensiva che è stata tanto pretestuosa quanto virulenta; e che non è cessata, se è vero che pur dopo la presunta tregua Ignazio La Russa ha accusato il centrista Bruno Tabacci di "cinguettare con l'Ulivo".
Il giallo, in realtà, ha un'unica spiegazione plausibile. An e Lega insistono nella guerriglia contro l'Udc perché auspicano che questa, forzata prima o poi a uscire dalla maggioranza, fornisca a Silvio Berlusconi un'eccellente scusa per dichiarare chiusa l'attuale esperienza di governo; e, di conseguenza, per chiamare le elezioni anticipate.
Stiamo ai fatti. Quelli rilevanti sono tre. 1) Da settimane il Cavaliere va insinuando che il Parlamento non sia all'altezza di certi suoi compiti, per esempio la doverosa riforma delle pensioni. 2) Per mettere pace fra i litiganti, egli si è ben guardato dal muovere a Umberto Bossi anche il più piccolo rimprovero; ora il capo leghista può sostenere di non dover fare alcuna marcia indietro, e anzi indulgere a grevi ironie ("Io chiedere scusa ai centristi? Mi scappa da ridere"). 3) La frase chiave di Berlusconi, secondo cui l'apporto dell'Udc è indispensabile "per l'attuazione del programma", non suonava affatto come un gesto distensivo. Al contrario, era da leggere come un monito: sia chiaro che se i centristi si offendono e se ne vanno tutto salta, dunque bisogna sciogliere le Camere.
Perché il premier si sia messo in testa di cercare il ritorno alle urne non è un mistero. Egli sta fallendo la prova: l'economia ristagna; i conti dello Stato fanno acqua; la legge finanziaria è pessima a giudizio di tutti; per le mitiche grandi opere non ci sono soldi; per evitare il collasso della Fiat le idee sono poche e infelici. Ma cambiare una squadra di governo che mostra la corda non si può, senza perdere la faccia.
Ecco dunque la tentazione di una fuga in avanti, di una scorciatoia verso la riconquista della popolarità vacillante. Una bella campagna elettorale che sia imputabile a una causa di forza maggiore, come la sperata defezione dell'Udc; e che anneghi il cattivo bilancio di quasi due anni di governo dentro un nuovo mare magnum di chiacchiere e di promesse.
Quanto la prospettiva sia corposa lo ha riconosciuto un esperto come Arnaldo Forlani, attribuendo ad An e alla Lega "propositi, magari inconsci, di ribaltone". E già prima, il 4 ottobre, lo aveva fatto capire Marcello Pera, esortando il governo ad attuare il contratto con gli italiani: un indiretto ma fermo altolà al progetto dell'auto-affondamento.
L'azzardo berlusconiano ha una sua logica. Se pure non riesce a gestire le difficoltà reali del paese, il premier sa bene di avere il controllo di tutte le tv; in più si propone di sfruttare l'emergenza Fiat, come osserva Massimo D'Alema, per addomesticare anche il Corriere della sera e La Stampa. La grande macchina della propaganda, insomma, è pronta a scattare, cogliendo in contropiede un Ulivo tuttora impantanato nelle sue divisioni interne.
C'è da superare ovviamente la resistenza, che potrà essere durissima, di chi nella maggioranza e soprattutto al Quirinale le elezioni anticipate non le vuole. Ma il Cavaliere, beato lui, si presume capace di qualsiasi miracolo. Il povero Follini dunque si prepari: gli toccherà ingoiare ulteriori rospi, o dettare agli alleati che lo provocano altri e più rigidi ultimatum. Sullo sfondo sempre più cupo di un'Italia che continua a essere mal governata.


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