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Repubblica-Gli studenti calabroni scoprono la politica

Gli studenti calabroni scoprono la politica ILVO DIAMANTI LA DISSOLUZIONE del regime iracheno ha certamente frustrato la partecipazione all'iniziativa di protesta che si è svolta ieri a Ro...

13/04/2003
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la Repubblica

Gli studenti calabroni scoprono la politica
ILVO DIAMANTI
LA DISSOLUZIONE del regime iracheno ha certamente frustrato la partecipazione all'iniziativa di protesta che si è svolta ieri a Roma. Ma non ha vanificato il sentimento sociale cresciuto in questa fase. Soprattutto, non ha creato imbarazzo e ripensamento fra i più giovani. Gli studenti. Hanno un'età nella quale si ha il diritto di sperimentare, di trasgredire. Sbagliare. Senza valutare le scelte in base al calcolo d'utilità. Eppure, a partire dagli Anni 80, i giovani erano apparsi proprio così: tattici, moderati. Troppo. E tali sono stati descritti, dalle ricerche. Flessibili, adattivi. Invisibili. Abituati a mimetizzarsi fra le pieghe dell'ambiente, ad agire individualmente e per piccoli gruppi.
Anfibi: abili a muoversi in più elementi. Ma, forse, poco generosi e disponibili a sfidare le leggi di natura. Formiche giudiziose, non calabroni.
Invece, nel corso della lunga vigilia di questa guerra, hanno cambiato atteggiamento. E sono diventati, davvero, visibili. Evidenti. I giovani. In particolare i giovanissimi e gli studenti. La componente più importante del movimento contro la guerra. I dati, spesso aridi, a questo proposito appaiono espliciti, eloquenti. L'indagine Eurisko-La Repubblica condotta il 27 marzo, nel pieno della guerra in Iraq, stima nel 17% la quota di persone che, fino a quel momento, avevano partecipato a manifestazioni contro l'intervento militare in Iraq; ma fra i giovani (18 a 24 anni) questa misura cresce al 31% e fra i giovanissimi (14-17 anni) sale al 44%. Tra gli studenti, in particolare, il dato supera il 46%. Questo profilo si riproduce, fedelmente, quando si passa a valutare il consenso e la disponibilità alla mobilitazione.
Infatti, si dice pronto a partecipare a future manifestazioni il 44% della popolazione (compresa nel campione), ma il 63% dei giovani e il 78% dei giovanissimi. Un dato simile a quello che si registra fra gli studenti. La svolta della guerra, segnata dal crollo del regime iracheno, ha ridimensionato le misure dell'opposizione alla guerra, secondo le previsioni. Ma l'orientamento maggioritario resta (come segnala Mannheimer sul Corriere della Sera) avverso all'intervento in Iraq. E, comunque, non cambia l'anatomia di questo movimento. Al cui centro restano i giovani. Gli studenti. Tornati ad essere visibili, protagonisti, sulle piazze, dopo molti anni passati a dissimularsi. Va aggiunto, a questo proposito, che da tempo, un paio d'anni almeno, che i giovani dimostrano una crescente partecipazione sociale; e una crescente disponibilità alla protesta. Ma, certo, questa crisi internazionale ha impresso un'accelerazione sensibile, in questa direzione.
Cosa li ha indotti a "uscire allo scoperto"? Cosa ha contribuito alla mobilitazione dei giovanissimi e degli studenti, in particolare? Non è facile dare risposte definitive a questioni di questo tipo. Tuttavia, alcune ipotesi è possibile avanzarle.
Conta, sicuramente, lo "scambio generazionale", il rapporto con i genitori.

Questi adolescenti, questi giovani, sono i figli della generazione socializzata nel '68 e negli Anni 70. Dai genitori hanno ricavato disincanto, delusione, ma anche i valori, gli orientamenti di chi ha affrontato l'esperienza del cambiamento sociale; di chi ha immaginato fosse possibile trasformare il mondo. Il che, effettivamente è avvenuto, anche se non secondo le loro aspettative. Ma, dalla penombra della routine e dello scetticismo, qualche bagliore, questi genitori continuano a proiettarlo. Soprattutto le donne, le madri, che più di altre hanno espresso la loro avversione nei confronti della guerra. Peraltro, è nota la specificità di questa generazione - i 40/50enni - a coloro che fanno e leggono i sondaggi: più aperti al "pubblico", solidali, di sinistra. È la stessa generazione, peraltro, che compone la parte più rilevante del corpo docente delle scuole superiori. I professori, gli insegnanti: anch'essi ceto sociale specifico e riconoscibile, sotto il profilo dei valori e del comportamento politico. Non a caso, anche alle elezioni del 2001 costituiscono l'unica categoria che abbia espresso un consenso largamente orientato a centrosinistra. Non si intende, qui, sostenere che i docenti facciano professione ed educazione politica durante i corsi. Spesso ciò non avviene neppure in famiglia, dove la politica non è tra gli argomenti di dialogo più frequentati. Dare lezioni di ideologia, semmai, produce l'effetto inverso. Il rigetto. È, invece, attraverso la comunicazione quotidiana, il dialogo diretto, la relazione amichevole che avviene il "passaggio" di sentimenti, valori, opinioni. Un'operazione efficace quando i professori riescono a meritarsi l'ammirazione e la confidenza degli studenti.
Tuttavia, l'imitazione e la trasmissione di atteggiamenti critici verso la realtà sociale e globale, appresi dalla generazione dei padri (meglio: delle madri, e dei professori) non bastano a spiegare il ritorno massiccio degli studenti alla partecipazione pubblica e alla protesta politica.
Contano, moltissimo, la loro biografia, il contesto storico e sociale. Sono nati, questi studenti, attorno alla metà degli Anni 80, o anche dopo.
Quando è caduto il muro di Berlino avevano 3-4 anni. Quando è caduta la prima Repubblica e infuriava Tangentopoli ne avevano 7-8. Democristiani, socialisti, comunisti. Riferimenti sfocati e poco significativi, nella loro esperienza.
Come i partiti, nell'assieme. Non hanno coltivato la partecipazione collettiva, questi giovani studenti, anche e semplicemente perché, quando, ancora bambini, hanno cominciato a guardarsi intorno, non ce n'era più traccia. La politica: l'hanno percepita in simbiosi con la comunicazione e con i media. Perché, nel tempo trascorso davanti alla tv, hanno visto i politici frequentare talk show e salotti, né più e né meno che come altri uomini di spettacolo. E hanno visto partiti e uomini di governo confondersi, identificarsi con aziende e imprenditori dei media. Difficile attendersi da loro grandi slanci e grandi entusiasmi per "questa" politica. Tuttavia, questa stessa generazione ha vissuto l'esperienza del mondo e della vita quotidiana.
Senza contraddizione. Nel mondo: educata a superare il senso delle distanze, perché viaggia, per studio e per piacere; perché naviga in Internet, comunica per sms, parla le lingue. Nella vita quotidiana: perché coltiva le relazioni corte, l'amicizia, il piccolo gruppo. Gelosamente. Al contempo, ha fatto della vita quotidiana il luogo dove si fa esperienza del pubblico e dell'impegno sociale, senza distacco dal privato (come hanno osservato, nelle loro ricerche, Bettin Lattes e Ramella). Hanno elaborato un'idea della politica lontana dalla politica che essi conoscono.
D'altronde, è difficile dare valore alla politica nell'epoca del trionfo dell'antipolitica.
Da ciò la difficile ricerca di "diventare grandi in tempi di cinismo", come recita il titolo d'un libro scritto da Roberto Cartocci (per "Il Mulino"), il quale, ricostruendo il profilo degli atteggiamenti degli studenti verso la fine degli Anni '90, rilevava il contrasto, sintomatico, fra la "diffidenza" che essi nutrono nei confronti degli altri e delle istituzioni e, per contro, il senso di responsabilità verso gli altri, la tolleranza e l'altruismo, come "il nucleo normativo d'una pedagogia ideale".
Ecco, l'impressione è che la minaccia e poi l'avvio della guerra in Iraq abbiano trasferito questo "nucleo normativo" dal piano invisibile della pratica quotidiana all'esperienza visibile della mobilitazione collettiva.
Perché la guerra è, comunque, prima e al di là d'ogni "ragione", un evento che sconvolge e coinvolge. Così la mobilitazione per la pace ha costituito, per questi giovanissimi studenti, una sorta di rito di iniziazione alla politica. A una politica che, per la prima volta, parla un linguaggio a loro familiare, evoca temi nei quali si riconoscono. A una politica che diventa terapia collettiva contro il cinismo e la diffidenza; occasione per crescere, per scoprire il valore dello stare con gli altri, fra gli altri; per rischiare in nome di fini irrealizzabili anche perché la prudenza e la ragione li fa ritenere tali.

Questi studenti giovanissimi: hanno scoperto la politica. Resta da vedere se e in che modo la politica s'accorgerà di loro. Saprà canalizzarne le energie e le risorse. Senza limitarsi a marciare con loro, a ripeterne gli slogan (come fa la sinistra). Senza esortarli (come spesso avviene da destra) al dovere di "ragionare". D'interrogarsi: circa i benefici effetti prodotti dalla guerra preventiva sulla pace successiva. Avranno molto tempo - e molti cattivi esempi - per imparare ad essere ragionevoli.


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