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Repubblica-Berlusconi e la manovra delle promesse perdute

Berlusconi e la manovra delle promesse perdute MASSIMO RIVA DA QUANDO ESISTE LA LEGGE FINANZIARIA - e sono più di vent'anni - il cammino della manovra economica è sempre stato convulso ...

25/10/2002
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la Repubblica

Berlusconi e la manovra delle promesse perdute

MASSIMO RIVA

DA QUANDO ESISTE LA LEGGE FINANZIARIA - e sono più di vent'anni - il cammino della manovra economica è sempre stato convulso e accidentato fin dalle settimane di gestazione del provvedimento. Talvolta è accaduto che il governo non arrivasse a rispettare nemmeno la scadenza inderogabile del 30 settembre per la consegna del testo al Parlamento e abbia fatto ricorso all'espediente di inviare alle Camere una copertina vuota, che veniva riempita qualche giorno dopo. Ma quest'anno il governo di Silvio Berlusconi sta segnando un primato strepitoso: a tutt'oggi, 25 ottobre, non il Paese e il Parlamento ma neppure il governo sa ancora come articolare i suoi interventi sulla finanza pubblica.
Quanto a rispetto del calendario il "ghe pensi mi" di Palazzo Chigi è partito con il passo del fenomeno: in pochi giorni di settembre ha esaurito la liturgia degli incontri con le parti sociali e dei vertici politici di maggioranza, poi ha tenuto i suoi ministri per una notte intera al tavolo del Consiglio, infine ha rispettato con la puntualità di un cronografo svizzero l'appuntamento del 30 settembre. Peccato che la Finanziaria annunciata un mese fa, con squillo di trombe e rullo di tamburi, sia stata subito travolta dalle bordate che le sono piovute addosso da ogni parte. Da sindaci e presidenti di regione, compresi molti eletti dal centrodestra, dai sindacati amici come Cisl e Uil e perfino dalla Confindustria di D'Amato.
Oggi si assiste così ad uno spettacolo grottesco. Da un lato, c'è il governo che si è rassegnato a gettare alle ortiche il testo presentato e ora si muove come se si fosse tornati al mese di settembre. Fitte consultazioni ministeriali si intrecciano, giorno dopo giorno, con nuovi vertici di maggioranza per concordare un cosiddetto maxiemendamento (di fatto una Finanziaria riscritta) che nei prossimi giorni sarà sottoposto ai rappresentanti degli enti locali e delle cosiddette parti sociali. Nel frattempo in Parlamento procede la sessione di bilancio: le commissioni di merito hanno discusso i pareri di loro competenza e la commissione Bilancio è al lavoro per delibare, articolo per articolo, un testo divenuto una sorta di fantasma che cammina in attesa che dal governo arrivi - finalmente - la versione definitiva della manovra.
Siamo, insomma, in pieno marasma, tecnico e politico. Tecnico perché oramai è chiaro a tutti che le cifre macroeconomiche poste a fondamento della manovra dal ministro Tremonti sono scritte sull'acqua. Non l'opposizione, ma la Confindustria di Antonio D'Amato ha fatto le pulci all'intero impianto delle previsioni, correggendo pesantemente tutte le stime su crescita del pil, disavanzo, debito pubblico e così via. Ma il governo su questo terreno continua a fare orecchie da mercante perché non vuole confessare di avere diabolicamente ripetuto l'errore dello scorso anno, quando gonfiò i dati per non smentire le sue promesse di Bengodi appena pochi mesi dopo aver sparso a piene mani ingannevoli illusioni durante la campagna elettorale.
A preoccupare di più, però, è il marasma politico nel quale questa caparbia negazione della realtà sta precipitando il governo. Siamo ormai al punto che, un giorno, il vicepresidente del Consiglio annuncia che in Parlamento si faranno passare soltanto emendamenti concordati fra governo e partiti di maggioranza. Ma, appena il giorno dopo, un parlamentare del gruppo dello stesso Fini avanza una proposta che viene approvata coi voti dell'opposizione contro il parere del governo. Il tutto con un onere stimato sui 400 milioni di euro: primo assaggio dei guai che possono maturare con un governo allo sbando.
In questo clima tragicomico, un solo punto serio appare con evidenza. E' arrivata a una prima resa dei conti la contraddizione profonda fra il dire della propaganda berlusconiana sulla finanza pubblica e il fare del suo governo. Ha raccontato un suo interlocutore che il presidente del Consiglio avrebbe ricordato di aver gestito con successo grandi aziende, ma confessando "di non essersi mai trovato in tanta difficoltà come ora sui conti pubblici".
Niente di stupefacente. Dopo aver illuso il Paese con promesse immaginarie, Silvio Berlusconi comincia ad accorgersi che il suo populismo peronista non è praticabile in un Paese che altri hanno avuto il merito storico di legare saldamente alla civiltà economica e politica dell'Europa. Quegli stessi altri che hanno saputo risollevare il bilancio dello Stato da una condizione ben peggiore dell'attuale. Emerge così una dura questione di competenza e di capacità.


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