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Repubblica-Atenei, ora un passo indietro

Atenei, ora un passo indietro ALDO SCHIAVONE Ogni Paese ha i professori che si merita. I deputati che in questi giorni stanno discutendo il disegno di legge sulla delega al ...

07/03/2005
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la Repubblica

Atenei, ora un passo indietro
ALDO SCHIAVONE

Ogni Paese ha i professori che si merita. I deputati che in questi giorni stanno discutendo il disegno di legge sulla delega al governo "per il riordino dello stato giuridico" dei docenti universitari dovrebbero cercare di ricordarselo: i buoni maestri non si fanno per legge, ma sono il prodotto di una faticosa evoluzione selettiva, intellettuale e sociale. E tuttavia, senza una buona legge sarà ancora più difficile avere insegnanti e studiosi adeguati: il che è essenziale per il futuro che ci aspetta.
I dibattiti su questioni universitarie non hanno precedenti esaltanti nel nostro Parlamento. Spesso si sono ridotti a una corsa all'emendamento per favorire questi o quelli: grandi proclami e pasticciate trattative sottobanco. L'esito è stato più volte una specie di maionese impazzita: l'attuale disciplina dei concorsi ne è un tipico esempio. E non è un caso, del resto, se le principali innovazioni introdotte nel nostro sistema universitario - dall'autonomia degli Atenei al famoso 3+2 - non hanno avuto un vero passaggio parlamentare, ma sono state varate per decreto, o inserite nelle pieghe di qualche legge finanziaria.
Credo che il primo dovere dell'opposizione sia di evitare che l'esempio si ripeta: controllando severamente se stessa, e cercando di ottenere altrettanto dalla maggioranza. Vogliamo sperare che ci riesca: vi sono nel centrosinistra - alla Camera e al Senato - personalità importanti, da cui possiamo aspettarci rigore e competenza. Bisogna alzare il livello della discussione, cercando di coinvolgere l'opinione pubblica, cui bisogna avere la forza di parlare con chiarezza; rendere evidente la presenza di un disegno forte e coerente, che non cerchi di cavalcare ogni protesta ma sappia scegliere e valutare, e sia capace di individuare pochi punti qualificanti, e su di essi incalzare maggioranza e governo in modo trasparente e costruttivo.
I primi segnali non sono positivi. La Crui (la Conferenza dei rettori e delle università italiane) parla di un modo "convulso e confuso" in cui è iniziato l'esame del provvedimento. Ora c'è appena stata una pausa di riflessione, e il governo ha sostanzialmente presentato un nuovo testo. È a questo che mi riferirò nelle osservazioni che seguono.
La prima cosa da fare - e a questo punto la più difficile - è un impegno per evitare qualunque forma di ope legis, di promozioni indiscriminate e sul campo per questa o quella categoria. Finora, ogni discussione sullo stato giuridico dei docenti si è subito ridotta a una miserevole rissa sui vantaggi da distribuire. Temo stia accadendo anche adesso. Sarebbe il momento di finirla. Non si può gridare allo scandalo per la proposta di una parte, quando poi si suggeriscono misure ancora peggiori. Facciano tutti un passo indietro: maggioranza, opposizione, Crui (che ha una funzione essenziale, ma non di rappresentanza corporativa), sindacati. Si sappia ritrovare la funzione etica del legislatore. Ogni ope legis non fa che peggiorare le cose: non porta né consenso né "pace sociale": è solo una droga che distrugge ciò che in apparenza esalta. Dunque, nessuna promozione e nessun cambiamento di status senza concorsi eguali per tutti. Lo si decida, e poi si volti pagina.
Posso arrivare così ad alcune considerazioni di merito. La prima è di carattere generale. Leggendo il testo del governo e l'insieme degli emendamenti dell'opposizione si ha l'impressione - nonostante tutto - di convergenze non piccole, ma anche di una comune tendenza a una certa ipertrofia legislativa (disciplinare sempre, disciplinare tutto). Credo invece che un intervento normativo del Parlamento sullo status dei professori in regime di autonomia degli Atenei debba ridursi a pochissime regole generali, davvero "di principio", e rimettere il resto all'autogoverno delle Università, ognuna delle quali dovrebbe darsi un particolare statuto per la propria docenza (se ne è parlato in un seminario di Italianieuropei con Luciano Modica, Nicola Rossi, Walter Tocci: sarebbe bello che qualcosa di quella discussione finisse nell'aula di Montecitorio).
E ora, alcune considerazioni su aspetti specifici.
Primo. Le garanzie. Deve essere ribadita l'assoluta libertà di insegnamento e l'inamovibilità dei professori, a partire da un certo livello della carriera, molto vicino alla vittoria nel concorso, e deve essere ribadita la natura pubblicistica della loro relazione con l'Università. I professori devono restare alti dirigenti dello Stato. L'eventuale parte "contrattualizzata" e privatistica del loro rapporto di lavoro non può oscurare questo dato.
Secondo. La valutazione. Nelle carriere dei professori va introdotto il principio della valutazione continua. Vi sono emendamenti dell'opposizione in questo senso che vanno accolti. Il ministro ci rifletta.
Terzo. Il tempo pieno. La differenza fra regime di "tempo pieno" e di "tempo definito" non solo non va abolita, ma ribadita in modo sostanziale. Capisco che essa riguarda ormai solo una minoranza dei docenti, ma il suo appannamento, qui e ora, sarebbe un pessimo segnale.
Quarto. Il reclutamento. Il disegno di legge accoglie nella sostanza la vecchia proposta fatta a suo tempo da Umberto Eco e da chi scrive, e poi ripresa da Berlinguer. Continuo a ritenerla abbastanza sensata. Vedo che ora vi sono emendamenti dell'opposizione che propongono una soluzione diversa: non credo sia difficile trovare un punto di incontro accettabile, che non smentisca il principio di autonomia, ma che eviti la deriva "localistica" del sistema oggi in vigore.
Quinto. La flessibilità. All'inizio della carriera, dopo il dottorato, va introdotta una certa flessibilità nel reclutamento, che ciascun Ateneo dovrebbe gestire con proprie regole. Questa fluidità va però protetta e resa accettabile attraverso meccanismi retributivi che non scoraggino i giovani dall'intraprendere la via degli studi.
Sesto. I ricercatori. A coloro che oggi ricoprono questa funzione va assicurata una prospettiva di concorso in tempi ragionevoli, con una valutazione serena e meritocratica. Chi non la supera, venga posto in un ruolo a esaurimento.
Tutto questo sembra facile, e, forse, lo è davvero: ci vuole solo determinazione, pazienza, buona volontà.


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