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Repubb,ica-Intervista a Cofferati-Così l'Ulivo rischia il suicidio

LE SCELTE DEI PARTITI MASSIMO GIANNINI ROMA - "La regola delle decisioni a maggioranza è un suicidio, un atto di autolesionismo". "Il centrosinistra si auto-infligge il centralismo democr...

23/10/2002
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LE SCELTE DEI PARTITI

MASSIMO GIANNINI

ROMA - "La regola delle decisioni a maggioranza è un suicidio, un atto di autolesionismo". "Il centrosinistra si auto-infligge il centralismo democratico, e così si condanna all'asfissia". "L'opposizione è debole su tutto, sulla pace, sui diritti, sulla politica economica, sulla giustizia: semplicemente non c'è, non sta in campo con la sua proposta alternativa". "Non condivido le scelte del gruppo dirigente dell'Ulivo: l'unica cosa che sanno fare è polemizzare con i movimenti". "Dico no alla guerra, sempre e comunque". "Rivendico lo sciopero generale: ce ne vorrebbero altri due". Da bravo impiegato, Sergio Cofferati è appena uscito dal suo ufficio della Pirelli. Ha aspettato un mese esatto, dopo il suo addio alla Cgil. Ma oggi torna a parlare. Lo fa nel giorno in cui si riunisce l'assemblea dei parlamentari dell'Ulivo. Lo fa per dire: "State sbagliando tutto".
Cofferati, cosa c'è che non va? Oggi l'Ulivo può rinascere con l'assemblea dei suoi parlamentari.
"Con l'assemblea dei parlamentari non rinasce proprio niente. L'Ulivo, o quella cosa che si va formando oggi, rischia un suicidio politico. Accade una cosa che non avevo mai visto: si decide a maggioranza di decidere a maggioranza su temi fondamentali, che marcano l'identità di uno schieramento politico".
Che ci trova di tanto scandaloso?
"Non capisco a quale modello di organizzazione risponda un sistema in cui, tra forze politiche diverse per storia e cultura, si decida a maggioranza. E' un inedito, che fa parte della vocazione autolesionista dell'opposizione: il gruppo dirigente risolve drasticamente la disputa di queste settimane, tra "grande Ulivo" e "Ulivo ristretto". Decide di ridurre il perimetro dello schieramento futuro, rinunciando in partenza al progetto di un'alleanza allargata. E' un'idea distruttiva. Ma non dubito che incontrerà il plauso dei "veri riformisti" che diranno: bravi, avete fatto la scelta giusta".
Lei è libero di ironizzare. Ma non è che finora, con l'anarchia creativa di questi mesi, il centrosinistra abbia funzionato a meraviglia, sa?
"E' fuor di dubbio che finora è stato un disastro. Ma adesso l'operazione politica che va fatta è esattamente opposta a quella che si vuole fare. Per cementare un'alleanza bisogna cominciare sempre dal merito, mai dal metodo. Loro sfuggono al merito perché su questo sono divisi. Ma questo è un rovesciamento logico dannoso e pericoloso: determina le condizioni che renderanno difficilissima la vita della coalizione. Non trovo elementi logici e razionali, in questa scelta. E questo alimenta i peggiori sospetti".
Cioè? Rutelli, Fassino e D'Alema vogliono spingere l'ala radicale fuori dall'alleanza? Vogliono costringere il correntone alla scissione nei Ds?
"No, non arrivo a pensare a tanto. Ma c'è l'idea di relegare una minoranza in una riserva indiana, che con la sua presenza testimoniale legittima le scelte della maggioranza, che avvengono al di fuori del confronto preventivo. Ho letto cose incredibili: persino il richiamo alla "disciplina" dei gruppi parlamentari. Provo tristezza e anche un po' di pena, soprattutto per quelli che nel mio partito, ai tempi del vecchio Pci, sono stati più volte umiliati proprio in nome della "disciplina"".
Allora, per dire no alle decisioni a maggioranza è preferibile lo spettacolo vergognoso di un'opposizione che vota in ordine sparso sugli alpini in Afghanistan?
"Se non c'è un programma comune, è inevitabile che il voto sia distinto. L'alternativa che ci propongono è il "centralismo democratico". Ma dico: su temi fondamentali come la guerra si può arrivare a decisioni così semplificate?".
Certo, per i pacifisti è tutto più facile: basta andare in piazza a gridare no alla guerra, e il problema è risolto.
"Io lo dico e lo ripeterò fino alla fine: alla guerra all'Iraq sono e sarà sempre contrario".
E va a braccetto con Gino Strada, a dire che Bush è un terrorista come Saddam.
"Non ho mai condiviso questa affermazione. E non sono mai stato anti-americano".
Allora è incoerente.
"Niente affatto. L'iniziativa di Emergency ha coinvolto tante persone diverse, oltre a me: da don Ciotti a Tiziano Terzani. Accomunate dalla convinzione che un attacco all'Iraq sarebbe un errore inaccettabile. E comunque distinguo sempre i popoli dai loro governi, e questo vale tanto per Israele che per gli Stati Uniti. Ma dire che chi è contro la guerra è anti-americano è diventato ormai un modo furbesco per aggirare il problema".
Cofferati, il problema è che c'è un terrorismo che minaccia le democrazie occidentali. E queste si devono difendere. E il corteo non basta a difenderle.
"Invece la guerra all'Iraq le difende? Le bombe sugli inermi che non hanno responsabilità né colpa le difende? Il terrorismo si combatte con operazioni selettive di polizia preventiva, non attaccando un intero Paese. Ora per molti sono diventate dirimenti le decisioni dell'Onu. Eppure non dimentico l'afasia e l'inefficienza dell'Onu, che fu alla base degli argomenti con cui si giustificò l'intervento militare nei Balcani. Alloa si disse: così l'Onu non serve più a nulla, e va riformato. E poi basta guardare a quello che è accaduto in Afghanistan: c'è stata la guerra, ma Al Qaeda e Bin Laden sono ancora lì".
Ma intanto oggi l'Afghanistan è un Paese in cui le donne possono dismettere il burqa, i bambini non saltano più sulle mine, negli stadi si gioca a calcio invece di giustiziare gli infedeli. E' un passo avanti o nega anche questo?
"Lo nego eccome. Ero contrario allora, resto contrario oggi all'intervento a Kabul: il terrorismo non è debellato, si continua a morire come prima e le vittime dei bombardamenti sono state tante, ma non ce le hanno fatte vedere in tv".
Se questa è la linea della sinistra, anche se tornate al governo cadete al primo voto in Parlamento.
"Su un tema fondamentale come la guerra si può anche cadere. Non stiamo parlando di tasse, ma della questione più importante che esista, che riguarda la politica estera, i rapporti politici, quelli economici e soprattutto la coscienza delle persone: un tema che non si risolve a colpi di maggioranza".
Ma se non si dà un nuovo assetto l'Ulivo è morto.
"Oggi l'Ulivo è di fronte a un bivio: o si dà un progetto visibile e un programma condiviso, per poi scegliere regole e leader, oppure si condanna all'asfissia tattica di queste settimane. Il paradosso è che questo accade nel momento di massima difficoltà del governo. Quello che sta avvenendo sull'economia è preoccupante: i la caduta del fatturato industriale di agosto, quel meno 5,5%, precede gli effetti della crisi Fiat. Settembre e ottobre, quindi saranno mesi drammatici. C'è il rischio di una caduta dell'occupazione. Si realizza quello che avevamo previsto: l'assenza di politica industriale, l'abbandono della via alta alla competitività. E l'opposizione che fa? Innesca una polemica personale contro Tremonti, senza capire che quello a cui stiamo assistendo è il fallimento di una politica, non di un singolo ministro. Il fallimento di quella politica sta nel Patto per l'Italia, che minaccia i diritti e non dà sviluppo. E sta nella Finanziaria, che non produce crescita, e toglie solo risorse agli enti locali".
Stiamo parlando di misere cose. Meritavano uno sciopero generale?
"Assolutamente sì. Anzi, le ragioni di quella protesta sono aumentate. E' tutto l'impianto della politica economica che non va, dal pacchetto dei 100 giorni in poi. Di fronte a questo sfacelo, l'opposizione dovrebbe stare in campo con le sue proposte, a sostenerle e difenderle con forza in Parlamento. E invece siamo arrivati al punto che un gruppo di parlamentari dell'opposizione ha diffuso un documento, poi penosamente smentito, per sostenere le ragioni contrarie allo sciopero della Cgil".
E' il bello dell'"Ulivo plurale" che piace a lei, no?
"Ma io pretendo anche un po' di coerenza. Quei parlamentari appartengono a un'opposizione che ha definito la Finanziaria "una stangata". Se è così, allora di sciopero generale non ne basta uno, ma ne servono altri due".
Ma intanto con questa linea è andata a pezzi l'unità sindacale. Le pare sensato, proprio nel momento del dramma Fiat?
"L'unità sindacale sta a cuore a tutti. Ma anche quella si misura dal merito. Se Cisl e Uil pensano che non siano necessarie forme di lotta contro l'azione del governo, le condizioni per iniziative unitarie non ci sono, punto e basta. Questo è un problema, ma si deve sapere che la Cgil non sta ferma, ha la forza per stare in campo da sola. Quanto alla Fiat, è un dramma che tutti hanno colpevolmente trascurato. Ma anche qui, le ricordo che la Fiom a luglio è stata l'unica organizzazione a dire no al piano industriale dell'azienda giudicato "non credibile", e a non firmare un accordo che mandava via 3 mila persone e che Fim e Uilm invece hanno sottoscritto. E allora, si può dire sommessamente che la Fiom ha avuto ragione?. E si può dire che l'opposizione continua ad essere confusa e disattenta anche sul tema dell'unità sindacale?".
Lei vorrebbe solo che il centrosinistra sostenesse compatto la Cgil.
"Non è così. Io vorrei che nell'opposizione non ci fosse tanto scarto tra le parole e i comportamenti. Meno male che ci sono i movimenti, che si mobilitano e tengono alta l'attenzione su certi temi".
Ecco il Cofferati girotondino.
"Dai girotondi arrivano input che la classe politica non sembra capace di raccogliere. Al contrario, di fronte ai movimenti l'opposizione ha un atteggiamento schizofrenico: c'è un fastidio e un'ostilità di fondo, salvo poi accodarsi quando li scopre consistenti. E' un comportamento ancillare, che alla fine si trasforma in un danno per la politica".
In realtà sono i girotondi che sono partiti all'attacco dei leader dell'Ulivo, con Moretti che disse "con questi non vinceremo mai".
"Il problema non può essere il radicalismo dei movimenti, che sono radicali per definizione. E poi alla distanza i movimenti hanno dimostrato di non nutrire nessuna propensione per l'antipolitica. Il vero guaio è che l'opposizione non sa rispondere alle istanze della società e arriva sempre dopo i girotondi. Su tutti i grandi temi: dalla globalizzazione alla pace, dall'economia alla giustizia".
Cofferati, dopo questa intervista nessuno penserà più che lei è un riformista.
"Riformista è una parola malata. Persino Berlusconi e Fini si sono dichiarati riformisti. Quanto a me, il riformismo si misura sui fatti. Parla la mia storia. Quanto agli altri, non vedo in giro veri progetti riformisti, ma solo leader che parlano d'altro, alludendo di volta in volta a posizioni sempre più moderate".
Lei parla bene. Sta fuori da tutto, e mena fendenti. Perché ha rifiutato la presidenza dei Ds che D'Alema le aveva offerto?
"Avevo promesso che non sarei entrato in politica. Mantengo la mia promessa. E certi incarichi così delicati non si offrono così, uno lo dà all'altro, come fosse una trattativa privata".
Ma così è troppo comodo: lei "etero-dirige" un pezzo di opposizione.
"No. Io non dirigo niente. Parlo da militante. E vorrei un'opposizione più forte, più battagliera. Sono convinto che come me la pensi tanta, tanta gente".


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