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Referendum3-Corriere-Casadio il "ribelle": "La Cgil conceda libertà di coscienza"

E' uno dei cinque segretari confederali che il 6 e 7 maggio si schiereranno contro la scelta dei leader: "Questa consultazione è una iattura" Casadio il "ribelle": "La Cgil conceda libert...

04/05/2003
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E' uno dei cinque segretari confederali che il 6 e 7 maggio si schiereranno contro la scelta dei leader: "Questa consultazione è una iattura"

Casadio il "ribelle": "La Cgil conceda libertà di coscienza"

ROMA - Giuseppe Casadio è uno dei 5 segretari confederali della Cgil che si è schierato contro la scelta del leader Guglielmo Epifani di proporre all'organizzazione di votare "sì" al referendum per estendere alle piccole imprese l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (diritto al reintegro per chi viene licenziato ingiustamente). Casadio spiega che lui e gli altri dissenzienti porteranno avanti la loro posizione fino al direttivo, il parlamentino della Cgil che si riunirà il prossimo 6 e 7 maggio, proponendo che la confederazione, invece di indicare il "sì", lasci la libertà di coscienza. Perché è contrario al "sì"?
"Perché questo referendum, qualunque fosse il risultato, non rafforzerebbe le tutele per chi lavora nelle piccole imprese".
I proponenti dicono il contrario.
"Vorrei che si riflettesse sulla differenza che c'è tra le piccole imprese e le altre. Nelle grandi, dove oggi c'è l'articolo 18, se il datore di lavoro non ottempera alla sentenza del giudice e non reintegra il dipendente, questi ottiene il decreto ingiuntivo e lo stipendio tutti i mesi. Ora, chiedo a chiunque abbia nozione di come sono i rapporti reali nelle piccole aziende se qui si possa affermare un meccanismo del genere o se non è realistico pensare invece che il lavoratore resti senza tutele davanti al datore che non lo reintegra".
Quindi non andrà a votare il 15 giugno?
"Non ho ancora preso una decisione. Adesso mi interessa affermare all'interno della Cgil le ragioni per cui questo referendum è una iattura, sia che vinca il sì sia che vinca il no".
Nel prossimo direttivo si andrà al voto su proposte contrapposte, il "sì" del segretario Epifani e la non indicazione di voto sua?
"Non lo so. Quello che mi interesse è che si faccia una discussione del tutto esplicita, chiara e trasparente".
Perché in Epifani e nella segreteria è prevalsa la scelta del "sì"?
"Penso che si sia voluto cogliere la propensione più diffusa nel corpo grande della Cgil e quindi la scelta più facile da comunicare".
A Epifani è mancato il coraggio di una scelta non in linea con la maggioranza degli iscritti?
"Anche chi è per il sì, tranne i segretari che hanno partecipato alla campagna referendaria (Gian Paolo Patta e Paola Agnello, ndr .), lo fa all'interno di una valutazione che ci accomuna, quella di scegliere quale sia il male minore. Detto questo, credo che sia mancata la convinzione necessaria. Convinzione per la quale, però, le ragioni sussistono".
Ma non crede che la scelta del "sì" sia l'inevitabile conseguenza della lunga campagna dell'ex segretario Sergio Cofferati, che per un anno ha insistito sul fatto che l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è un diritto inviolabile anziché una tutela modulabile?
"Assolutamente no. La strategia dei diritti ha come obiettivo non quella di perseguire affermazioni di principio, ma quella di rendere effettivi questi diritti. Ora, il sì non produrrebbe questo, come ho detto prima. Ed è per questo, cioè per arrivare a una concreta garanzia per i lavoratori, che la Cgil ha elaborato da tempo le sue proposte di legge".
Si dice che la sua posizione e quella degli altri cofferatiani contrari al "sì" sia dettata da Cofferati.
"È una sciocchezza. Ho visto l'ultima volta Cofferati per andare insieme a teatro e abbiamo parlato d'altro. Poi, io credo, ma è solo una mia presunzione, che su questo tema Cofferati abbia valutazioni analoghe alle mie".
La scelta del "sì" segna un'ulteriore spostamento a sinistra della Cgil. A questo punto può nascere una minoranza o un'opposizione di destra?
"Questa cosa non è nelle riflessioni di nessuno, nemmeno come ipotesi".
Enrico Marro


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