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Professione insegnante.non lo rifarei-Intervista a Roberta Andreetti

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22/10/2002
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Faccia a faccia: professione insegnante
Intervista a Roberta Andreetti

Raccontami un po' la tua storia professionale'

Insegno matematica, lavoro da vent'anni a Corsico in un istituto onnicomprensivo. Il bacino d'utenza è degradato come in molte scuole della periferia milanese, comprende Cesano Boscone, Assago, Trezzano sul Naviglio. Ho sempre insegnato qui, tranne un anno. Insegnavo già da 15 anni e sono stata spostata in una scuola di Abbiategrasso a insegnare una materia non mia: statistica. Passavo le notti a prepararmi per insegnare il giorno dopo ai ragazzi, spendevo metà dello stipendio in benzina e pasti. Tutto questo dopo 15 anni di lavoro, fase in cui in altri lavori, in lavori normali, dove esiste un percorso di carriera, cominci finalmente a vedere i frutti del tuo impegno. Un'esperienza davvero gratificante.

La fonte di maggiore stress sul lavoro per te è l'utenza, quindi, il rapporto con i ragazzi?

La nostra è sicuramente una periferia a rischio. Cerchiamo di tenerli a scuola tutto il pomeriggio, perché altrimenti sono in strada. E sappiamo bene tutti che cosa vuol dire. I genitori, se ci sono, stanno via tutto il giorno; se il ragazzo non è particolarmente serio e determinato è facilissimo che finisca in giri pericolosi.
Da una decina di anni a questa parte abbiamo dei casi di una gravità inimmaginabile. Su una classe di 25 da 5 a 7 persone hanno gravissimi problemi alle spalle e famiglie inesistenti. I genitori di alcuni ragazzi semplicemente non sono raggiungibili e dovremo rivolgerci a un tribunale. Abbiamo avuto ragazzi che frequentavano compagnie certamente non raccomandabili; un altro è arrivato a minacciare un insegnante, un omone grande e grosso; in prima ho un ragazzino molto intelligente, ma che semplicemente non ne vuol sapere di stare seduto, va in giro per la classe, sta seduto sotto il banco; poi ci sono quelli che escono proprio dalla scuola; ho avuto un'alunna autistica di cui non ho mai incontrato i genitori. Per un anno questa ragazza non ha aperto bocca. Non parliamo poi della crescita esponenziale dei casi di anoressia tra le ragazzine. Se dici ai genitori che la loro figliola beve dell'acqua e poi va in bagno a vomitare, ti dicono che non è vero. Ma anche lì, chi si è mobilitato per fare corsi di alimentazione? Gli insegnanti, di loro spontanea volontà, nel "tempo libero". Visto che tanto lavoriamo poche ore, no? Gratis, ovviamente. A questa realtà, specifica della nostra scuola, si aggiunge il fatto che i ragazzi oggi sono molto più difficili, che ogni 3/4 anni inizia una nuova generazione, il processo di cambiamento è diventato velocissimo. Si sente la differenza tra lo stare in prima e lo stare in quinta.

Non sono previsti strumenti d'intervento per realtà così problematiche?

Ci sono stati, ma sporadicamente, senza sistematicità. Tutto ci viene buttato direttamente sulle spalle, non abbiamo alcun sostegno, zero. Quelli che c'erano sono stati tolti.
In alcune situazioni, di fronte ai problemi di certi ragazzi, ti senti assolutamente incompetente, non sai come reagire e hai paura di sbagliare, di fare altri danni. Un anno, io e una mia collega siamo andate a chiedere un consulto al Policlinico per un ragazzo, ma tutto di nostra spontanea volontà.
Perché comunque ci crediamo ancora, e il rapporto con i ragazzi a me dà tanto, ancora, comunque.
Ma diventa sempre più faticoso resistere. Queste situazioni non possono non generare ansia.

Come si sopravvive a questo tipo di stress?

Si sopravvive, appunto. Somatizzo molto però. Ci sono delle volte che arrivo a casa e mi devo buttare sul letto perché sono stravolta. Cosa hai fatto?, mi chiedono. Niente ho fatto' sono stata sei ore in mezzo ai ragazzi con tutti questi problemi addosso. Se avessi saputo prima di dover fare tutte queste cose, ci avrei pensato meglio, avrei scelto un'altra strada. E non sono certo l'unica a pensarla così.
Reagisco, ma le cose mi restano dentro, non riesco a staccare, mi porto tutto a casa e poi magari in un momento complessivamente sereno, ho delle ricadute fortissime. Non so quanti di noi non abbiano preso ansiolitici, per non dire altro. Finché hai 20 anni è un conto, adesso che ne ho 45 e mi sembra di averne 60 è un'altra cosa. Poi dici, tanto devo stare qui altri venti anni e sopravvivo, mi freno, mi tiro indietro e insomma' non ci posso rimettere la mia salute per intero. Ma dove ti ricicli a 45 anni dopo 20 anni di insegnamento?
Tutto questo si ripercuote sulla vita famigliare e sociale: quando telefoniamo, quando usciamo, ci diciamo non parliamo di scuola; resisti cinque minuti e poi ricominci, perché ce l'hai proprio qui, piantato nella testa. L'unico modo per staccare per me è fare dei viaggi: andare il più lontano possibile. Allora, mi sento diversa.
La figlia di una mia collega mi ha detto che un insegnante lo riconosci per strada, e non stento a crederlo. Lasciamo perdere i calzini spaiati, ma abbiamo una collega che viene a scuola con una scarpa col tacco basso e una col tacco alto; un altro che faceva il giro della macchina tre volte per chiudere tutto e poi la lasciava con i finestrini aperti. Per non parlare del sonno, che è diventato un optional. O sono in piedi alle 6 come un grillo oppure a notte fonda sono ancora sveglia. L'equilibrio biologico è saltato.

Come sono invece i rapporti con i colleghi?

Sono buoni, in questo senso sono fortunata, siamo un bel gruppo e c'è molta solidarietà. Me ne ricordo più d'uno, però, con problemi di depressione gravi. Molti sono andati in prepensionamento, qualcuno ha chiesto il distacco; la maggior parte di noi tira avanti. Le persone che nascondono il problema sono tante, ma traspare comunque perché è un logoramento interno progressivo.

Che responsabilità ha in tutto questo, secondo te, l'amministrazione scolastica centrale, il ministero?

Il governo usa la scuola come sponsor sotto le elezioni e poi se ne dimentica. Per la scuola solo tagli e disastri. Nessuno mai veramente competente se ne è occupato. Le riforme sono fatte da chi non sa nemmeno che cosa vuol dire stare in classe. Da un anno all'altro tu non sai assolutamente dove sarai, cosa farai, non puoi fare nessuna programmazione, portare avanti nessun discorso, nessun lavoro serio. Dai l'anima, poi ti tirano via la classe. Funziona tutto così. È lasciato tutto all'improvvisazione.
La presa in giro più grande è che neanche loro si rendono conto di che cosa sia diventato oggi fare l'insegnante. Noi facciamo le mamme, le psicologhe, le educatrici sociali, i guardiani del cortile e occasionalmente insegniamo anche qualcosa di matematica o lettere o economia. È come se tutta questa parte del nostro lavoro rimanesse sempre sommerso, non visto, non considerato. Infatti, poi, l'esame te lo fanno sulla materia. Ancora nell'ultimo concorso per diventare docente ordinario, quello che interessava era la materia. Ma, diamine, dopo una laurea io la mia materia la conosco, quello che devo imparare è come portarla in classe. Adesso si parla di punteggi... La carriera la fai sul voto che prenderanno i tuoi alunni in test che gli sottoporranno sulla materia ovviamente. Tu sei bravo se i tuoi alunni sono bravi, se sanno la materia. Nessuno va a vedere che magari su 25 alunni ne avevi 10 con i problemi che ho indicato e hai dovuto portare avanti altro che il programma!

Quanto conta la retribuzione?

Io non potrei permettermi di vivere a Milano con il mio stipendio. In una società dove il denaro è la cosa più importante - e questo risulta anche dai test che facciamo ai ragazzi - come possiamo pensare di avere autorevolezza nei confronti di questi studenti? Ci considerano dei poveretti. Ad una nostra collega un ragazzino un giorno ha detto "mio padre guadagna in una settimana quello che lei guadagna in un mese"' Credo che sarebbe giusto guadagnare molto di più: con vent'anni di anzianità, prendo poco più di 2 milioni. I giovani insegnanti, sono messi peggio ancora' magari è gente che arriva dal meridione: vengono da Reggio Calabria per prendersi 6 ore, guadagnano magari ottocentomila lire, e devono pagarsi l'affitto a Milano.
Ma è la mancanza di considerazione sociale che fa stare male. In Tunisia, c'è un proverbio che dice "quando incontri un insegnante alzati, perché è come se vedessi un profeta". Proprio come da noi.

Gli stereotipi sugli insegnanti sono diffusi: poche ore, tre mesi di vacanza, nessun controllo' chi sta meglio di voi?

È difficilissimo da sopportare questo clima generale. Tutte quelle battute sugli insegnanti, in continuazione, anche a casa' "Tu che hai tempo, vai a fare questo'" Se me lo dicono a casa, figuriamoci una persona estranea al mondo della scuola cosa può pensare. Tu ti lamenti che guadagni poco e loro ti chiedono: "va bene, ma quante ore lavori alla settimana?" E non si riesce a far capire che non è quello il punto. Vorrei che una di queste persone provasse anche solo a fare una settimana in una classe come quelle che abbiamo noi.

Cosa proporreste, cosa bisognerebbe fare per porre rimedio a questa situazione?

Abbiamo bisogno di uno psicologo che ci dia dei pareri esperti, io mi sentirei più garantita. Non posso improvvisare: cosa devo fare con questo ragazzo, come mi devo comportare? Ho paura di fare degli errori gravi. E magari che fosse disposto a parlare anche con noi, di noi. La nostra categoria non è semplice. Bisogna essere onesti. C'è molto disincanto, per esperienze vissute con risultati molto negativi. Una demotivazione da cui non c'è più ritorno. Se vai a proporre corsi, counselling, e cose del genere a certi insegnanti, ti dicono dammi il doppio di stipendio che mi motivo da sola. Una cosa di cui siamo tutti convinti è la necessità di avere un anno sabbatico. Un momento in cui riprendersi cura di se stessi, approfondire sulla propria materia, contattare altre realtà.

Come vedete il vostro futuro?

Il mio assillo è la perdita del posto; in questo momento ho questo terrore. Mi è già successo, poi sono rientrata per miracolo perché una collega è andata in pensione. Ma perdere il posto, attenzione, per noi non vuole dire cambiare azienda, andare in un'altra scuola, vuol dire che non c'è nessun posto. Dovrei andare in giro a tappare i buchi da una parte o dall'altra - cinque ore a Gorgonzola, quattro a Magenta e tre a Legnano - oppure stare a tappare i buchi nella mia scuola e poi comunque nel giro di pochi anni si arriverebbe al licenziamento. Per il momento ci perdo le notti. Solo i colleghi vicino alla pensione non hanno queste preoccupazioni. Gli altri ce l'hanno tutti. Io non ce la faccio più.


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