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Per difendere il clima bisogna ascoltare la scienza

Roberto Battiston

25/09/2019
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La Stampa

Roberto Battiston

Venerdì è stata una giornata importante per il pianeta. Milioni di persone per lo più giovani e giovanissime, sono scesi nelle strade per il primo sciopero globale sul clima. Sono milioni, in centinaia di città diverse, ma dicono le stesse, chiare, semplici cose. La nostra casa, il pianeta, sta bruciando a causa dell'attività umana. Serve reagire. Rapidamente. In quanto cittadini del futuro, chiedono ai governi eletti dai loro genitori, di affrontare un problema fondamentale. Cosa li rende così determinati, coerenti, spietati nelle loro accuse e richiami alla responsabilità ? Chiunque abbia speso un po' di tempo ad ascoltarli si rende conto che vi è un filo rosso che collega tutti i loro ragionamenti. Greta lo ha ripetuto al Congresso americano e poi lo ha gridato all'Onu: non ascoltate noi, ascoltate la scienza. Una affermazione rivoluzionaria nella sua semplicità. Sapere è potere. Ma in politica, spesso, la conoscenza ha un altro significato. Conoscere gli equilibri, gli interessi, gli obbiettivi, se possibile in anticipo, per battere l'avversario. Tutte cose in cui il fattore tempo non gioca quasi mai un ruolo determinante: a fronte di una novità politica, certe decisioni si possono sempre rimandare. La politica non accetta pressioni esterne ai suoi processi. Ma il pianeta brucia, e l'incendio, purtroppo non più figurato, delle foreste amazzoniche, preme fortemente. Nessuno obietta che due più due sia eguale a quattro. Il clima del pianeta è oggi influenzato da miliardi e miliardi di azioni elementari, realizzate da ciascun individuo, istituzione o industria: ed il pianeta ne fa pazientemente la somma. Il potere che è fornito dal sapere scientifico, deve essere guida e supporto al potere politico. Banalizzare, ignorare, trascurare la scienza rende la politica inutile e pericolosa agli occhi dei cittadini: il debito pubblico si può ristrutturare in decenni, per ripiantare le foreste equatoriali occorrono secoli.
I governi di alcuni grandi Paesi come Francia, Germania, Cina e altri, hanno affrontato con maggiore determinazione la questione ambientale, riconoscendo l'oggettività delle leggi alla base dei processi ambientali. La conferenza COP21 di Parigi ha stabilito la presenza di un significativo effetto dell'uomo sul clima. Le drastiche decisioni del governo cinese hanno dimezzato il livello delle polveri sottili nelle grandi città: ora i vertici di Pechino sono al lavoro per correggere prassi e comportamenti antiecologici. La mossa del governo di Angela Merkel è stata brillante: ha trasformato due problemi in una soluzione, investendo almeno 100 miliardi da oggi al 2030 sugli aspetti climatici, ridando slancio all'economia tedesca attualmente in crisi. Il vice cancelliere Scholz ha ammesso che la spinta è venuta da venerdì. Merkel, in quanto scienziata, è impressionata quando Greta dice: uniti dietro alla scienza. Per quanto la politica abbia sempre un grado di opportunismo, queste decisioni rappresentano esempi di risposte concrete alla sfida sul clima. Magari insufficienti, ma danno una idea, e la speranza, che si possa intervenire nei tempi e nei modi necessari per affrontare l'emergenza climatica. Nessuno infatti può affermare con certezza che non ce la possiamo fare: la sola certezza consiste nell' immenso potere che l'umanità può derivare dal sapere, una volta che ispiri azioni tempestive, coordinate e globali.


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