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Pavone risorse-Basta con le iposcrisie, due NO e un SI' per l'integrazione

Basta con le iposcrisie, due NO e un SI' per l'integrazione di Angelo Vita Pubblichiamo questo intervento di Angelo Vita, con l'intento di aprire una discussione libera su un tema complesso e d...

30/10/2002
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PavoneRisorse

Basta con le iposcrisie, due NO e un SI' per l'integrazione
di Angelo Vita

Pubblichiamo questo intervento di Angelo Vita, con l'intento di aprire una discussione libera su un tema complesso e delicato che investe non solo considerazioni di carattere giuridico ma anche valutazioni etiche e umane.
Chi lo desidera può intervenire scrivendo a news@pavonerisorse.to.it

Con la legge 118/71 venivano chiuse le scuole speciali per i soggetti in situazione di handicap.

Ha avuto inizio da quella legge un percorso virtuoso che ha portato gli handicappati a fare ingresso nelle scuole pubbliche che, negli anni, avrebbero dovuto attrezzarsi perché l'inserimento non si limitasse alla presenza ma si convertisse in integrazione vera e propria. In tal senso insigni pedagogisti hanno speso e continuano a spendere fiumi d'inchiostro per dimostrare la fondatezza di una filosofia formativa attenta a dare all'ultimo tra gli ultimi le giuste opportunità e le migliori occasioni per aumentare le chances che la vita consente nel corso dell'esistenza. Personalmente ho apprezzato ed apprezzo l'operazione formale che sta alla base della costruzione di percorsi integrativi che interessano i soggetti in handicap grave. Su questo versante il costrutto epistemologico che li sostiene non fa una grinza. È, o sembra tutto, perfetto. Ma tra il dire ed il fare, ovvero tra la formalizzazione degli interventi e la messa in atto dei percorsi che ne dovrebbero determinare il raggiungimento degli obiettivi, c'è di mezzo un mare enorme di problemi che in atto non sono per nulla appianati e dal mio punto di vista non appianabili dall'Istituto del Sostegno scolastico.

Sappiamo bene che in atto la scuola è impegnata a formare l'uomo e il cittadino attraverso percorsi che lo portino all'utilizzo della comunicazione orale e scritta e attraverso il calcolo. In soldoni si è chiamati a portare i bambini a "leggere, scrivere e far di conto" (come nel '55 o come è sempre stato). Il come e la qualità degli interventi che reggono quest'obiettivo ha poco a che vedere con il ragionamento che qui si cerca di sviluppare. Di fronte ad un bambino cerebroleso che non ha alcuna possibilità d'utilizzo degli strumenti di cui è fornita la scuola ci si domanda: "qual è il ruolo dell'insegnante di sostegno?" Risposta: Nullo.

Due considerazioni, a questo punto, vanno fatte:

1. la scuola dica NO all'accanimento integrativo dei soggetti con handicap psichici gravi

Conosco bambini che stanno in classe solo perché la scuola ne garantisce l'assistenza poiché di fatto impedita, oggettivamente, a garantirne l'integrazione intesa come partecipazione attiva ai processi d'insegnamento/apprendimento.

Conosco bambini che necessitano di assistenza da parte di specialisti fisioterapici e logopedici invece vengono sottoposti ad inutili insistenze ed accanimenti scolastici che nulla hanno a che vedere con le esigenze specifiche dei bambini con deficit psichici gravi.

A quel bambino/reale che vive il dolore come unica sensazione riconoscibile noi, nella scuola, cosa proponiamo o possiamo proporre? Palliativi. Palliativi che non servono a niente e a nessuno. Di questi esempi ne possiamo fare a iosa, ma non è questo il punto.

Il nocciolo della questione dobbiamo, una volta per tutte, evidenziarlo con tinte forti e caratteri cubitali. Da più di trent'anni, ovvero dalla legge 118/71 alla 148/90 siamo riusciti a costruire un immenso cumulo di ipocrisie che rischia di seppellirci. È arrivato il tempo di riconsiderare il problema degli handicappati con uno sguardo sincero e funzionale alle esigenze ed ai bisogni di chi soffre o vive una condizione sociale e psico/fisica tale da mettere in sordina l'obiettivo dell'alfabetizzazione che la scuola naturalmente è chiamata a perseguire.

2. la scuola dica NO all'attuale Istituto del Sostegno

L'intuizione che una certa cultura progressista ha avuto per la riabilitazione di quanti erano stati isolati/marginalizzati dalla società per lungo tempo, era stata - sul piano morale e dei diritti di ognuno - ineccepibile, ma la gestione dell'Istituto del Sostegno e le ricadute formative, quasi inesistenti, per i gravi avrebbe dovuto consigliare una forte virata verso strade nuove e meglio compatibili con i problemi specifici dei soggetti in handicap (scusate ma mi rifiuto di chiamarli '#8211; secondo un vocabolario sempre più ipocrita '#8211; diversamente abili) e invece si è preferito perseverare su strade impervie e senza sbocco.

L'Istituto del sostegno è oramai vissuto come un ex Ufficio di Collocamento. Coloro che per un motivo o per un altro non entrano nell'insegnamento dalla porta concorsuale attraverso una serie di spinte e contro/spinte riescono ad entrare dalla finestra e garantirsi prima un posto di lavoro e, come spesso accade, compiuti i cinque anni d'insegnamento, entrano nella scuola comune in maniera organica e definitiva. Non tenere conto che tale istituto è stato gestito poi in maniera clientelare e che il bambino da riabilitare per il docente diventa l'ultima ratio appare ipocrita e deplorevole. In buona sostanza è successo che la cultura progressista ha progettato l'Istituto del sostegno e quanti magari culturalmente avevano ostacolato l'integrazione nella scuola comune dei soggetti in handicap si sono trovati a gestire in termini di scelte, di occupazione e quindi di consenso le immissioni in ruolo di migliaia e migliaia di docenti fuori/posto o se si vuole fuori/concorso. A questo punto la frittata è bella e fatta.

Quando dovrà durare l'ipocrisia trentennale che ha dato vita alle disfunzioni macroscopiche summenzionate? Cinque, dieci anni, di più?

3. la scuola dica SI a luoghi/spazi per la riabilitazione psicofisica degli handicappati

Caro Ministro, carissimi colleghi e cari genitori, non possiamo perseverare. È necessario iniziare a riflettere. La riabilitazione e l'integrazione degli handicappati specie se gravi non può continuare a passare per le aule scolastiche. Si rende necessario suggerire altre vie dove si mettano a disposizione, dei soggetti in handicap, luoghi e spazi attrezzati idonei a promuoverne l'autonomia psico/fisica e sociale attraverso l'attivazione di equipes specialistiche che abbiano competenze fisioterapiche, psicologiche, logopediche, socio/assistenziali idonee che non può offrire la scuola e nemmeno l'insegnante (specialista?).

Attualmente in Italia abbiamo diversi centri che adempiono, pregevolmente, ai compiti che la società affida loro. Incentiviamone la presenza attraverso convenzioni che ne attivino la professionalità e nel contempo ne determino l'efficacia.

Con la presente mi permetto di rivolgermi a quanti hanno speso la loro professionalità per dare risposte adeguate alle esigenze di questi soggetti bisognosi di attenzioni e cure.

La scuola non è tutto nella vita e non è nemmeno il solo ed unico luogo dove possa migliorarne la qualità esistenziale di quanti hanno, più degli altri, bisogno di interventi mirati. Anzi, in certi casi, è deleteria specie se ne consideriamo la ricaduta su quanti si vedono impossibilitati a fare la propria parte per alleviarne sofferenze e disagi.

Se gli studiosi, dell'integrazione e i ricercatori, che così bene hanno lavorato per costruire percorsi adeguati, si cimentassero '#8211; da subito - con lo stesso impegno di sempre alla costruzione di nuovi luoghi d'inter/azione specialistica contribuirebbero a dare nuove chances a quanti si trovano a convivere con i deficits psichici gravi. Proviamoci ed usciamo fuori dall'ipocrisia di un'integrazione formale e non reale.


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