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«Nei nuovi concorsi universitari il 50% dei posti su base nazionale e il 50% su chiamata diretta degli atenei»

A pensarla così è il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, che tra la presentazione mattutina alle Camere delle sue linee programmatiche e il Consiglio dei ministri serale sulla manovra trova il tempo per illustrare al Sole 24 ore la sua ricetta per il rilancio del sistema universitario italiano.

16/10/2019
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Il Sole 24 Ore

Eugenio Bruno

La lotta ai concorsi truccati nelle università si fa con due armi. Da un lato, con un nuovo sistema di reclutamento che dopo un’abilitazione snella e priva di scadenza, assegni il 50% dei posti su base nazionale e il restante 50% su chiamata diretta degli atenei. Dall’altro, con un nuovo Osservatorio che, supportato dall’Anac, aiuti i dipartimenti a scrivere meglio i bandi. A pensarla così è il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, che tra la presentazione mattutina alle Camere delle sue linee programmatiche e il Consiglio dei ministri serale sulla manovra trova il tempo per illustrare al Sole 24 ore la sua ricetta per il rilancio del sistema universitario italiano.

Con l’inchiesta di Catania anche quest’estate abbiamo assistito all’ennesimo caso di concorsi truccati. Come evitare che si ripetano fenomeni del genere?

Sicuramente serve una nuova narrazione e una presa di posizione molto forte da parte della politica. Per una questione molto semplice: questi casi non soltanto sono inaccettabili ma rischiano di pregiudicare la reputazione di un settore, quello dell’università e della ricerca, che è tra le grandi eccellenze italiane. Episodi del genere infangano la credibilità di un sistema in cui io credo molto e in cui credono anche tante giovani scienziate e scienziati. Per evitare che ricapitino serve un nuovo modello di reclutamento ma anche una serie di azioni di trasparenza per aiutare le università a fare dei bandi che siano il meno possibile impugnabili. C’è un problema anche di contenzioso. Oggi la normativa è tale e le pratiche sono tali per cui è quasi automatico che di fronte a un concorso si faccia ricorso. Un ricorso che poi rallenta la presa di ruolo del vincitore, ingolfa il sistema universitario, crea dei costi aggiuntivi, blocca il ministero e le università, e fondamentalmente rende il sistema nel suo complesso poco efficiente. Noi abbiamo bisogno di un sistema di reclutamento più lineare e di un’amministrazione più vicina alle università nella stesura dei bandi.

Partiamo dal reclutamento allora. Come intende migliorarlo?

In Parlamento esistono già delle proposte di legge che sono state avviate in questi mesi che sono un buon inizio. Penso a un sistema duplice: immissione in ruolo all’inizio della carriera universitaria per la metà dei posti con un concorso nazionale e la possibilità per le università di scegliere in maniera più diretta per il restante 50% dei posti. In entrambi i casi con un sistema di valutazione che porti a premiare l’efficacia e la meritocrazia. Che favorisca le università e dipartimenti che reclutano bene e disincentivi chi non lo fa. Oggi dobbiamo fare un concorso anche per un avanzamento di carriera e più si moltiplicano i concorsi più si creano delle potenziali zone d’ombra dove poi si insediano il ricorso, il sospetto e l’azione legale. Per questo penso a dei posti banditi a livello nazionale sulla base dei titoli e di un concorso nazionale e dei posti per le università che possono così scegliere le persone che hanno i migliori requisiti per rispondere alle loro necessità.

Che fine farebbe l’abilitazione scientifica nazionale che avete appena portato da 6 a 9 anni?

L’abilitazione è diventata un concorso sul concorso. Io credo invece in un’abilitazione semplificata, con soglie più basse, che sia un vero patentino. E quindi non deve scadere. Una volta che il candidato è abilitato può fare un concorso nazionale o essere chiamato dalle università.

Prima ha parlato anche di aiutare gli atenei ad aumentare la trasparenza nei bandi. A che cosa si riferisce?

Domani (oggi per chi legge, ndr) con il presidente Cantone lanciamo un protocollo d’intesa che permetta all’Anac e al Miur di attivare presso il Miur un ufficio che abbiamo chiamato Osservatorio per il reclutamento universitario che assista le università nella stesura dei bandi e possa ricevere osservazioni o segnalazioni da parte del mondo universitario. Magari in questo modo riusciamo a creare una governance soft del problema ed evitiamo che qualunque ricercatore preso dallo sconforto si rivolga subito a un avvocato o a un magistrato, finendo per spendere dei soldi e ingolfare il sistema. Al tempo stesso aiutiamo anche l’università a evitare il contenzioso perché lo preveniamo con delle linee guida molto chiare.

È un passo aggiuntivo rispetto all’accordo con l’Anac di un anno e mezzo fa sempre sulla trasparenza dei concorsi?

È un aggiornamento delle linee guida di un anno e mezzo fa che suggerivano come scrivere i bandi. Noi vogliamo istituire un ufficio attivo. Che risponda al telefono e fornisca una consulenza. E l’Anac ci aiuta a formare il personale di questo ufficio. In una delle mie prime interviste da ministro avevo promesso di riuscirci entro ottobre e mi sembra che ci siamo.

Il suo predecessore Bussetti aveva proposto controlli a campione dell’Anvur sul 10% dei concorsi? Ci saranno?

Questa proposta nata durante il precedente governo nasce da una mia sollecitazione, quindi la faccio mia. Però non mi pare che nel mandato dell’Anvur ci siano i controlli a campione come previsto dal decreto del Capo dipartimento, per cui se ne occuperà l’ufficio di cui le ho parlato prima.

Con il Dpb e il decreto fiscale inizia la strada che porterà alla legge di bilancio 2020. Quanti fondi chiederà per l’università?

Solo il sistema universitario ha bisogno di mezzo miliardo, un miliardo se consideriamo anche la ricerca. In Consiglio dei ministri sono sempre andato con la richiesta di trovare risorse per questi interventi e di finanziarli con delle misure fiscali intelligenti. Ho sempre proposto un sistema fiscale promozionale, ad esempio una rimodulazione dell’Iva su alcune tipologie di consumi dannosi per la salute e l’ambiente.

Rivedendo l’Iva sulla Coca cola?

Ho sempre parlato di sugar tax. Si può fare in molti modi. Il più semplice è rimodulare le aliquote Iva, ma si può fare anche una tassazione diretta. Ma io faccio il ministro dell’Istruzione e mi limito a dare delle indicazioni. Saranno altri a decidere. Mi fa piacere vedere che in questi mesi c’è stata una certa evoluzione. Prima si diceva che non si poteva parlare di tasse e invece abbiamo iniziato a parlare di una tassa sulle plastiche da imballaggio o di una potenziale rimodulazione dell’Iva. Cose che esistono in tanti altri paesi. Nei giorni scorsi Singapore, che non è certo il paese con cui avremmo immaginato di doverci confrontare visto che nello sviluppo c’ha superato ormai da decenni, non solo ha introdotto la sugar tax ma ha anche bandito la pubblicità delle bevande zuccherine da tutti i media.

I 500 milioni per il Ffo a cosa servirebbero?

L’università ha bisogno di finanziamenti ordinari. Servirebbero per pagare gli stipendi del personale. Le università sono diventate abbastanza virtuose ma rischiamo di caricare sulle loro spalle dei costi a cui non riescono più a fare fronte. Bisogna aiutarle a finanziare la no tax area, a fare concorsi da ricercatori, a potenziare gli uffici amministrativi. Tra una cosa e l’altra, 500 milioni vanno via subito.


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