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Messaggero-MA I GIOVANI SONO AFFAMATI DI SAPERI DIVERSI

Giovedì 19 Giugno 2003 Chiudi MA I GIOVANI SONO AFFAMATI DI SAPERI DIVERSI di MARIO MORCELLINI di MARIO MORCELLINI* I TEMI della maturità sono la nazionale di calci...

20/06/2003
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Il Messaggero

Giovedì 19 Giugno 2003 Chiudi
MA I GIOVANI SONO AFFAMATI DI SAPERI DIVERSI
di MARIO MORCELLINI
di MARIO MORCELLINI*

I TEMI della maturità sono la nazionale di calcio: difficili da fare, ma facilissimi da contestare. E, proprio come la nazionale di calcio, al di là dello scherzo, sono uno dei luoghi di sintesi in cui con più chiarezza ed enfasi una società si presenta ai giovani. Le tracce della prova di italiano non servono quindi a misurare solo la maturità degli studenti, ma anche quella della cultura degli adulti e delle istituzioni che vi è sottintesa, almeno sotto il profilo della capacità di catturare in modo pieno e convinto quella cosa indefinibile che chiamiamo 'spirito dei tempi'.
I temi sono dunque un manifesto, un saggio della disponibilità dell'élite dirigente ad esporre i propri modelli di cultura, determinando perfino un effetto di annuncio sulla volontà di gestione del cambiamento culturale.
Ebbene, che cosa rivelano i temi usciti ieri sul progetto culturale della scuola di oggi? Un bilancio sereno, quasi ovviamente, non può che rilevare motivi di soddisfazione e motivi d'inquietudine. Si tratta solo di vedere se siano gli uni o gli altri a prevalere, e magari in che misura. Vediamo.
Il panorama complessivo sembra abbastanza movimentato e completo. Se ci si limitasse al censimento degli spunti offerti allo svolgimento, non ci sarebbe che da essere soddisfatti, per la loro quantità e soprattutto per la qualità. Si va da Pirandello all'olocausto, dall'acqua come fonte di vita a Montale, dalla comunicazione di massa ai più intimi rapporti familiari. Ma evidentemente l'ampiezza non è sufficiente per dare un giudizio completo. Occorre considerare anche il tono, la qualità, l'intelligenza, per usare un termine chiaro, delle proposte. Partiamo allora da una considerazione semplice semplice: i titoli dei temi, nel loro complesso, appaiono privi di un elemento che forse non è necessario, ma che serve a definire le intenzioni e direi gli umori di un'atmosfera culturale: l'ironia. Non solo: sembrano, ad un'occhiata di superficie, vivere nel proprio tempo, ma non abitarlo veramente. Cambiando solo qualche nome, e nemmeno tanto, e qualche parola, riacquistano un aspetto senza un'età vera: potrebbero essere stati dati anche trent'anni fa, o potrebbero essere dati fra altri trent'anni.
Tutto questo non significa voler vedere la polvere anche dove non c'è, bensì interrogarsi sugli schemi e sulle motivazioni profonde che sorreggono la scelta. Tanto per essere più chiari, l'idea di modello formativo che fa capolino dietro i temi appare ancora rigidamente dicotomica, legata a modelli statuari di ingegnere o di poeta, magari in competizione o in alternativa fra loro. L'universo dei giovani è strutturalmente diverso e non so se possa trovare interesse discettare della possibilità della poesia nell'era della comunicazione. Non per stupidità o disinteresse, ma perché la sua costruzione della realtà non passa attraverso queste asperità ed è molto più aperto al bricolage e alla ibridazione. E' solo un esempio, ma serve a capire a quale tipo di cambiamenti, anche antropologici, anche epocali, siamo chiamati oggi a dare copertura valoriale e culturale.
Quanto più un'istituzione si limita ad affrontare i suoi valori, magari in modo cervelloticamente problematico, tanto più si rivela vicina ad una concezione della scuola come una fortezza (peraltro difficilmente espugnabile): o si mangia quella minestra o si salta dalla finestra.
Ogni costruzione culturale che sia vincolata al carattere dell'ufficialità (e sotto questo aspetto l'esame di maturità non è diverso dagli istituti di cultura, dalle varie Accademie, ecc.) tende ad assumere, nonostante ogni buona volontà, la maschera del moralismo sempre più inefficace, della pura proclamazione di principio, dell'affermazione di un'identità che tende a ripetersi e a confermarsi più che ad aggiornarsi e mettersi criticamente in discussione. E' una deriva difficilmente evitabile, che confina peraltro con una difesa delle tradizioni socialmente utile, seppur non sempre canonizzabile. Ma di fronte alle giovani generazioni, sempre assetate non tanto di novità puramente esteriori quanto di saperi diversi , questo far quadrato di fronte a ciò che è sempre stato o passa attraverso il tempo, assume un valore particolare di 'chiusura'. Finisce per assomigliare a una dichiarazione di fine della modernità, che andrebbe 'superata'criticamente non ragionando su quello che c'è intorno e dopo, ma attraverso la restaurazione del valore dell'antico e la restituzione ad moderno invasore del titolo di barbaro.
Mi sembra che, nel momento in cui una cultura ha l'ambizione e il dovere di presentare se stessa ai giovani per offrire loro gli stimoli appropriati, debba saper sviluppare un atteggiamento complessivo sostanzialmente diverso: deve cioè imparare a mediare, a gestire finalmente un processo di riconciliazione con i valori e gli stili di vita degli studenti.
La ciliegina sulla torta dell'estraneità rispetto alle culture dei giovani è però rappresentata dalla citazione - tra i materiali a cui ispirarsi - di una frase apparentemente innocua del Presidente del Consiglio. Sbigottisce che non sia stato colto il rischio del polverone, capace comunque di delegittimare complessivamente i temi proposti e mettere in difficoltà gli esaminatori. Ma certo si alimenta così un clima che non favorisce la serenità degli studenti, e cioè proprio i soggetti più attentamente da tutelare. Rispetto all'importanza di un appuntamento come questo, è sconcertante che non sia prevalso il buon senso, il rispetto dell'autonomia della scuola e della formazione, la civiltà di riconoscere che ci sono limiti invalicabili per tutti. Limiti che pensavamo dovessero essere vissuti come sacri almeno dalle istituzioni. Il dubbio amaro che così si alimenta è che, in questo esame di maturità, rischia la bocciatura proprio la scuola.
* Direttore Dipartimento Sociologia e Comunicazione
Università La Sapienza, Roma


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