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Messaggero-A gennaio il 'chiarimento' con Tremonti

A gennaio il 'chiarimento' con Tremonti Il ministro scrive: mi dimetto. Berlusconi lo ferma e impone le modifiche alla manovra di ALBERTO GENTILI ROMA '#8212; Raccontano che la linea t...

31/10/2002
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Il Messaggero

A gennaio il 'chiarimento' con Tremonti
Il ministro scrive: mi dimetto. Berlusconi lo ferma e impone le modifiche alla manovra
di ALBERTO GENTILI

ROMA '#8212; Raccontano che la linea tra via XX Settembre e la tenda di Gheddafi, lunedì, sia stata incandescente. Raccontano che questa volta il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, non si sia accontentato di gettare lì la parola "dimissioni". Nelle lunghe e animate conversazioni telefoniche con Silvio Berlusconi, in missione in Libia, Tremonti avrebbe annunciato una lettera d'addio. E l'avrebbe, poi, consegnata a palazzo Chigi nelle mani di Gianni Letta. Motivazione ufficiale: troppi attacchi sul fronte della Finanziaria, pressing offensivo, ai limiti della sfiducia, degli alleati di governo. Soprattutto, l'indisponibilità a rivedere quella parte della manovra economica che riguarda il Fondo unico per lo sviluppo del Sud, il suo controllo, le procedure di erogazione e di destinazione degli incentivi. Insomma: la vera partita a Risiko giocata da Tremonti, nel recinto della Finanziaria, in tandem con Umberto Bossi.
La reazione del premier non sarebbe stata un "parliamone". Alla prova di forza del ministro, Berlusconi avrebbe risposto con una prova di forza. Della serie: alle dimissioni non pensarci neppure, modifica la Finanziaria come stabilito e resta al tuo posto. Della tua posizione ne discuteremo in gennaio, dopo l'approvazione della manovra. Perché non si è mai visto un governo perdere il ministro dell'Economia durante la sessione di bilancio.
Poi, ieri, è stato il giorno delle smentite. Un corsivo sulla prima pagina del Corriere della Sera aveva riferito di un altro scatto di Tremonti. Della "stima e fiducia" rinnovata dal premier e al suo ministro. E tutti, da Gianfranco Fini a Rocco Buttiglione, da Roberto Maroni allo stesso Berlusconi, hanno archiviato la notizia con una grandinata di "non ne so nulla". Di "chiedetelo al Corsera" (il premier). Più deciso il ministero dell'Economia: la voce delle dimissioni "è priva di ogni fondamento".
Eppure, quel rinvio del "chiarimento" a dopo la Finanziaria dimostra che la partita è tutt'altro che chiusa. Da tempo Berlusconi, Fini, l'Udc e ministri forzisti del calibro di Peppe Pisanu (Interni) e di Antonio Marzano (Attività produttive), covano una crescente insofferenza verso Tremonti. Per il legame troppo stretto con Bossi. Per aver scritto una Finanziaria capace di sfilacciare la rete di relazioni e alleanze su cui poggiano le fondamenta del governo. Confindustria in testa. Per aver incardinato un rosario di previsioni errate.
E proprio questa insofferenza ha spinto finora Berlusconi a rinviare la nomina del ministro degli Esteri. In base allo schema: Tremonti alla Farnesina, Antonio Fazio all'Economia. L'idea, però, è stata subito accantonata. Per il "no" del governatore di Bankitalia. E per la ferma opposizione di mezza Forza Italia, di Fini, di Marco Follini e di Buttiglione. Così appare probabile che nei prossimi giorni (appena approvata la legge Cirami), Berlusconi proceda alla nomina di Franco Frattini agli Esteri: ne ha parlato la scorsa settimana scorsa perfino con il primo ministro albanese Fatos Nano. Alla Funzione pubblica dovrebbe andare il "tecnico" Antonio Catricalà, attuale segretario generale di palazzo Chigi, e l'ipotesi di gran lunga più accreditata è che al suo posto venga nominato l'attuale vice, Mauro Masi.
Poi il rimpasto, quello vero, dovrebbe scattare in gennaio. Al massimo in febbraio. A rischio le poltrone di Gerolamo Sirchia (Sanità), Letizia Moratti (Scuola), Pietro Lunardi (Infrastrutture). Più quella di Tremonti. Che potrebbe anche essere tagliata in due: le Finanze a Mario Baldassarri (An), il Tesoro e il Bilancio a un tecnico molto caro al Quirinale e all'Udc: Mario Draghi. "Ma questo passaggio richiederebbe una crisi, un nuovo voto di fiducia e il battesimo del Berlusconi Terzo", teorizzano a palazzo Chigi. E alla parola "crisi" nessuno salta di gioia, figurarsi Berlusconi.


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