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Megachip-Sotto a chi tocca: la Siria tra le righe.

Sotto a chi tocca: la Siria tra le righe. Chi controlla il passato, controlla il futuro: chi controlla il presente, controlla il passato. (Gorge Orwell) Bob Woodward, racconta nel suo bes...

16/04/2003
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Sotto a chi tocca: la Siria tra le righe.

Chi controlla il passato, controlla il futuro:
chi controlla il presente, controlla il passato.
(Gorge Orwell)

Bob Woodward, racconta nel suo bestseller fanta-patriottico (Bush at War), che il presidente Bush jr., finita la guerra in Afghanistan si volse verso Condoleeza Rice e disse 'What next?'. 'E poi?', 'Cosa viene dopo?' oppure 'Adesso a chi tocca?'.
È toccato all'Iraq, e ora? Sono stati fatti diversi nomi, nomi che si moltiplicano tra giornali e telegiornali: Korea del Nord, Iran, Siria , Sudan'
Il ministro egli esteri britannico Jack Straw ha dichiarato (14.04.2003) che la Sira 'non è la prossima della lista', ora per essere o meno una voce in una lista, deve esserci la lista.
Il 14 aprile sono uscite un centinaio di agenzie Reuters e AP sul tema 'Siria': 'Powell: gli USA prendono in considerazione misure contro la Siria', 'La Siria nega di essere in possesso di armi di distruzione di massa', 'Straw: può darsi che la Siria stia dando asilo agli iracheni', 'Gran Bretagna: non c'è un prossimo piano di invasione della Siria' (forse il portavoce britannico è scivolato sulla parola 'invasione'), 'Israele fa pressione sulla Siria', 'La Siria non dovrebbe essere la prossima guerra degli Stati Uniti' (anche qui vale la pena sottolineare l'aggettivo 'next' e la definizione 'guerra degli Stati Uniti': il linguaggio rivela molte cose al di là della notizia), 'Bush si unisce alla litania americana contro la Siria'.
L'Iraq era un paese noto anche prima dell'attacco, la guerra del '91 l'aveva già portato nelle nostre case, Saddam poi è (era?) un tipo carismatico, una faccia che non si scorda; l'Iraq si studia persino a scuola: la mezza luna fertile, la culla della civiltà, Tigri, Eufrate ' 'Le mille e una notte'. Della Siria pochi hanno sentito parlare, pochissimi saprebbero collocarla sulla carta geografica, il giovane presidente Bashar Assad non è una figurina famosa neanche fra il suo stesso popolo, che continua a preferire i mega-ritratti del padre Hafez El Assad (che ha governato il paese per trent'anni), o quelli del fratello favorito Rifaat, misteriosamente morto. Adesso di Damasco si parla tutti i giorni e le immagini del suk o della moschea degli Omayyadi si ritagliano un angolino di telegiornale, proprio tra le macerie di Baghdad e lo sguardo truce di Rumsfeld.
In questa prima quindicina di aprile, sul Washington Post sono usciti 77 articoli in cui si parlava di Siria, tra marzo e aprile ce ne erano stati 11, tra febbraio e marzo 4, in termini brutalmente numerici la 'notiziabilità' di questo paese è aumentata di 14 volte rispetto al mese scorso e di 38 volte rispetto a due mesi fa.
Il New York Times, nell'ultima settimana, ha nominato la Siria 97 volte, nell'ultimo mese 164 volte, nell'ultimo anno 529 volte, il che significa che tra il 7 e il 14 aprile è più che raddoppiata la 'quota media' di notizie sulla Siria.
Per l'Iran la storia non è diversa, solo le frequenze sono leggermente più basse, quindi, se le guerre si decidessero per quantità, la 'prossima' sarebbe la Siria.
La 'litania' delle dichiarazioni e delle risposte continua, gli accostamenti editoriali (di pagina e di servizio) che, solo un anno fa, creavano quell'anello invisibile tra Afghanistan e Iraq, oggi ci vengono riproposti tra Iraq e Siria. Prima i faccioni calpestati del rais, poi i manifesti di Assad, in un percorso solo suggerito all'inseguimento delle armi di distruzione di massa (?), del terrorismo (?), della democrazia (?). Ancora una volta senza un minimo di approfondimento e di contestualizzazione, ma solo attraverso le dichiarazioni riportate di autorevoli fonti governative, sostanzialmente unilaterali.
La Siria per il grande pubblico era (è) un posto sconosciuto da qualche parte nel Medio Oriente, ma stava al centro dei pensieri dei centri di potere americani ben prima di dominare le pagine dei quotidiani nel furore bellico. Nell'ormai famoso rapporto del Project for the New American Century del settembre 2000 si legge: 'secondo la CIA, una serie di regimi profondamente ostili all'America '#8211; Corea del Nord, Iraq, Iran Libya e Siria '#8211; '#8216;hanno già o stanno sviluppando missili balistici' che potrebbero minacciare gli alleati degli Stati Uniti e le forze all'estero'.
È noto come il rapporto dello PNAC e la precedente lettera di Wolfowitz all'ex-presidente Clinton, rappresentino un piano programmatico della 'dottrina Bush', ma la fedeltà dell'attuale amministrazione verso i consigli della congrega conservatrice è davvero stupefacente.
Il 20 settembre 2002, William Kristol, capo dello PNAC (nonché membro del governo della presidenza Regan e Bush senior), in una lettera indirizzata Gorge W. Bush, prima preannuncia la guerra all'Iraq: 'Anche se non ci sono evidenze che colleghino direttamente l'Iraq agli attacchi [dell'11 settembre], qualsiasi strategia che voglia sradicare il terrorismo e i suoi sostenitori deve includere un deciso tentativo di rimuovere Saddam Hussein dal potere in Iraq'. Quindi arriva alla questione Siria, con quasi due anni di anticipo rispetto a Powell e Rumsfeld, scrivendo: 'Noi crediamo che l'amministrazione dovrebbe pretendere che l'Iran e la Siria interrompano immediatamente tutti gli aiuti economici e militari e il supporto politico verso l'Hezbollah e le sue operazioni. Se l'Iran e la Siria rifiuteranno di obbedire, l'amministrazione dovrebbe considerare misure appropriate di rappresaglia contro questi ben noti sponsor del terrorismo'. Vi ricordate il lancio di agenzia di prima: 'Powell: gli USA prendono in considerazione misure contro la Siria'.
Kristol è un consigliere non ufficiale, ma incredibilmente generoso di particolari e delucidazioni, il 7 febbraio 2002 (quando manca un anno da questa guerra in Iraq) presenta ancora una volta il suo progetto durante una relazione alla commissione esteri del senato: 'Un Iraq amico, libero e produttore di petrolio lascerebbe isolato l'Iran e addomesticherebbe la Siria; i palestinesi sarebbero più propensi a negoziare seriamente con Israele e l'Arabia Saudita avrebbe meno influenza sulle decisioni politiche qui e in Europa. Rovesciare Saddam Hussein e i suoi collaboratori dal potere presenta davvero una grande opportunità '#8211; che il presidente Bush intravede con chiarezza '#8211; l'opportunità di trasformare il panorama del Medio Oriente'.
Su quello che Giulietto Chiesa chiama 'il ponte di comando' queste cose si sanno da tempo e gli amici di Gorge W. lo sanno benissimo dov'è la Siria, quanto a noi, per imparare la geografia dobbiamo aspettare che faccia notizia, che le parole si moltiplichino e i nomi facciano eco. Per il momento si è già conquistata il primo titolo del New York Times ('Gli USA rimproverano duramente la Siria e minacciano sanzioni' 14.04.03), che non è poco per una semplice lavata di testa in tempo di guerra. Forse, quando la Siria si avvicinerà alla quota presenze della voce Iraq in una giornata della stampa USA' toccherà proprio a lei.

di Anna Marchi


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