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Mattino-Un traduttore per la riforma Moratti -Roberto Gervaso

Un traduttore per la riforma Moratti -Roberto Gervaso Ricominciano le scuole, e va bene. E ricominciano, cioè continuano, perché non sono mai finite, le polemiche. Tutti contro tutti e, soprattutt...

09/09/2002
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Il Mattino

Un traduttore per la riforma Moratti -Roberto Gervaso
Ricominciano le scuole, e va bene. E ricominciano, cioè continuano, perché non sono mai finite, le polemiche. Tutti contro tutti e, soprattutto, contro il ministro della Pubblica Istruzione Letizia Moratti, donna di grandi capacità e di grande volontà. Ma la sua riforma non ci convince. Non ci convince perché non abbiamo capito in che cosa consista. Forse non l'abbiamo capito perché non siamo in grado di capirlo. O, forse, non l'abbiamo capito perché poco comprensibile. E poco comprensibile perché troppo cervellotica. Giorni fa, sul "Corriere della Sera", Ernesto Galli della Loggia, che la scuola la conosce bene perché ci vive e c'insegna, ha citato la proposta fatta ai primi d'agosto al ministro dai suoi esperti.
Proposta che suona, cioè stona, così: introdurre in tutti i dodici anni del curriculum scolastico, non proprio come materia specifica, bensì come ambito di "livelli essenziali di prestazioni", un'inedita "educazione alla convivenza civile".
Io sono, e non da oggi, da sempre, contro la pena di morte, ma chi ha coniato una simile espressione, "livelli essenziali di prestazione", non merita altro castigo. Se la scuola si riforma con questo linguaggio, meglio non riformarla, meglio lasciarla così com'è. Non chiedetemi com'è "così com'è" perché non lo so. E, se non lo so io, non lo sanno milioni, non lo sa la maggioranza degli italiani.
Ignoro quanti ministri della Pubblica Istruzione si siano avvicendati in viale Trastevere negli ultimi cinquant'anni. Certamente troppi. E, i più, inetti e demagoghi.
Gente, con poche, lodevoli eccezioni, che di scuola non capiva niente, ma che non seppe resistere alla tentazione di riformarla.
Io sarò all'antica, anche se non ho l'età di Matusalemme, ma, più si cerca di cambiare la scuola, più rimpiango quella che frequentavo io. Una scuola non immune da magagne, ma anche una scuola dove si studiava davvero, dove il sei era lo spartiacque della sufficienza. Chi batteva la fiacca, ne pagava il prezzo. Nel migliore dei casi, con il rinvio a settembre, in questa o in quella materia. Nel peggiore, con una sonora bocciatura di cui, volente o nolente, più nolente che volente, doveva render conto ai genitori.
L'uscita dei quadri, pochi giorni dopo la fine delle lezioni, era, almeno per me, ma non solo per me, l'evento dell'anno, quello che aspettavo con più trepidante curiosità. Il verdetto era chiaro e perentorio: promosso, rimandato, bocciato. E pieni e inequivocabili i voti: dall'uno al dieci. Uno per i somari; dieci per i geni e, nel mezzo, i mediocri e i bravi.
Oggi i quadri sono irti di crediti che non so cosa siano e che cosa significhino.
Forse, un nuovo modo di giudicare, un nuovo metro di giudizio. Sarà, ma tutto questo non mi piace.
Come non mi piace il lassismo di certi insegnanti, la loro pavida abdicazione a quel ruolo che la scuola gli assegna e che loro hanno il dovere di difendere. Anche nella scuola, anzi, soprattutto nella scuola, ci sono gerarchie che vanno rispettate. A legittimarle è, o dovrebbe essere, il merito, riconosciuto e riconoscibile in chi sale in cattedra dopo studi seri e sudati concorsi.
Io, queste gerarchie, le difendo, come difendo l'autorità di chi onestamente e con impegno esercita un magistero. Qualcuno mi darà del reazionario, ma io me ne infischio perché a una simile taccia ho fatto l'occhio, l'orecchio e il callo. Autorità non è sinonimo di autoritarismo, che ne è la proterva degenerazione. Autorità è svolgere con fermezza e fierezza il proprio compito. I docenti facciano i docenti; i discenti, i discenti. Ognuno stia al suo posto perché solo così la società - e la scuola ne è un pilastro - può funzionare. L'insegnante che si fa indimidire o, peggio, insultare dall'allievo, ha quel che merita. Così come l'allievo che intimidisce o insulta il maestro o il professore va non solo aspramente redarguito, ma anche esemplarmente punito.
Io, i miei insegnanti, li temevo, e questo non era giusto, ma non gli avrei mai mancato di rispetto. Alla loro intransigenza devo ciò che ho imparato, e per questo gli sarò sempre riconoscente. A loro, oltre che ai miei genitori, devo anche quella disciplina che è il miglior concime e il più solido mastice del carattere. La scuola è una cosa seria, e chi non la prende sul serio, non ne trarrà alcun beneficio. È una cosa seria, a dispetto di quei "livelli essenziali di prestazione" che vorrebbero renderla ridicola. Ministro Moratti: li rispedisca al mittente. Diffidandolo dal riprovarci.


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